SOCIETÀ

Green to Grey. A che costo? La perdita di natura rischia di essere irreversibile

“In Italia non mancano le aree protette. Il problema è che anche le aree protette, protette non lo sono davvero.” Rosario Balestrieri non gioca con le parole. Ornitologo, ricercatore alla Stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli, e molto attivo anche nella divulgazione scientifica, Balestrieri fa da consulente e da esperto per tanti progetti di conservazione in Italia e in altri paesi. Quando gli chiediamo se la mancanza di protezione sul Lago di Garda possa essere una delle ragioni che consente di continuare a costruire e a sviluppare infrastrutture, anche turistiche, in una zona che diversi report scientifici individuano come fragile e in sofferenza sotto diversi punti di vista, ci spiega che il problema, secondo lui, non è solo la mancanza di protezione. Perché in realtà anche nelle zone protette da diverse leggi e direttive la situazione non è sempre rosea. “In molti casi le zone protette, a parte un confine sulla carta, non hanno nemmeno un ente gestore, e dunque se trovi un illecito ambientale non capisci nemmeno chiaramente a chi lo dovresti denunciare - continua Balestrieri, - In Italia la maggior parte dei fondi dei parchi è utilizzata per promuovere la biodiversità intesa però come prodotti agricoli, DOP e IGP. In un parco medio italiano ormai la biodiversità è collegata più ai caciocavalli, le mozzarelle, i vini... Il parco è diventato un logo di qualità per prodotti agricoli alimentari.”

Il vero problema, emerso in modo inequivocabile quando abbiamo iniziato a fare ricerca per questa storia, è che in realtà la biodiversità di tante zone del nostro paese è in enorme sofferenza. Sia per la nostra storia passata, associata a un modello di sviluppo e gestione territoriale che certo non ha aiutato in alcun modo la conservazione di un ambiente biodiverso e sano, sia purtroppo anche per il presente che continua a vedere una quantità di suolo consumato a un ritmo poco compatibile con gli impegni green presi sulla carta dalle nostre istituzioni: dalla direttiva uccelli con le zone di protezione speciale (ZPS) alla direttiva Habitat che ha istituito la rete Natura 2000 e le zone speciali di conservazione (ZSC) fino alle più recenti Strategia europea e quella nazionale per la biodiversità 2030 fino alla Nature restoration law approvata nel 2024 e che prevede la predisposizione di piani nazionali entro la fine del 2026.

Perdere la natura non è un problema che riguarda solo gli amanti della medesima. Significa esporre i nostri territori a molte fragilità. La perdita di vegetazione si traduce in una terra che si scalda di più, che assorbe meno CO2, che non assorbe acqua ed è dilavata, è meno ricca di biodiversità, è più facilmente preda di specie aliene. E dunque anche meno produttiva e meno sana. Insomma, perdere natura e biodiversità comporta un aumento dei rischi, anche quelli economici e sociali. E culturali, perché è ormai accertato che il distacco dalla natura influisce anche sullo stato di salute mentale delle persone. E al contrario, una terra che brucia ed è in sofferenza è motivo di ecoansia, un fenomeno crescente soprattutto tra le persone giovani.


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Quello che sembra emergere dalla reale gestione è che il territorio è, e deve essere, prima di tutto un produttore di crescita economica all'interno di una logica ormai ben nota sotto l'etichetta "capitalismo estrattivo", che sembra ogni giorno meno compatibile con gli equilibri del pianeta che è anche la nostra unica casa"

Green to grey è un’inchiesta che abbiamo avviato un anno fa assieme ad altri 41 giornalisti di 11 paesi diversi. Il lavoro, avviato da Zander Venter, ricercatore del Norwegian Institute for Nature Research (NINA), da Arena for Journalism in Europe e la radio e TV pubblica norvegese, Norwegian public broadcaster (NRK), ha portato alla luce quello che è il reale continuo consumo di verde in 39 paesi della regione europea. 

I dati nel loro insieme sono preoccupanti e mettono in una luce molto diversa tutti quegli impegni che sulla carta sono stati presi per spingere almeno l’Europa verso un modello di sviluppo più rispettoso dell’ambiente e anche del nostro rapporto con la natura, di cui continuiamo a pensare di non fare parte. 


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Green to Grey. Sul lago di Garda, dove turismo e cemento divorano la natura

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Il focus della nostra storia specifica, come raccontato nella prima parte di questa inchiesta, è l’assenza di protezione attorno alla parte meridionale del Lago di Garda, sia sulla riva veneta, tranne in un piccolo tratto, che soprattutto su quella lombarda dove si concentra una parte importante del turismo tra Sirmione e Desenzano. Un'assenza che perlomeno sulla carta sembra dunque dare il via libera a uno sprint costruttivo inarrestabile. Mascherando pure lo sviluppo di infrastrutture come piani di sviluppo di un turismo verde e sostenibile. Ma continuando a estirpare le rive del lago, convertendo campi in complessi residenziali, addirittura costruendo una ciclovia sospesa attaccata alla roccia della falesie. Con quali conseguenze per l’ecosistema nel suo complesso? Molte e diverse da descrivere con dati accurati, perché le ricerche sistemiche sono poche e non facili da portare avanti. Però alcuni indizi, precisi e consistenti, ci sono. Di seguito alcuni esempi concreti che abbiamo raccolto parlando con diversi esperti. 

