SOCIETÀ

Il sequenziamento delle varianti in Campania: un esempio da seguire

Monitorare la diffusione delle varianti di Sars-CoV-2 risulterà fondamentale anche dopo che la campagna vaccinale sarà avviata e a regime. È stato mostrato infatti che i vaccini autorizzati in Europa conferiscono una buona dose di protezione contro la variante inglese (B.1.1.1.7), che per la sua alta trasmissibilità rappresenta quasi il 90% di tutte le nuove infezioni in Italia secondo i report dell’Istituto Superiore di Sanità. Tuttavia, l’efficacia dei vaccini viene drasticamente ridotta contro alcune varianti, come ad esempio quella brasiliana (P.1), che ad oggi in Italia rimane al di sotto del 5%.

La P.1, così come la variante sudafricana (B.1.351) e quella nigeriana (B.1.525) contengono una serie di mutazioni tra cui la E484K che modifica la morfologia della proteina Spike in modo tale da renderla meno facilmente identificabile dagli anticorpi del nostro sistema immunitario. Il fenomeno viene denominato evasione immunitaria (immune evasion). La mutazione E484Q della variante indiana (B.1.617) è simile, ma è ancora sotto esame per capire se risulti altrettanto preoccupante.

“La variante inglese ha un alto tasso di infettività e in Europa sta prevalendo sulle altre varianti perché ha una maggiore fitness evolutiva” ovvero una maggiore capacità di riprodursi e diffondersi dovuta a una serie di mutazioni, spiega Davide Cacchiarelli, genetista del Tigem, l’Istituto Telethon di genetica e medicina di Pozzuoli. “Questa è una buona notizia, da un certo punto di vista, perché impedisce il diffondersi delle altre, che sono capaci di resistere al vaccino”.

Ma la fitness di una variante dipende anche dalle barriere che il virus trova sulla propria strada. “Finché non trova individui vaccinati la variante inglese si diffonde, ma abbiamo visto che contro questa variante il vaccino funziona e quindi ne ridurrà la fitness. Mi aspetto allora che quando ci saranno molti più vaccinati potrebbero prendere piede le altre varianti, che essendo capaci di sfuggire alle difese del sistema immunitario vanno tenute bene sotto osservazione” commenta Cacchiarellli. Il suo team aveva ha identificato in Campania la variante inglese già il 27 dicembre scorso, individuandola su sei passeggeri in arrivo da Londra all’aeroporto Capodichino di Napoli.

L’Istituto Telethon di genetica e medicina di Pozzuoli, diretto da Andrea Ballabio, non solo è un’eccellenza mondiale nella ricerca delle basi genetiche delle malattie: “circa metà dei 14 ricercatori capi di laboratorio (PI – Principal Investigator) sono vincitori di ERC (il prestigioso finanziamento dello European Research Council), rendendolo il centro di ricerca con il più alto tasso di ERC al mondo” dichiara Cacchiarelli, titolare di un ERC Starting Grant sulla riprogrammazione cellulare.

Il Tigem è anche un’eccellenza per quanto riguarda la sorveglianza genomica delle varianti del virus. Come spiegavamo in un precedente articolo, se Regno Unito e Danimarca hanno puntato convintamente sul finanziamento dei consorzi che si occupano di sorveglianza genomica, in Italia è mancato un coordinamento centrale e il sequenziamento delle varianti è stato lasciato per lo più all’iniziativa di singoli, ancorché virtuosi, laboratori.

In Campania però un coordinamento c’è stato e i risultati si sono visti. La regione ha finanziato con 7 milioni di euro un progetto che tiene insieme le competenze scientifiche del Tigem, l’istituto nazionale tumori “Fondazione Pascale”, l’ospedale Domenico Cotugno di Napoli e l’istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno.

Cacchiarelli coordina il progetto sul monitoraggio delle varianti per conto del Tigem. “A noi arrivano i tamponi raccolti dal Cotugno e dall’istituto zooprofilattico, che a loro volta raccolgono i campioni dei principali centri sanitari della Campania e quelli dei focolai locali che si vengono a creare” spiega Cacchiarelli. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stabilito che per rendere efficace il programma di sorveglianza genomica occorre sequenziare almeno il 5% dei nuovi casi giornalieri. La Danimarca punta quasi al 90%, mentre in Italia fino ad oggi in pochi sono riusciti a raggiungere gli obiettivi dell’Oms. “Noi proviamo a sequenziare tutti quelli che ci arrivano” riporta Cacchiarelli. “Ma solo alcuni naturalmente hanno carica virale sufficiente per essere processati. Complessivamente otteniamo dati genomici virali da circa il 50% dei tamponi giornalieri”. Al 22 di aprile, in Italia da inizio pandemia sono state caricate su GISAID circa 23.000 sequenze virali. Un terzo circa provengono dal Tigem.

