SCIENZA E RICERCA

In Salute in movimento. I benefici dell'attività fisica dopo il trapianto d'organo

Il Centro Nazionale Trapianti ha recentemente pubblicato il Report 2020. Attività annuale rete nazionale trapianti, da cui emerge il calo fisiologico di tutte le attività connesse alla donazione e la conseguente contrazione degli interventi, determinati dalla pandemia da Covid-19 e dalla grave pressione sulle strutture ospedaliere. Nel nostro Paese, evidenzia il rapporto, i volumi di attività sono tornati ai livelli di quattro anni fa. Se il 2019 si era concluso con la migliore prestazione di sempre in termini di trapianti eseguiti, a causa della diffusione di Sars-CoV-2 si assiste a un’inversione di tendenza: i trapianti da donatore deceduto nel 2020 sono stati 3.133 rispetto ai 3.451 del 2019; 304 contro i 363 interventi dell’anno precedente, invece, quelli da donatore vivente. “Il 2020 – sottolinea nel rapporto Massimo Cardillo, direttore generale del Centro nazionale trapianti – è stato un anno che, oltre ad aver cambiato radicalmente le nostre vite, ha sottoposto i sistemi sanitari a una pressione e un impegno sconosciuti nella storia recente. […] Eppure, nonostante tutto questo, le donazioni e i trapianti non si sono fermati: l’impatto della pandemia si è concentrato soprattutto nei due periodi della prima e della seconda ondata e ha portato a una diminuzione complessiva dell’attività di trapianto inferiore al 10% rispetto all’anno precedente”.

Quando si parla di trapianti un aspetto fondamentale da considerare è la ripresa psicofisica e il reinserimento in ambito lavorativo e sociale del paziente dopo l’intervento, su cui l’attività fisica – accanto alla eventuale terapia farmacologica – può avere effetti positivi. Proprio per tale motivo, da tempo il Centro nazionale trapianti conduce studi in questa direzione. Qualche anno fa il protocollo di ricerca Trapianto…e adesso sport dimostrava, per esempio, che l’attività fisica previene le malattie metaboliche, cardiovascolari e osteoarticolari causate dalla terapia farmacologica nei pazienti trapiantati.

Attualmente, invece, il Centro sta coordinando un progetto (Post – Progetto occupazione e salute post trapianto) che intende sviluppare una rete multidisciplinare – composta da chirurghi e internisti dei centri trapianti, cardiologi, pneumologi, diabetologi, nefrologi, gastroenterologi, epatologi, medici dello sport e dell’esercizio, psicologi, fisiatri – e di applicativi web proprio allo scopo di facilitare la ripresa psicofisica e il reinserimento professionale dei soggetti trapiantati, attraverso uno stile di vita attivo. L’intenzione è di diffondere la cultura della prescrizione dell’esercizio fisico regolare post-trapianto, come terapia non farmacologica, e di ridurre la percentuale di soggetti trapiantati che non rientrano per scelta o per difficoltà nel mondo lavorativo.

In questo senso, qualche dato potrà essere chiarificatore. Stando a quanto riportato dal Ministero della Salute per il periodo compreso tra il 2000 e il 2014 nell'indagine relativa alla valutazione di qualità dell’attività del trapianto di organi, dei 23.262 pazienti sottoposti a trapianto di rene il 92,7% torna a lavoro o è nelle condizioni di farlo, ma il 3% non ha invece ripreso la propria attività professionale per scelta e il 2,6% per malattia (l’informazione è disponibile per il 72,2% del campione dei trapianti su adulti effettuati nel periodo considerato). I trapianti di cuore, nello stesso arco di tempo, sono stati invece 4.497: in questo caso, il 90,2% dei pazienti che ha subito l’intervento riprende la propria attività professionale, ma il 5,2% non lavora per scelta e il 3,2% per malattia (informazione disponibile per il 54,5 % del campione dei trapianti). Infine, dei 14.525 trapiantati di fegato tra il 2000 e il 2014, stando ai dati del Ministero l’85,5% ritorna a lavoro, mentre il 6,3% non lo fa per scelta e il 3,8% per malattia (informazione disponibile per il 50,4% del campione dei trapianti).

