SCIENZA E RICERCA

La scienza per la ricerca di persone scomparse

Nel 2022 le persone scomparse in Italia sono state 24.369 e più della metà di queste, precisamente 12.199, non sono state trovate. Dai dati parziali, risulta invece che nei primi sei mesi del 2023 le denunce per scomparsa sono state 13.031.“È come se ogni anno in Italia sparisse un piccolo paese di provincia”, osserva Antonio Massariolo che, su Il Bo Live, ha restituito la dimensione del fenomeno nel nostro Paese. La normativa di riferimento è la legge del 14 novembre 2012 n. 203, ma oltre al diritto anche altre discipline, dalla psicologia delle emergenze, all’antropologia culturale fino alla statistica possono venire in aiuto nella ricerca di persone scomparse.

La rete di ricerca delle persone scomparse in Italia

Prima di entrare nel vivo dell’argomento, serve fare innanzitutto una distinzione tra persone “disperse” e “scomparse”, perché in un caso e nell’altro gli scenari di riferimento e gli interventi dal punto di vista operativo sono diversi. Se con il primo termine ci si riferisce a persone che mancano all’appello dopo eventi gravi come un’alluvione, un terremoto, un incidente aereo, con il secondo si indica invece chi non dà notizie di sé in seguito a un allontanamento dai luoghi abituali di vita: in questo caso, può trattarsi di un atto volontario o meno, dovuto a possibili disturbi psicologici, oppure può trattarsi di un reato o di uno smarrimento in luoghi poco noti.  

“In Italia esiste una rete istituzionale dedicata alla ricerca delle persone scomparse che ha in capo il Commissario straordinario di Governo per le persone scomparse avente il compito di coordinare gli organi competenti a livello nazionale. Sui territori il riferimento è la prefettura con funzionari incaricati a gestire le risorse locali a seconda delle necessità”. A parlare è Fabio Sbattella, docente di psicologia clinica all’università cattolica del Sacro Cuore di Milano, responsabile nello stesso ateneo dell’unità di ricerca di psicologia dell’emergenza e dell’assistenza umanitaria  e autore del volume Persone scomparse, aspetti psicologici dell’attesa e della ricerca (FrancoAngeli 2016). “Tutte le prefetture – continua Sbattella – possiedono dei piani di coordinamento tra le istituzioni che possono di volta in volta intervenire in maniera utile”. I piani per la ricerca delle persone scomparse rispondono alla logica di pianificare e valorizzare l’apporto delle differenti strutture operative coinvolte nelle attività di ricerca: dalla polizia ai vigili del fuoco, dal corpo forestale alle aziende sanitarie locali, fino al soccorso alpino (solo per citarne alcuni), sono numerosi gli enti che possono intervenire a seconda dello scenario, delle caratteristiche del territorio, delle risorse disponibili. È fondamentale dunque stabilire ruoli e priorità per ottimizzare i tempi. “Si deve tener conto inoltre che le ricerche possono seguire due strade: una amministrativa e una giudiziaria. Della scomparsa al momento della denuncia viene avvisata anche la magistratura che si interessa della persona dal punto di vista penale”. 

Ci sono casi in cui la persona scomparsa viene rintracciata a distanza di poco tempo, utilizzando procedure semplici come le foto segnaletiche, il tracciamento del numero di telefono o il controllo dei prelievi bancari. In questo senso, l’uso delle nuove tecnologie (tra cui per esempio anche l’impiego di droni e georadar) spesso si rivela cruciale. Nei casi più difficili, i piani provinciali prevedono anche l’intervento di psicologi specializzati che, oltre a fornire supporto alla famiglia dello scomparso, aiutano a comprendere il comportamento della persona scomparsa con metodologie e obiettivi differenti.

Autopsia psicologica, criminal profiling e missing profiling

L'autopsia psicologica per esempio è uno strumento di indagine retrospettiva dello stile di vita di persone scomparse ritrovate senza vita, o per le quali  può essere riconosciuta con elevata probabilità la morte presunta. È un lavoro psicologico che si fa a posteriori per tentare di capire le ragioni del decesso. “Il criminal profiling, di tradizione statunitense – continua il docente –, va invece a esaminare delle serie storiche di persone che hanno  più volte compiuto reati, cercando di enucleare delle caratteristiche di personalità in base alle quali rendere prevedibile il comportamento”. 

Esiste poi una ulteriore metodologia definita missing profiling, concepita dal gruppo  di ricerca di Sbattella. “Questo tipo di intervento ha lo scopo di sostenere le ricerche durante il loro svolgersi. In sostanza, si cerca di capire quale potrebbe essere il modo di sentire, di ragionare, di comportarsi di chi è scomparso nel momento in cui la ricerca è in corso”. La comprensione della logica che guida il comportamento della persona assente è un punto nevralgico delle operazioni, su cui convergono tutte le risorse in campo. “La nostra riflessione non è un’indagine sulle ragioni che hanno portato il soggetto ad allontanarsi, noi cerchiamo di ricostruire i ragionamenti che potrebbe fare un adolescente, una persona depressa, una persona anziana in quel contesto, per comprendere quale tipo di azione può aiutarlo a connettersi alla rete”. 

