SCIENZA E RICERCA

La scorciatoia dell'intelligenza artificiale

Intelligenza Artificiale o Artificial Intelligence, AI: a poco più di un anno dall’esplosione del fenomeno ChatGPT non passa giorno senza che i media ne parlino, per lo più come di un destino ineluttabile ma anche un po’ inquietante. Già da diversi anni però le macchine intelligenti fanno però parte della realtà in cui viviamo: vagliano curricula, concedono mutui e scelgono le notizie che leggiamo, più veloci ed efficienti di noi e a addirittura più creative e brillanti. Intelligenze aliene a tutti gli effetti, sono capaci di perseguire obiettivi e cogliere risultati sfruttando l’enorme mole di dati messi a disposizione da internet. Quanto possiamo però fidarci di loro e del loro modo di “ragionare”, così differente dal nostro? Lo chiediamo a Nello Cristianini, docente presso l’Università di Bath e autore de La scorciatoia. Come le macchine sono diventate intelligenti senza pensare in modo umano, pubblicato l’anno scorso da Il Mulino.

Che cosa sta succedendo in questo momento nel campo dell'intelligenza artificiale?

“Questo è un momento di rapido cambiamento, grande investimento, grande ottimismo e grande pessimismo. Un momento di emozioni. È importante che tutti ci informiamo sull'argomento dell'IA, perché tutti dobbiamo partecipare alle decisioni che ci attendono”.

Quali sono le caratteristiche della moderna AI e qual è “l’altra via” alla quale accenna nel libro?

“Nel 2023 abbiamo direttamente incontrato un'intelligenza artificiale in grado di capire un documento, rispondere a tono, prendere decisioni. Prima di allora avevamo già rapporti quotidiani con intelligenze artificiali in grado di imparare, raccomandare e prendere decisioni sensate in situazioni mai viste. Gradualmente stiamo spostando i confini di quello che riteniamo possibile e la definizione stessa di intelligenza”.

Cosa ha comportato passare a un modello di AI basato su statistica e Big Data? Quelli basati su logica e linguaggio sono definitivamente tramontati o a suo parere hanno qualcosa da dire?

“La strada che abbiamo trovato per creare agenti intelligenti si basa sull'accettazione che il nostro è solo uno dei possibili tipi di intelligenza e che questa si giudica dai comportamenti, dalle abilità e dalle prestazioni. Non si giudica invece da quanto è simile alle nostre teorie dell'intelligenza umana. Al momento, l'approccio statistico è quello che produce i comportamenti più intelligenti. Il resto non è escluso da alcuna teoria: solo non funziona”.

Cosa intende allora per agente intelligente?

“Un agente in grado di perseguire un obiettivo o svolgere un compito in un ambiente utilizzando informazioni, adattandosi, ragionando in situazioni mai viste prima. Ovvero, come diceva Jean Piaget, intelligenza è la capacità di saper cosa fare quando non si sa cosa fare”.

Che genere di svolta rappresenta l’AI nella tecnologia e in generale nella storia dell’umanità?

“Non solo stiamo vivendo un momento speciale nella nostra storia, siamo forse anche sulla soglia di altri cambiamenti. Lo scorso anno abbiamo dialogato per la prima volta con una nostra creatura. Ora ci siamo accorti che questa è in grado di svolgere alcuni compiti meglio di noi. Questo è un momento da capire profondamente comprendendo quello che abbiamo fatto, e ci sarebbe bisogno del contributo degli umanisti: di un contributo però informato dai fatti. Può essere un tempo di ansia, ma la cura per l'ansia è la conoscenza”.

Il pedagogo Chris Dede, specializzato in tecnologie per l’apprendimento, ci ha detto in un’intervista che le macchine saranno sempre più preziose per processare le enormi quantità di dati di cui disponiamo (reckoning), ma che gli umani saranno a lungo insostituibili nella loro supervisione e nel giudizio finale sul loro operato (judgment). Che ne pensa? 

“È un pensiero confortante, spero davvero che abbia ragione”.

Yann LeCun invece ci ha raccontato che in certo senso già oggi i computer sono “creativi” e possono in un certo senso addirittura provare una qualche forma di emozione. È d'accordo? 

“Cerchiamo di non mescolare cose diverse. A essere precisi LeCun dice che le emozioni sono utili ad anticipare il futuro, come quando si vede un potenziale pericolo e si prova paura, e questo sarà possibile anche alle macchine. Questione ben diversa è se invece le macchine possano sperimentare sensazioni nello stesso modo in cui lo facciamo noi”.

Nel suo libro sembra sostenere più volte l’inconsistenza della questione se i computer possano diventare coscienti o no. Qual è dunque la specificità dell’intelligenza umana rispetto a quella artificiale?

“La coscienza al momento non ha una chiara definizione, non quindi è facile metterla al centro di un programma scientifico; molti la intendono come autocoscienza, altri come senzienza, altri ancora come consapevolezza di se e dell'ambiente: ciascuna di queste definizioni andrebbe discussa separatamente. Mi riprometto di farlo in futuro, quando si potrà parlarne con chiarezza, perché la scienza ha il dovere di non essere ambigua. Per anni questo campo ha sofferto a causa di definizioni che slittavano continuamente: l'atteggiamento pragmatico al momento è più utile. Anche perché ci sono dei rischi da evitare, studiandoli”.

E la cosiddetta “AI generale”?

“Ogni forma di intelligenza è in qualche modo specializzata, non esiste un'intelligenza universale, e l'espressione AI generale può essere fuorviante: stiamo ora lavorando su tipi di AI più generalisti e meno specialistici, ma questo non li rende universali. Lo stesso vale per gli esseri umani: non abbiamo un'intelligenza universale. È vero però che ci sono dei compiti, fino a poco fa esclusivamente umani, che adesso le macchine possono svolgere: quelli che al momento almeno sulla stampa e sul mercato vengono chiamati AGI (artificial general intelligence)”.

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