C'è una percentuale di pazienti che ha subito un trapianto d'organo solido, cuore, fegato, reni, o rene pancreas, che ha difficoltà a recuperare la funzione fisica completa e a tornare alla normale attività lavorativa – spiega Andrea Ermolao, direttore dell’unità operativa complessa di Medicina dello sport dell’azienda Ospedale-università di Padova che partecipa al progetto Post –. Sappiamo che questa percentuale si aggira tra il 6 e l’11%. Si tratta di persone molto spesso ancora giovani: l’obiettivo del Centro nazionale trapianti è proprio quello di andare incontro alle esigenze di questi pazienti, cercando di favorire il completo recupero funzionale per accelerare il ritorno alla piena funzione fisica e alla normale vita quotidiana, ivi inclusa l’attività lavorativa, grazie a un'attività fisica individualizzata e mirata”.

Intervista completa ad Andrea Ermolao. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Barbara Paknazar

La fase post-trapianto, infatti, può causare un aumento di peso dovuto proprio all’adozione di uno stile di vita sedentario e alla scarsa attività fisica ed eventuali condizioni di sovrappeso o obesità comportano un aumento della resistenza insulinica che può indurre a diabete mellito di tipo 2 o a sindrome metabolica. Ma non solo. “La persona che subisce un trapianto d'organo – spiega Ermolao – generalmente ha una storia precedente di insufficienze d’organo, che può essere una insufficienza cardiaca, uno scompenso cardiaco, una insufficienza di funzione epatica, una cirrosi epatica, una insufficienza renale cronica: tali condizioni creano danni importanti e si associano a diverse condizioni patologiche, a comorbidità, e tutto questo comporta un decadimento funzionale significativo del paziente. Dopo il trapianto c'è un buon recupero, dato che il nuovo organo chiaramente dà vita, tuttavia i danni precedenti non vengono completamente reintegrati e la terapia immunosoppressiva, che è fondamentale per evitare il rigetto d'organo, ha anche degli effetti collaterali”. Proprio a causa della terapia immunodepressiva, i pazienti possono avere gravi squilibri metabolici e sviluppare sia un diabete indotto dagli steroidi, sia un’arteriosclerosi precoce abbastanza grave. “Pur con differenze tra i vari trapianti d’organo – continua il docente –, in tutti i trapiantati il rischio cardiovascolare è elevato nel post-trapianto. L’esercizio fisico, dunque, non solo può essere importante per il recupero della funzione fisica in queste persone, per il recupero della massa muscolare, della forza muscolare, della capacità della funzione cardiaca, ma può anche contribuire a ridurre il rischio cardiovascolare”.

La funzione fisica del paziente post-trapianto dipende molto, dunque, dalle condizioni fisiche del soggetto prima dell’intervento. “Per questa ragione si cerca di fare arrivare le persone al trapianto nel migliore dei modi possibili, per poter poi favorire il recupero, ridurre la degenza ospedaliera o accelerare il recupero funzionale e quindi la ripresa dell’attività lavorativa. L’attività fisica è importante proprio perché restituisce la funzione fisica, utile per le attività lavorative più impegnative, ma anche per mansioni di tipo impiegatizio. Una migliore funzione fisica può favorire un più precoce ritorno alla piena attività lavorativa che spesso può essere ostacolata dall’astenia, da limitazioni funzionali che sono conseguenza più che dell'intervento, della pregressa problematica di cui ha sofferto il paziente”. Molti pazienti sottoposti a trapianto di cuore, per esempio, hanno una lunga storia di scompenso cardiaco a causa del quale sono praticamente allettati e perdono massa muscolare, funzionalità fisica in modo importante.

