SOCIETÀ

Satelliti e IA per proteggere la biodiversità in Cina

Oltre a detenere record demografici, la Cina è anche culla di una biodiversità che ha pochi eguali al mondo. Ospita parte di 4 dei 36 hotspot di biodiversità globali, è quindi ricca di specie endemiche (che vivono solo lì) e tra quelle carismatiche conta il panda gigante e la tigre cinese meridionale, ma anche le scimmie dal naso camuso del genere Rhinopithecus. A seconda dei criteri di conteggio (ne esistono diversi), la Cina raggiunge il terzo o il quarto posto dei Paesi più biodiversi al mondo.

Anche per questo motivo, Pechino avrebbe voluto giocare un ruolo di primo piano in una di quelle arene diplomatiche in cui si intessono rapporti geopolitici intorno alle questioni del secolo: l’ultima Conferenza delle Nazioni Unite per la biodiversità, la COP15, che si sarebbe dovuta tenere nel 2020 a Kunming, proprio in Cina.

La pandemia da Covid-19 invece, ma anche l’incapacità di trovare un’intesa preliminare tra le parti, non solo hanno ritardato l’incontro di due anni, ma hanno costretto a trasferire la sede a Montreal, in Canada. Il nuovo Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework delinea gli obiettivi da raggiungere da qui al 2030 e la Cina, oltre a mantenere una presenza nominale nel titolo dell’accordo raggiunto a dicembre 2022, continua a voler ricoprire una posizione di primo piano su una questione di interesse globale, quella della tutela della biodiversità, che ricoprirà un ruolo sempre più preminente nel corso del XXI secolo.


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Lo scorso aprile, il ministero per le risorse naturali cinese ha annunciato di avere ultimato una mappa che traccia le linee rosse ecologiche (ecological redlines) che delineano i confini delle aree nazionali da sottoporre a un qualche tipo di protezione naturalistica.

Come riporta Dyani Lewis su Nature, in precedenza le zone conservate su territorio cinese includevano 2750 riserve naturali più altre migliaia di aree protette a diversi livelli governativi. Ora la superficie complessiva sarebbe raddoppiata, arrivando a coprire circa 3 milioni di km2 di aree terrestri (quasi un terzo dell’estensione della Cina) e circa 150.000 km2 di aree marine. Le superfici incluse nel nuovo programma di conservazione sarebbero in linea proprio con gli obiettivi fissati proprio dal Global Biodiversity Framework di Kunming-Montreal, che punta a tutelare il 30% delle superfici terrestri e marine entro il 2030.

Non solo, pochi giorni dopo l’annuncio della mappa, il ministero per l’ecologia e l’ambiente cinese ha dichiarato che le zone protette saranno pattugliate da un sistema di monitoraggio spazio-cielo-terra che comprende per la parte spaziale un flotta di circa 30 satelliti in grado di raccogliere immagini ad alta risoluzione, per quella cielo-terra droni e personale sul luogo che verificheranno l’eventuale presenza di attività umane illecite all’interno delle aree protette. Le forze dispiegate puntano ad esempio a evitare abbattimenti di foreste in favore di attività estrattive minerarie o consumo di suolo a scopo edilizio.

Anche la costellazione di satelliti Copernicus in Europa lavora a supporto della strategia europea per la biodiversità monitorando ad esempio le aree della rete Natura 2000 (N2K), sia con programmi dedicati al suolo (Copernicus Land Monitoring Service), sia con quelli di dedicati alle acque (Copernicus Marine Monitoring Service).

Secondo quanto riporta Nature però, il programma cinese sarebbe il primo a sfruttare sistemi di intelligenza artificiale per riconoscere rapidamente cambiamenti nell’uso del suolo o delle acque che indichino una violazione delle norme di conservazione.

Un così sofisticato meccanismo di controllo messo in piedi a livello di governo centrale potrebbe dissuadere i governi provinciali dal privilegiare lo sviluppo economico a scapito della conservazione e secondo Chi-Yeung Choi, ecologo dell’università Duke Kunshan di Suzhou, una simile politica ha un potenziale enorme per la protezione degli hotspot di biodiversità.

Un’altra novità dell’approccio cinese risiede nei criteri di valutazione delle aree da includere in quelle da conservare. Solitamente le decisioni si basano sul valore di un’area in termini della flora e della fauna che la popolano. Oltre a fare questo, la Cina ha però scelto di valorizzare anche i servizi ecosistemici, che sono una misura dei benefici che una data area reca alla società umana. Tra questi ci sono la capacità di un ecosistema di assorbire anidride carbonica, di purificare le acque, di prevenire erosione di suolo e desertificazione.

A tali servizi nel prossimo futuro verrà sempre più riconosciuto anche un valore economico, che si tradurrà, e già lo sta facendo, nella creazione di meccanismi finanziari che ne sostengano la preservazione e la diffusione. È il caso ad esempio delle pratiche di carbon farming, ovvero di attività agricole e selvicolturali in grado di assorbire anidride carbonica: ad esse vengono riconosciuti crediti carbonici, in quantità equivalenti alla CO2 che rimuovono dall’atmosfera, che aziende da tutto il mondo possono acquistare per compensare le proprie emissioni.


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Gli obiettivi di tutela della biodiversità e di preservazione di un servizio ecosistemico frutto magari di un attività agro-forestale non sempre però puntano nella stessa direzione, anzi a volte possono anche entrare in conflitto tra loro.

A ben guardare, inoltre, il sistema di monitoraggio da remoto, tramite droni e satelliti, sembra molto adatto a valutare ad esempio lo stato di salute di una tettoia forestale (che se rimane intatta è in grado di far assorbire CO2 alla foresta), mentre appare molto meno efficace nel mappare la biodiversità di un’area, compito per il quale sono necessari rilievi sul luogo, che richiedono più tempo e più risorse economiche.

In ogni caso, secondo Alice Hughes, biologa della conservazione dell’università di Hong Kong, serviranno più dati ecologici perché quelli relativi alle specie vulnerabili e alla loro distribuzione non sono molti in Cina, specialmente nella parte meridionale. “Di conseguenza, le aree di conservazione tendono a favorire gli animali carismatici come il panda o il leopardo delle nevi, trascurando specie meno celebrate” riporta Nature.

Un altro problema che rimane aperto riguarda la trasparenza dei dati e di conseguenza delle decisioni che vengono prese in base a questi. Il governo ha infatti solo annunciato di aver ultimato la mappa delle aree protette ma non l’ha resa pubblicamente accessibile. Secondo Fangyuan Hua, biologa della conservazione della università Peking di Pechino, questo lascerebbe spazio alla possibilità che alcuni governi locali aggiustino i confini delineati a seconda delle esigenze di sviluppo locale.

Secondo Hughes, altre nazioni potrebbero seguire l’iniziativa cinese, che appare ambiziosa e innovativa, a patto però che Pechino renda più trasparenti e accessibili i dati delle aree protette e dei monitoraggi.

 

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