La scomparsa degli ecosistemi ripari

”La percentuale di superficie riparia del lago intatta è veramente bassissima. Io la collocherei a meno del 10%  - ci spiega Osvaldo Negra, zoologo al MUSE, Museo delle scienze di Trento -  La trasformazione dei tratti di riva non urbanizzata in percorsi frequentabili dal turista per fare spazio a un luogo balneabile, quindi a una spiaggia sabbiosa o ciottolosa, significa fondamentalmente cancellare ogni forma di ecosistema ripario.” Vengono distrutte sia la vegetazione acquatica che quella terrestre delle rive. Minando molta della potenzialità ecologica della costa. Sulla riva si trovano infatti i principali siti riproduttivi delle specie terrestri che frequentano l'acqua per motivi alimentari: uccelli acquatici e piccoli mammiferi. I primi metri della zona d’acqua sono anche quelli in cui, grazie anche alla luce penetrante, si sviluppano diverse specie acquatiche, piante, animali e microrganismi, anche quelli che poi vivono abitualmente lontano dalla riva. 

Lo stato di salute delle acque viene monitorato dalle Agenzie regionali per l’ambiente, le Arpa, che misurano innanzi tutto la salubrità in base alla presenza o assenza in particolare di due specie di batteri, Escherichia coli e Enterococchi, indicatori di contaminazione fecale, con prelievi in diversi punti della costa. I risultati, disponibili sulla pagina del portale acque del Ministero della salute, dicono che tranne in un paio di giornate verso la fine di agosto, dove sono stati imposti divieti temporanei nella zona attorno a Desenzano, le acque sono sempre state balneabili. In generale, i dati relativi allo stato biologico e chimico non sembrano indicare particolari problemi se non la presenza di specie aliene invasive, come ad esempio la cozza quagga, o Dreissena rostriformis, che sta preoccupando per l’impatto sulle altre specie locali. Anche la Goletta dei laghi di Legambiente ha effettuato la sua annuale campagna nel corso dell’estate, individuando però quattro punti di forte inquinamento sulla costa lombarda, attorno al comune di Desenzano. 

Secondo Paolo Zanollo, referente del WWF di Brescia, lo stato di salute del lago di Garda è tutt’altro che florido. A partire, ci dice nel corso di una lunga conversazione in videocall a fine luglio, dal problema della fragilità e inadeguatezza degli scarichi fognari. “Non c’è una separazione fognaria completa - ha dichiarato, - Il sistema di depurazione è fermo da 20 anni. Andava ampliato e potenziato, ma siccome la rete fognaria è sotto terra e non si vede, si preferisce investire sulle piazze e le passerelle.”  Zanollo ha poi aggiunto che per fare spazio alle passeggiate lungo lago c’è stato anche un taglio di canneti, zone ad alto valore biologico e teoricamente protette, nella zona di Sirmione. Un taglio che è stato anche oggetto di denuncia da parte del WWF alle autorità proprio a inizio estate. “Dobbiamo stare molto attenti, - ha concluso Zanollo, - perché qui ci sono progetti di passerelle per le passeggiate che per esempio potrebbero ulteriormente distruggere i canneti della zona.”

“L’aumento del numero di frequentatori del lago e delle attività di tipo ricreativo hanno ovviamente un impatto, - ci ha detto Osvaldo Negra quando lo abbiamo chiamato a inizio estate  - Non si tratta nemmeno più solo del windsurf o della vela, ma di tutta una serie di altre attività che comunque si svolgono su tutta la zona lacustre.” 

Ci sono alcuni esempi interessanti di alberghi di lusso, ci racconta Negra, che hanno ricreato, probabilmente più per motivi estetici che per consapevolezza ambientale, dei parchi con ampi tratti di costa rinaturalizzata, dove la vegetazione è florida e sono tornati gli uccelli nidificatori. Quindi anche solo salvare brevi tratti di costa rinaturalizzati qui e là tra strutture per il turismo ridurrebbe la perdita di biodiversità.  La vegetazione, infatti, resiste meglio al disturbo umano e tende a riprendersi anche piuttosto rapidamente. Più difficile, invece, è il ritorno degli animali: vivono la presenza ravvicinata delle persone come una minaccia alla propria sicurezza e quando il loro habitat naturale subisce un cambiamento, come per esempio durante la stagione turistica con il picco di presenze, se ne vanno, in qualche caso definitivamente. È quello che sta avvenendo sulle falesie. 