“È importante valutare la funzione fisica e le sue varie componenti, dunque la funzione cardiocircolatoria, polmonare, muscolare: in base agli elementi che emergono, si personalizza un programma di esercizio fisico mirato che vada ad agire sulle funzioni maggiormente carenti. Spesso in alcuni pazienti, penso per esempio a chi è sottoposto a trapianto di fegato, c'è una condizione di sarcopenia spiccata, di perdita di massa muscolare molto importante, di cachessia vera e propria. I pazienti perdono completamente il muscolo, che va ripristinato, così come va ripristinata la sua funzione: in questo caso può essere importante recuperare con degli esercizi di forza che permettano la ripresa di una normale attività quotidiana”. Continua Ermolao: “Ci sono pazienti particolarmente complessi, con una storia clinica problematica, con molte comorbidità e con un elevato rischio cardiovascolare: l’attività fisica dunque va personalizzata, calibrata con attenzione, va valutato anche il rischio infettivo, dato che ci sono persone immunodepresse che, soprattutto nei primi mesi dopo l'intervento, dopo l’inizio della terapia immunosoppressiva, hanno un maggior rischio infettivo”.

L’attività fisica, dunque, deve essere considerata come una vera e propria terapia. “Penso che il paziente trapiantato sia uno dei più complessi, in cui l’esercizio fisico, accanto alle terapie farmacologiche e non farmacologiche previste, debba far parte della terapia quotidiana, perché può servire sia per un pieno recupero funzionale, sia per ridurre quel rischio cardiovascolare di cui si è detto, ma anche il rischio di sviluppare comorbidità che aumenta nel post trapianto. Inoltre, anche se molti di questi pazienti sono giovani, oggi si eseguono trapianti anche in età più avanzata, e quindi alle problematiche cliniche tipiche della patologia si sommano quelle dell'età. Dato che la spettanza di vita di questi pazienti è nettamente migliorata, come anche la qualità di vita, l’obiettivo è di migliorarla ancora”.

Nell’ambito del progetto coordinato dal Centro Nazionale Trapianti, come si è detto, è in fase di sviluppo un applicativo web che faciliterà i medici nella valutazione dello stato di salute dei soggetti trapiantati e consentirà loro di vagliare le prescrizioni più idonee a seconda del paziente, dell’età, delle comorbidità e del tipo di trapianto a cui è stato sottoposto. Con l’applicativo web, infatti, comunicherà una app attraverso la quale il trapiantato indicherà l’attività fisica svolta e i propri parametri clinici, come il peso, l’altezza, la pressione arteriosa, i minuti di esercizio fisico eseguiti, la distanza percorsa in bicicletta o a nuoto o altri tipi di attività. L’app, attraverso un braccialetto indossato dal paziente, sarà in grado di registrare autonomamente anche parametri come la frequenza cardiaca, il numero di passi giornalieri, la distanza percorsa, i piani saliti. Nelle intenzioni, il sistema consentirà di acquisire i dati non solo durante l’attività fisica, ma anche durante lo svolgimento delle attività lavorative e questo potrebbe permettere un monitoraggio continuo e non invasivo dei parametri fisici del paziente.

Si tratta, spiega Ermolao, di strumenti che possono essere d’aiuto e supporto ai pazienti, ma possono essere anche un modo per i medici di monitorare i livelli di attività fisica del trapiantato, verificando se il paziente risulta attivo o meno e dunque fornendo un counselling adeguato. “È un sistema che nell'idea del Centro nazionale trapianti dovrebbe diffondersi dai centri coinvolti nel gruppo di lavoro un po’ in tutta Italia. È dunque una sorta di progetto pilota che idealmente, una volta sviluppato e ottimizzato, andrebbe diffuso in tutto il Paese per supportare, in senso lato, le persone che hanno avuto un trapianto d'organo, non solo per la funzione fisica ma anche eventualmente per altri scopi”.  

Dato che tutti ormai oggi possiedono un cellulare, secondo il docente si tratta di un buon metodo per raggiungere i pazienti a domicilio e dare un sostegno anche a distanza. “Penso che questo sia tra gli obiettivi futuri del sistema sanitario che nella telemedicina vede un modo non solo per ridurre i costi, ma anche per migliorare l'assistenza ai pazienti”.   

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