Nel 1924 nasce a Padova, prima in Italia assieme a Roma, la Scuola di Scienze Politiche, destinata a diventare nel 1933 un’autonoma facoltà. L’obiettivo è chiaro fin dall’inizio: sfornare funzionari e dirigenti preparati per una pubblica amministrazione sempre più ambiziosa e potente, “anche se da ben prima dell’avvento del fascismo si parla di un percorso che unisca alle competenze giuridiche l’economia, la statistica, la storia, le relazioni internazionali e la scienza politica”, spiega a Il Bo Live Sergio Gerotto, direttore del Dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali (SPGI), presso il quale insegna istituzioni di diritto pubblico e diritto costituzionale comparato.
Il nuovo corso di studi è figlio de ‘la più fascista della riforme’, scritta da Giovanni Gentile e varata nel 1923, in base alla quale gli atenei possono istituire autonomamente nuove facoltà o scuole. Nell’atto di nascita dell’istituzione padovana si inseriscono fin dall’inizio personalità illustri come Corrado Gini, fondatore dell’Istat e ancora oggi noto per l’omonimo coefficiente, il geniale giurista Francesco Carnelutti e Alfredo Rocco, futuro ministro della giustizia e padre del codice penale tutt’ora in vigore, mentre è critico Giulio Alessio, docente e deputato liberale in seguito ostracizzato dall’establishment fascista, non appena il regime mostra di volerci mettere il suo marchio.
Deus ex machina del nuovo corso di studi è Donato Donati, costituzionalista e docente di dottrina dello Stato, che con la sua parabola personale rappresenta bene gli inizi della giovane facoltà. Passato fin dalla prima ora dal nazionalismo al fascismo, Donati si spende personalmente per avviare la scuola, prima trovando i finanziamenti presso privati (in particolare istituti di credito), poi dirigendola per quasi 15 anni. Fino al 1938, quando a causa delle leggi razziali viene dichiarato decaduto dall’incarico di preside della Facoltà. Per quanto riguarda gli studenti, all’inizio scelgono in maggioranza il nuovo corso di studi soprattutto come seconda laurea (i giuristi possono iscriversi direttamente al quarto anno); a questi successivamente si aggiungono quelli che si iscrivono a singoli insegnamenti oppure ai corsi di perfezionamento per chi lavora già nelle amministrazioni.
Fin dall’inizio Scienze politiche risente in maniera peculiare del clima politico e culturale del Paese: nata sotto il fascismo, ospiterà nelle sue aule partigiani e resistenti. Come Norberto Bobbio, arrivato giovane docente a Padova alla fine del 1940 e in seguito arrestato con l’accusa di condurre attività antifasciste presso l’Istituto di filosofia. Non è il solo: su 12 medaglie d’oro al valor militare attribuite a studenti padovani per la loro partecipazione alla lotta per la liberazione, tre vanno alla memoria di iscritti a Scienze politiche. Con la fine della guerra la facoltà rischia di chiudere, ma il 22 luglio 1948 risorge dalle ceneri. Le stesse materie che compongono il ciclo di studi, suggerisce la storica Giulia Simone nel libro Fascismo in cattedra. La Facoltà di Scienze politiche di Padova dalle origini alla Liberazione (1924-1945) (Padova University Press 2015), rendono infatti Scienze politiche un vero e proprio laboratorio dove emergono le tendenze della società italiana.
Un altro libro della stessa autrice («La facoltà cenerentola». Scienze politiche a Padova dal 1948 al 1968, Franco Angeli 2017) mette ad esempio in evidenza il ruolo della facoltà nell’incubazione e nella deflagrazione del movimento studentesco del ’68. Sono anni tumultuosi per l’ateneo padovano, che passa dai circa 10.000 iscritti del 1960 agli oltre 30.000 dell’anno accademico 1968-69: ragazzi nati subito dopo la guerra e in maggioranza provenienti da famiglie modeste, che vedono nell’università un’occasione di emancipazione. Quanto a Scienze politiche, dopo essere a lungo stata un tranquillo feudo conservatore sotto la guida del sacerdote Anton Maria Bettanini (1948-1959) e in seguito di Ettore Anchieri (1959-1968), alla fine degli anni ’60 si trova protagonista della contestazione. Intanto una massa crescente di studenti è attratta dall’attualità degli insegnamenti, oltre che dal carisma di alcuni giovani professori, tra cui spiccano i nomi di Gabriele De Rosa e di Antonio “Toni” Negri.
Da facoltà ‘fascistissima’ a caposaldo del ‘68: Scienze politiche è più spesso in prima linea che nelle retrovie. “Personalmente non ho alcun imbarazzo a parlare della nostra storia: trovo stupido rinnegare il passato, quale esso sia, così come rifugiarsi in banali etichette come quelle di ‘cattivo maestro’ o di ‘intellettuale controverso’ – conclude Gerotto –. Anche dagli errori si può imparare: soprattutto quando, come in occasione di un centenario, siamo chiamati a considerare e a ripensare la nostra storia, senza saltare alcune parti solo perché non ci piacciono”.
Oggi la formazione offerta dallo SPGI (erede della facoltà di Scienze politiche) rimane all’insegna dell’interdisciplinarità, con opportunità che spaziano dal percorso classico all’economia e al servizio sociale, passando per le relazioni internazionali fino ai diritti umani. “Soprattutto a partire dalla fine del secolo scorso Scienze politiche ha conosciuto un’evoluzione importante – continua Sergio Gerotto –. Fin dalla fondazione la facoltà ha avuto due anime: una maggiormente orientata all’interno e una rivolta al di fuori dei confini del Paese. I contatti con Sciences Po e la London School of Economics and Political Science sono presenti fin dal 1924, ma negli ultimi anni questa vocazione internazionale è cresciuta ulteriormente, anche a causa di circostanze come il processo di costruzione europea e la costituzione nel 1982 per iniziativa di Antonio Papisca del Centro di ateneo per i diritti umani”.
Oggi la filiera formativa del Dipartimento è composta di quattro corsi di laurea triennale e cinque magistrali, nella maggioranza dei casi non immediatamente professionalizzanti: “Riteniamo che questo aspetto si risolva in un vantaggio, fornendo agli studenti un metodo e una grande capacità di adattamento a vari contesti. Un profilo che risulta particolarmente adatta a tempi di impetuoso cambiamento come quelli che stiamo vivendo”. Senza dimenticare le proprie radici: l’11 e il 12 aprile si terrà infatti a Palazzo Bo un convegno sulla figura e il pensiero di Donato Donati, primo atto di un anniversario che si annuncia ricco di occasioni e di spunti.