Per una sorveglianza genomica efficace servono competenze scientifiche specifiche, distribuite tra più attori che si devono coordinare tra loro, ma occorre anche un impianto normativo e regolativo adeguato.

Innanzitutto un primo ostacolo riguarda i costi del sequenziamento, che ad oggi non rappresenta una prestazione coperta dalle spese del Sistema Sanitario Nazionale. “Il sequenziamento non è inserito nel tariffario della diagnostica delle ASL (aziende sanitarie locali, ndr): sapere se hai la variante sudafricana o inglese non cambia il tipo di trattamento terapeutico che riceverai. Per questo il sequenziamento non è un’attività diagnostica ordinariamente finanziata”.

È per questo che le attività di sequenziamento in Italia spesso sono fatte da laboratori che già disponevano dei macchinari necessari, magari finanziati da progetti di ricerca pre-esistenti che nulla avevano a che fare con l’emergenza Covid-19. L’allocazione di fondi da parte della regione Campania da questo punto di vista rappresenta un’eccezione virtuosa. Al Tigem sono arrivati 500.000 euro dei 7 milioni totali del progetto.

Ma il sequenziamento è solo uno degli anelli della catena che rende possibile la sorveglianza genomica e a ciascun livello servono adeguate autorizzazioni. “L’ospedale Cotugno dispone dell’autorizzazione legale per la parte di diagnostica, ovvero per fare i tamponi. Si occupa poi della valutazione epidemiologica, cioè trasmette i dati all’ISS. Anche l’istituto zooprofilattico ha l’autorizzazione diagnostica. Noi come Tigem ci occupiamo del sequenziamento e dell’identificazione delle varianti” spiega Cacchiarelli.

Per sapere se una nuova variante deve destare preoccupazione (se deve essere classificata, secondo la dicitura internazionale, come variant of concern) non è sufficiente sapere quanto è diffusa sul territorio: bisognerebbe sapere anche quali effetti provoca al paziente su cui è stata individuata. Per ottenere quest’informazione occorrerebbe incrociare i dati del genoma virale con i metadati del paziente, ovvero l’entità dei sintomi, lo stato di vaccinazione (per capire se si tratta di reinfezione oppure no), l’età. Nel Regno Unito hanno fatto così per valutare il reale impatto della variante inglese.

A questo livello si innesta però un’altra questione, quella legata alla privacy: “Per via del GDPR (il regolamento generale per la protezione dei dati personali, ndr) noi non possiamo disporre liberamente dei dati dei pazienti. Le responsabilità medico-legali sono dell’ospedale Cotugno, che è depositario del dato sanitario dei campioni prelevati tramite tampone. Noi sulla piattaforma GISAID depositiamo i genomi del virus. Almeno al virus non si applica la privacy” scherza Cacchiarelli. “Ai dati genomici del virus accostiamo i dati anonimizzati di età e sesso e lo facciamo solo quando il consenso informato del paziente lo permette. Di più non possiamo fare, perché non c’è un’interpretazione chiara sul regolamento”.

In realtà secondo Cacchiarelli non sarebbe nemmeno necessario incrociare i dati genomici di tutte le varianti identificate con i dati di tutti i pazienti su cui vengono identificate. Di varianti ne spuntano fuori di continuo, ma solo poche riescono a riprodursi e a restare nella popolazione: “dobbiamo concentrarci solo sugli aplogruppi che si fissano nella popolazione”, ovvero varianti che persistono con un pacchetto riconoscibile di mutazioni, tralasciando le varianti che riportano solo qualche sporadica mutazione puntiforme. “Su questi vale la pena di fare l’incrocio tra dati del virus e dati dei pazienti”.

“Come Tigem stiamo scrivendo un progetto europeo per il monitoraggio di queste varianti a livello europeo” prosegue Cacchiarelli. “Ad oggi siamo tra il 20esimo e il 30esimo centro di sequenziamento al mondo. Il fatto è che competiamo con consorzi, come quello inglese, che hanno fino a 60 centri dedicati. Anche la Germania dispone di un consorzio e nonostante questo non fa tanto meglio di noi. Già ad oggi l’Italia fa meglio della Francia. Siamo molto competitivi”.

Oltre alle competenze scientifiche però sono necessarie norme che favoriscano e non ostacolino il sequenziamento, conclude Cacchiarelli: “Ci sono diverse leggi nazionali e declinazioni regionali, e a diversi livelli si possono creare ostacoli. Ci deve essere la volontà scientifica e politica di andare oltre a questi ostacoli e puntare sulla sorveglianza genomica, coordinata e strutturata. Non dobbiamo darci scuse legali per non farla”.

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