“Salute globale”: due parole che, prese insieme, significano molto. Dicono che siamo tutti interconnessi e che la salute di chi è lontano ci riguarda molto più di quello che immaginiamo. E dicono che quando parliamo di salute dobbiamo sempre pensare a uno stato di benessere complessivo dell’individuo, sia dal punto di vista biologico, sia da quello psicologico sia, infine, da quello sociale. Come Medici con l’Africa Cuamm su tutto questo abbiamo un osservatorio speciale che è dato dal nostro essere sul campo, in Africa, da quasi 70 anni per la salute dei più vulnerabili. Siamo, quindi, orgogliosi di avere a Padova un festival dedicato a questi temi che da sempre sono parte integrante del nostro modo di intendere e fare cooperazione: un approccio non orientato alla mera risoluzione dei problemi o alla sola gestione dell'emergenza, ma che guarda allo sviluppo e tiene conto delle molte variabili che lo determinano.
In Africa siamo “con”i più vulnerabili, camminiamo insieme alle popolazioni degli 8 paesi in cui siamo presenti, puntando allo sviluppo e al sostegno dei sistemi sanitari, a tutti i livelli, dai centri di salute periferici agli ospedali. Lo facciamo in un’ottica di lungo periodo. Operiamo anche in situazioni di emergenza, come in Mozambico, colpito in queste ultime settimane da un terribile ciclone che ha praticamente raso al suolo la città di Beira oppure in Sud Sudan, paese ancora molto instabile. In contesti di estrema fragilità come quelli in cui operiamo è evidente che il primo tema da affrontare è quello dell'accessibilità alla salute e del superamento delle barriere che si interpongono tra la popolazione e le cure.
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Barriere di natura diversa. “Economiche” senza dubbio, perché spesso si deve pagare per avere una prestazione sanitaria che non tutti possono permettersi. “Geografiche”, altrettanto sicuramente, perché i villaggi sono spesso molto lontani dai centri di salute e i malati o le donne in procinto di partorire devono camminare per diversi chilometri prima di trovare una risposta. E infine “culturali”, dovute alla mancanza di fiducia nei confronti dei servizi sanitari, a una famiglia numerosa e con molti figli che impedisce alla donna di allontanarsi, alle resistenze dei mariti per stare solo ad alcuni esempi delle difficoltà che può trovare una donna per andare a partorire in un centro.
Ed è qui che vediamo in modo lampante quanto il fattore economico, quello geografico, la cultura intesa come possibilità educativa abbiano a che fare con la salute. È questa la salute globale. Sentiamo di occuparci della salute del mondo solo se ci occupiamo di queste altre sfere, apparentemente non sanitarie, ma che sono quelle che di fatto permettono l'accesso alla salute. Non si può intendere la salute senza guardare allo scenario in cui le persone vivono e si muovono.
Ed è su questo che il Cuamm lavora da sempre: per superare l’ostacolo delle distanze, ad esempio, in Uganda abbiamo fornito dei voucher alle donne che venivano alle visite prenatali, in modo che, nel momento del parto, avessero gratis il trasporto verso l’ospedale, che peraltro costa solo 3 euro; oppure in Sud Sudan e in Sierra Leone abbiamo attivato un servizio di moto-ambulanze per raggiungere i luoghi più remoti, dove le ambulanze non possono arrivare.
Crediamo talmente tanto in questo approccio globale alla salute che non solo lo mettiamo in pratica ma anche lo portiamo nelle aule delle università italiane: sono 24 i corsi di laurea in medicina (sui 28 esistenti) che prevedono per gli studenti di medicina un insegnamento di Salute globale, organizzato proprio da noi del Cuamm.
Un modo questo per lavorare sullo sguardo dei futuri medici alla salute e al mondo e per formare competenze che possono essere utili anche a casa nostra, perché i “fragili”, domani, potremmo essere noi.