Siamo sempre meno. E sempre più vecchi. La sintesi del rapporto ISTAT sulla struttura della popolazione italiana reso pubblico lo scorso 7 febbraio è in buona sostanza questa. Certo la diminuzione è relativamente piccola: - 0,15%. In termini assoluti significa che i residenti in Italia lo scorso anno eravamo 60.391.000, quindi 90.000 in meno rispetto al 2017. Ma è dal 2015 che la popolazione italiana scende: eravamo 60,8 milioni quell’anno, siamo 60,4 milioni ora. Da cinque anni la popolazione italiana perde centomila unità.
Questo dato complessivo copre due tendenze diverse. La popolazione di cittadinanza italiana nel 2018 risulta pari a 55,2 milioni: lo 0,33% in meno rispetto al 2017. Una diminuzione niente affatto banale. Al contrario cresce il numero di cittadini italiani residenti in Italia: sono 5,2 milioni (l’8,7% del totale), con una crescita piuttosto robusta dell’1,74% rispetto al 2017.
È evidente, dunque, che la popolazione di origine italiana sta diminuendo a un ritmo sostenuto. E solo l’immigrazione straniera stempera il rapido declino demografico.
Un altro dato strutturale significativo è quello relativo alle nascite e alle morti. Nel 2018 si sono registrate 449.000 nascite: 9.000 in meno rispetto all’anno precedente. Nel 2008 le nascite erano state 577.000 nascite. In undici anni le nascite sono diminuite di 128.000 unità: una diminuzione del 22,2%.
I decessi sono stati, sempre nel 2018, 636.000: quasi duecentomila in più delle nascite. Cosicché il saldo naturale risulta decisamente negativo (-187.000 unità). È un record storico, mai era avvenuto qualcosa di simile. Tranne che nel 2017, quando il saldo negativo era stato di 191.000 unità .
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Dunque, la popolazione italiana diminuisce soprattutto perché le morti (che pure sono in leggera diminuzione) superano le nascite. Tuttavia c’è anche un flusso migratorio verso l’estero: nel 2018 i cittadini italiani che sono andati in un altro paese sono stati 120.000. Malgrado questo, abbiamo un saldo migratorio positivo di 190.000 unità, grazie all’aumento delle immigrazioni di cittadini stranieri. Contrariamente a quanto qualcuno sostiene, nel 2018 le immigrazioni sono aumentate (dell’1,7%), raggiungendo le 349.000 unità. Di questi, ben 302.000 sono cittadini stranieri (gli altri sono italiani tornati dall’estero).
Altri dati strutturali: il numero di figli per donna resta stabile e basso (1,32). Mentre cresce l’età media, giunta per i maschi a 80,8 anni e per le femmine a 85,2 anni. Siamo, per fortuna, un paese longevo.
L’ISTAT rileva, di conseguenza, che cresce la quota di popolazione anziana: gli abitanti con oltre 65 anni sono ormai 13,8 milioni (pari al 22,8% della popolazione totale) e superano i giovani fino a 14 anni, che sono circa 8 milioni (13,2%). Le persone in età attiva sono invece 38,6 milioni (64%).
Tutti questi dati dimostrano che siamo di fronte a una svolta demografica in Italia. La popolazione diminuisce e, nel medesimo tempo, invecchia. I giovani sono sempre meno. Questa tendenza è attenuata, ma non del tutto coperta dall’immigrazione di cittadini stranieri.
Ci troviamo, dunque, di fronte a una condizione inedita nella storia italiana: la necessità di gestire un paese anziano. Gli effetti sono evidenti: la nuova struttura della popolazione italiana è una concausa delle difficoltà economiche che il paese attraversa da almeno trent’anni. Le risposte a questa condizione inedita possono essere diverse.
È possibile immaginare un paese in cui la vita lavorativa duri più a lungo, come in parte sta avvenendo. Questa opzione è favorita dal fatto che è in aumento anche la durata della vita in buona salute.
È possibile immaginare di aumentare la natalità e riportarla verso la soglia di sostituzione (pari a 2,1 figli per donna). Si tratta di cambiare, tuttavia, stili di vita e, soprattutto, il welfare. Occorrerebbero una serie di significativi incentivi per la formazione di famiglie (anche solo di fatto), per uno sviluppo ottimale dei neonati in famiglia per almeno i primi tre anni, per la tutela dei diritti delle donne gestanti e mamme sul posto di lavoro. Un tipo di welfare ben noto nei paesi del Nord Europa, ma sconosciuto o quasi in Italia.
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È possibile, infine, definire una politica saggia sull’immigrazione. Persone straniere servono per aiutare la fascia crescente di popolazione molto anziana e/o malata; per aumentare il tasso di giovani presenti nella società; per aumentare il tasso di persone in età lavorativa. Anche in questo caso manca una politica organica e coerente. Spesso, al contrario, prevalgono spinte a contrastare in ogni forma l’immigrazione. E non solo quella cosiddetta irregolare.
In poche parole manca la consapevolezza che, come dimostrano i dati ISTAT, la struttura della popolazione italiana sta cambiando, in maniera parzialmente irreversibile. E che questa nuova struttura comporta una radicale riorganizzazione della società. Occorre una cultura per la gestione di un’inedita “società anziana”.