Non proprio sostenibili: le ciclabili e le via d’arrampicata

Il lago è diventato paradiso di un turismo che si racconta rispettoso della natura, perché gode soprattutto delle caratteristiche naturali dell’ambiente come il vento e l’orografia accidentata. Il cicloturismo, ad esempio, è considerata attività altamente sostenibile. Ma, come abbiamo visto nella prima puntata di questa inchiesta, la scelta di fare una ciclovia a sbalzo sulla montagna è quanto meno discutibile e non rispetta il fragile equilibrio della roccia.  C’è però un altro tipo di attività che sulle falesie sta crescendo a numeri sostenuti. 

“Negli anni ’80 la gente del posto ha scalato la prima parete rocciosa aprendo la via a tanti altri appassionati di arrampicata”, si legge sul sito GardaTrentino. Da allora, “il mondo dell’arrampicata si ritrova di stagione in stagione tra queste falesie”, sulla sponda trentina occidentale del lago, nel comune di Arco, una sorta di paradiso terrestre dei climber. E infatti la pagina si chiude con l’esortazione  “Prepara la magnesite e punta in alto!” Un invito raccolto da sempre più appassionati, attratti da un’offerta considerata unica per qualità e varietà di vie possibili, da molto impegnative ad accessibili anche ai principianti che consentono di scalare per buona parte dell’anno. 

È qui vicino, ad Arco, che si tiene a metà ottobre il Rock Master, la più importante rassegna di arrampicata sportiva italiana, cui prende parte il gotha del climbing mondiale, e che prevede duelli e gare tra gli sportivi oltre a molte attività collaterali per il pubblico che, a giudicare dalle immagini delle edizioni passate, non è più quello di un’attività per pochi appassionati ma ha la dimensione di un vero e proprio happening di massa. E infatti questi luoghi attraggono sempre più persone, e quindi nuove vie e percorsi vengono aperti e “ogni falesia che viene aperta diventa un luogo da cui la naturalità viene lentamente cancellata - continua Negra, - Ad esempio, si taglia l'edera, non gradita dai climber mentre arrampicano perché rende umida la roccia. E così anche attività sportive considerate ecologiche lentamente trasformano in modo irreversibile il territorio.”

L’eliminazione dell’edera e la presenza di climbers tutto l’anno disturbano le specie di  uccelli che sulle falesie nidificavano. Sono principalmente uccelli rapaci come il Lodolaio, il Nibbio Bruno, il Biancone, il Falco Pellegrino, ma anche altre specie come i rondoni, rondoni comuni, rondoni pallidi, rondoni maggiori. 

Si tratta dunque di luoghi delicati. Osvaldo Negra ipotizza che i climbers non lo sappiano nemmeno. Esiste la possibilità di utilizzare gli strumenti giuridici già esistenti, che permettono a un’ordinanza comunale di bloccare in alcuni momenti l’accesso alla falesie quando c’è una colonia riproduttiva. Ma chiaramente quest’operazione rischia di essere poco gradita agli operatori turistici e i comuni tendono a non mettere in campo alcuna limitazione. 

Che visione?

In definitiva, ripetono i nostri interlocutori, sentiti  in momenti diversi ma tutti con la stessa accorata preoccupazione, al di là degli strumenti possibili, attivi o meno, attuati o meno, per proteggere il lago, la questione si riduce al grado di consapevolezza del rischio e alla volontà o meno di tutelare un bene prezioso e unico come tutto l’ecosistema lacustre. Anche perché se lo si porta al collasso si rischia la rovina anche di tutto lo sviluppo economico che su quell’ecosistema fa leva. 

Si tratta della solita questione di un beneficio a breve termine contro una visione di sviluppo di lungo periodo che non distrugga la risorsa su cui si fonda. La risposta istituzionale per ora rimane tiepida , se diamo ascolto alle sparse dichiarazioni di qualche sindaco e assessore che invoca un maggiore controllo sui flussi di arrivi e dunque sullo sfruttamento del lago. Niente di concreto ed efficace, per ora. 

Per questo è affascinante la proposta che arriva da una parte della società civile che vive attorno al lago. Una proposta ben più radicale: quella di dotare il lago di una sua personalità giuridica. Una personalità che godrebbe di un diritto pieno e renderebbe dunque assai più difficile continuare lo sfruttamento attuale. Ma questa è la storia che vi raccontiamo nel prossimo episodio. 


Green to Grey è un progetto di data journalism investigativo avviato e coordinato da Arena for Journalism in Europe e dalla Norwegian Broadcasting Corporation (NRK). È un progetto di inchiesta cross-border transnazionale che coinvolge: De Standaard (Belgio), Le Monde (Francia), Long Play (Finlandia), Die Zeit (Germania), Reporters United (Grecia), Facta (Italia), NRK (Norvegia), Gazeta Wyborcza (Polonia), Datadista (Spagna), The Black Sea (Turchia) e The Guardian (Regno Unito).

Il Norwegian Institute for Nature Research (NINA) ha fornito l’expertise scientifica per il progetto.

La metodologia completa è descritta da Léopold Salzenstein (Arena) e Zander Venter (NINA)

Questa serie di articoli pubblicati su Il Bo Live sono stati supportati da Journalismfund Europe e da IJ4EU Investigative Journalism for Europe.

Per tutte le storie pubblicate, vai su: greentogrey.eu

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