Vladimir Putin a una recente parata militare. Foto: Reuters
Mentre in Ucraina l’esercito russo torna a prendere l’iniziativa con la presa di Avdiivka, complici i ritardi e i dubbi dell’Occidente nel fornire a Kyiv i necessari aiuti militari, oltrecortina sono sempre più flebili le voci di chi si oppone a Putin. Con la morte di Alexei Navalny il presidente russo sembra aver dato l’ulteriore, ennesima prova di come intende trattare chi contrasta i suoi piani di dominio, sperando in questo modo di tenere saldo il controllo su una società civile terrorizzata e soggiogata dalla propaganda, senza le forze per reagire. Ne parliamo con Claudia Criveller, docente di lingua e letteratura russa presso l’università di Padova e profonda conoscitrice della società e della cultura russe, con le quali continua anche in questi tempi difficili a intrattenere rapporti.
Tra pochi giorni ci saranno anche le elezioni presidenziali in Russia: come si presenta Putin a questo appuntamento?
“Per quanto strano possa sembrare i russi non ne parlano molto, nemmeno nella diapora. Forse la rielezione di Putin viene considerata un dato di fatto, e questo riflette il senso di rassegnazione che aleggia nel Paese. L’unica cosa di cui si è parlato, qualche giorno fa, è la bocciatura per presunti vizi di forma da parte della commissione elettorale centrale della candidatura di Boris Nadezhdin, rivale anti-guerra di Putin e unico candidato non addomesticato. Una mossa anche questa data quasi per scontata: ora in teoria oltre a Putin restano un paio di candidati di opposizione, che non hanno nessuna chance e comunque non sono nemmeno reali”.
“ La sensazione è che con Navalny sia morta anche la speranza
Che significato ha in questo momento la morte di Alexei Navalny, l’oppositore del regime sicuramente più noto all’estero?
“Le persone con cui mantengo i contatti in Russia hanno ormai chiuso ogni comunicazione su questo genere di argomenti: la gente ha sempre più paura, se ne parla apertamente solo tra i russi all’estero. La sensazione, leggendo le opinioni, è che con Navalny sia morta anche la speranza. Nell’immediato è circolato il video in cui il dissidente invita a non avere paura e ad andare avanti, in generale però in questo momento vedo spenta ogni fiducia in un minimo afflato di libertà. Quello che ho notato in questi due anni è la progressiva perdita di aspettative, la graduale chiusura verso l’esterno e la paura crescente. Ciononostante sono colpita dalle persone che si sono mosse per ricordare Navalny, anche solo tentando di deporre un fiore sulla sua foto: nonostante tutto, quando ne hanno la possibilità, molti russi mettono a rischio la loro stessa vita per cercare di prendersi qualsiasi pur piccolissimo spazio di libertà”.
Sono tornati insomma i tempi della repressione.
“Ed è quasi automatico accostarla a quella di epoca sovietica. Leggevo in questi giorni della corrispondenza tra Navalny e Sharansky e il parallelismo tra il trattamento riservato ai dissidenti di ieri e di oggi è impressionante persino dal punto di vista semiotico: gli stessi luoghi, la stessa terminologia. Sembra di poter rileggere tutto quello che accade come un'eredità diretta del periodo sovietico”.
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Forse addirittura più brutale.
“Sì, concretamente sono state comminate pene maggiori; l’altro dissidente Vladimir Kara-Murza è stato condannato a 25 anni di carcere per le critiche al regime: il parallelo è più con l’epoca delle purghe staliniane che con l’Urss degli anni ‘70-‘80. Oggi viene soffocata ogni forma di opposizione mentre nelle posizioni direttive, comprese quelle del mondo scientifico e culturale, vengono messi esclusivamente uomini di fiducia del presidente”.
La società civile come reagisce? È sempre compattata dallo sforzo bellico e dalla propaganda oppure si intravvedono delle crepe?
“Francamente all’interno della Federazione vedo solo piccole e isolate sacche di resistenza: in generale a prevalere è l’istinto di autoconservazione. Ci sono manifestazioni isolate di rabbia ma tutto sommato c’è molto timore. C’è da dire che molti comunque continuano a sostenere convintamente Putin e le ragioni della guerra: chi è stato recentemente in Russia racconta di non aver mai visto una Mosca così bella, pulita e ordinata. Un conoscente è invece rimasto colpito dal numero crescente di donne che nella capitale russa indossano il chador e addirittura burka: è stata ripresa la politica culturale di stampo sovietico dei ‘popoli fratelli’, con tanti studenti dall’Africa e dai Paesi arabi che prendono il posto di quelli americani ed europei”.
Alcuni sono rimasti, come la studentessa italiana che si è rivolta direttamente a Putin.
“Oggi gli accordi di collaborazione e di scambio con le università russe sono sospesi: nulla però vieta a un cittadino di un Paese europeo di recarsi in Russia per studiare. Nei mesi scorsi anzi il governo di Mosca ha messo a disposizione degli stranieri borse di studio molto numerose e ingenti, conosco diversi occidentali che sono andati a iscriversi a corsi di dottorato”.
Da parte di alcuni in occidente c’è anche voglia di normalizzare i rapporti?
“Sospetto di sì, oltre alla stanchezza. Del resto fino alla morte di Navalny della guerra in Ucraina si parlava sempre meno, perlomeno. Anche perché adesso c’è Gaza”.
Per i russi è l’ora più buia?
“Temo di sì, al momento fatico a cogliere segnali positivi. Yulia, la vedova di Navalny, ha detto che prima o poi Putin sarà spodestato, ma se anche questo avvenisse non so quanto cambierebbe le cose. Sono comunque d’accordo con lo storico Timothy Snyder: se anche la Russia trionfasse in Ucraina a vincere sarebbero Putin e i suoi gerarchi, certo non il popolo russo, che si trova a fare ogni giorno i conti con una vita meno libera e sempre più difficile”.