Sbattella spiega che l’approccio è caratterizzato dalla sospensione del giudizio rispetto al valore clinico, sociale, morale o legale degli atti che comportano o accompagnano ogni scomparsa. Gli psicologi dunque ascoltano le testimonianze, osservano il contesto, analizzano le relazioni della persona scomparsa, gli scritti, i messaggi, le fotografie. “La raccolta sistematica di informazioni – precisa Sbattella nel volume sopra citato –, orientata alla creazione di un profilo utile alle ricerche costituisce, tuttavia, semplicemente la prima parte del lavoro di profiling. Elaborare queste informazioni significa comporle in una o più narrazioni strutturate e plausibili, che siano in grado di comporre i dati raccolti secondo le logiche complesse della mente umana”. 

Continua il docente: “Dal punto di vista psicologico è necessario ascoltare anche le persone ferite, coloro che cercano e attendono chi è scomparso; è importante preparare la ricostruzione di questo strappo, di questa frattura: l’ascolto dei familiare e degli amici serve a dare voce a emozioni, dubbi, pensieri controfattuali e a preparare il ricongiungimento, evitando che l’evento si ripeta”. 

Se la psicologia può dare un contributo significativo, secondo Sbattella è altrettanto necessario avere una sensibilità interculturale e possedere nozioni di antropologia culturale e conoscenza storica, specie (ma non solo) quando si opera in contesti internazionali. 

Big data e statistica

Un approccio di tutt’altro tipo è invece quello che nasce alla fine del secolo scorso fuori dai confini del nostro Paese, dettagliatamente descritto da Sarah Scoles su Undark. Negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Canada e in Australia, le squadre di ricerca e soccorso iniziano a redigere rapporti sulle missioni di salvataggio e a elaborare statistiche sulle ragioni per cui le persone scompaiono e per quanto tempo. È William Syrotuck il primo che tenta di suddividere le persone scomparse in categorie (bambini, anziani, escursionisti etc), facendo un bilancio dei loro spostamenti, ma il campione raccolto è ancora troppo esiguo. Un lavoro più consistente viene compiuto da Robert Koester. Negli anni 2000 il ricercatore, nell’ambito di un progetto finanziato dal dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti, raccoglie i dettagli di oltre 50.000 casi di persone disperse, inserendoli nell'International Search & Rescue Incident Database (Isrid). Sulla base di questi dati Koester individua 41 diverse categorie di persone scomparse (dai pescatori, agli escursionisti, ai malati di Alzheimer), calcolando per ognuna di queste la distanza che le persone hanno percorso dal punto in cui erano state viste l’ultima volta e indicando il tempo trascorso, la vicinanza a strade o corsi d’acqua e lo scenario che aveva condotto alla scomparsa. Koester illustra come poter utilizzare queste informazioni nelle missioni reali, creando modelli di comportamento per ogni specifica categoria e pubblicando i risultati del suo lavoro nel volume Lost Person Behaviour: a search and rescue guide on where to look - for land, air and water. 

L’impegno di Koesler continua negli anni seguenti: il ricercatore approfondisce le prime ricerche, collaborando con varie istituzioni: vengono create mappe di probabilità che indicano i diversi luoghi in cui potrebbe trovarsi una persona smarrita; vengono considerate le condizioni meteorologiche e il paesaggio in relazione al tempo di sopravvivenza; vengono realizzate simulazioni, confrontando i modelli con i dati reali. 

Isrid oggi raccoglie circa 300.000 casi di persone scomparse e si prevede che le categorie saliranno a 75. Il database creato da Koesler viene utilizzato da molti altri che lavorano nel settore. Tra questi per esempio Matt Jacobs, membro di lunga data delle squadre di ricerca e soccorso californiane formatosi al Mit, che ha sviluppato SARTopo, un software di mappatura. 

“Nonostante la metodologia di Koester abbia orientato il campo della ricerca e del soccorso – non si esime dal sottolineare Sarah Scoles –, ci sono pochi studi indipendenti che ne analizzano l'efficacia e alcune categorie del libro hanno numeri piccoli su cui basare le loro statistiche”. E aggiunge Sbattella: “Si tratta di un modello comportamentista che nulla ha a che vedere con le riflessioni e i ragionamenti sulla logica che guida il comportamento della persona scomparsa. Si prendono in esame i big data e si ritiene statisticamente probabile un comportamento che si fonda su presupposti simili in situazioni simili. Il rischio, però, è che queste categorie diventino molto pregiudiziali”. Se una persona scompare negli Stati Uniti, si muove in un contesto territoriale molto diverso rispetto all’Italia, con una densità abitativa differente, una differente rete assistenziale. Oltre ad avere una diversa cultura relazionale. E di questi aspetti, secondo il docente, si deve tener conto.

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