CULTURA

"La scuola è politica", un saggio in forma di dizionario

Dalla A di Adulti alla Z di Zero, “la scuola è politica [...] ed è inevitabile che lo sia, come ogni altro ambiente costruito da esseri umani allo scopo di educare, istruire, formare e orientare altri esseri umani. La scuola è politica: per questo ci interessa e ce ne prendiamo cura”. La pensano così gli autori del libro recentemente pubblicato da Effequ, un abbecedario laico, popolare e democratico che si offre come strumento di confronto attorno a un tema che riguarda tutti: La scuola è politica è una buona lettura per insegnanti, educatori, genitori, ma non solo. Simone Giusti, Federico Batini, Giusi Marchetta e Vanessa Roghi provano, lettera dopo lettera, a esaltare la natura, la vocazione, le potenzialità della scuola e, al tempo stesso, a individuarne fragilità e limiti, per salvaguardarla e rinnovarla (in alcuni casi, ripercorrendo le tappe della loro esperienza di studenti).

Dagli Adulti “che fanno e disfano la scuola ogni giorno”, dalle loro responsabilità, dalle decisioni da prendere per una scuola giusta e di cui prendersi cura, su cui riflette Giusti, insegnante di italiano e storia, si passa a parlare di Bullismo, attraverso l’esperienza diretta di Batini, oggi docente di pedagogia sperimentale all'Università di Perugia, che da bambino fu vittima di un bullo, e qui scrive: "Avrei voluto rimanere in classe per sempre, all'uscita percorrevo a piedi l'itinerario per casa con il terrore che mi pervadeva [...] Mi raccontavo storie di vendette future. Non accadde mai nulla di tutto questo, ma quelle storie mi hanno aiutato a sopravvivere".

A scuola di bullismo si deve parlare, analizzando cause, forme ed effetti, attivando reti, progettando soluzioni e sperimentando quella che Batini definisce "la differenza di ciascuno che è salvezza per tutti". Il libro esplora, poi, i territori delle Competenze, delle Discipline e dell’Empowerment, questioni sempre al centro di dibattiti e troppo spesso di banalizzazioni, per arrivare, come per magia, alla Fantastica, ovvero l’arte di inventare storie di Gianni Rodari, che questa arte "antica" la voleva a scuola, come materia, e l’ha resa condivisibile, riproducibile, democratica “utile a chi crede nella necessità che l’immaginazione abbia il suo posto nell’educazione; a chi ha fiducia nella creatività infantile; a chi sa quale valore di liberazione possa avere la parola" (Grammatica della fantasia, Einaudi, 1973).

Tutti gli usi della parola a tutti mi sembra un buon motto, dal bel suono democratico. Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo Gianni Rodari

Il capitolo dedicato alla G di Genere è firmato da Giusi Marchetta, insegnante di lettere e scrittrice, che racconta: "A quindici anni non leggevo autrici donne. Facevo il liceo classico e studiavo filosofia e letteratura: filosofi, scrittori, poeti erano uomini. Studiavamo storia. Anche quella era fatta dagli uomini. Le Ipazia e le Gaspara Stampa spuntavano qua e là ogni tanto quando il professore illuminato decideva di rendere più completo il percorso. La professoressa di Storia assegnava la scheda sulle suffragette in fondo al capitolo […] La scuola non mi ha insegnato che le donne non hanno avuto un peso per l’umanità, ma me l’ha lasciato intuire perché non ha fatto abbastanza per mostrarmi come funziona un contesto squalificante e repressivo: ha permesso, insomma, che nella nostra formazione un numero inferiore di artiste e scienziate significasse automaticamente 'meno capaci di'. In un sistema in cui esiste una disparità, non prenderla in considerazione significa di fatto potenziarla”. Da qui l’esigenza di formare cittadine e cittadini consapevoli, partendo da una scuola "che dia spazio ai vuoti e alle voci silenziate”.

Ed è la stessa Marchetta ad affrontare la L di Lettura, provando a rispondere a una domanda che le viene rivolta spesso: Cosa bisogna far leggere ai ragazzi? “Scegli i libri giusti, dico di solito. Anche se ti fanno paura, aggiungerei, ma non sempre lo faccio perché quella paura la conosco pure io. È il timore di ritrovarsi a consigliare una storia troppo dolorosa, troppo vera, qualcosa che finirebbe inevitabilmente per scoppiarci tra le mani. Romanzi che trattano di sesso, violenze, dipendenze, in  modo antiretorico. Storie di adolescenti inquieti, adulti deludenti e conflitti che non possono essere risolti da un banale lieto fine. E ancora, il lutto o la violenza domestica con le loro ombre minacciose: quanti di noi hanno esitato nel proporre il racconto della perdita all’orfano, dell’alcolismo alla vittima della birra di troppo di un genitore? Eppure queste storie sono interessanti, e lo sono ancora di più per chi, vivendo una situazione difficile, la crede unica e si sente sprofondare nella solitudine”. Questa riflessione ne anticipa un'altra: introduce la necessità di superare l'idea di "compito salutare", di andare oltre i tentativi, spesso sterili, di formare, educare, insegnare qualcosa, oltre quell'idea di letteratura edificante - precisa Marchetta - che non potrebbe essere più lontana dal senso stesso dei più grandi romanzi mai scritti.

L’abbecedario attraversa il Mondo, i Numeri, parla di Orientamento e Partecipazione, di Risultati, di Scrittura, fino a raggiungere la Voce, il patto tra il bambino e l'adulto, che "atteschisce laddove si dà ascolto", ritornando indietro nel tempo, fino al Decameron in cui i dieci giovani di Boccaccio, sette ragazze e tre ragazzi, si mettono in cerchio e danno, appunto, voce a storie che diventano strumenti di salvezza, per sfuggire alla paura della morte determinata dall'epidemia di peste che nel 1348 aveva colpito Firenze. 

Infine, lo Zero, di cui scrive la storica e ricercatrice Vanessa Roghi, determinata a cancellare un numero con cui ancora sono identificati ragazzi e ragazze e che, spesso, determina percorsi e definisce destini. "Si chiama voto, se è sopra il 6 è un buon voto, se è sotto il 6 è cattivo. I voti fanno media, per alcuni insegnanti la media è aritmetica, se prendi un 8 e poi un 2 allora ti meriti un 5. C’è chi mette anche i decimali nella valutazione. C’è chi scrive Zero. Quando sei uno Zero non esisti più, diventi invisibile […] Nessun ragazzo, nessuna ragazza, allo stesso modo, nella storia, è uno Zero, ma quello che li rende tali al punto da farli sentire così è lo sguardo degli altri, il giudizio, l’iconografia, le false notizie. [….] L’abbandono è una conseguenza diretta del sentirsi Zero. Perché se è vero che l’abbandono cresce nella povertà materiale possiamo dire senza tema di essere smentiti che il suo anticorpo più importante sta nella relazione scuola/ragazzi”.

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