SCIENZA E RICERCA

La transizione alla circolarità dell’economia europea

La strada che conduce alla decarbonizzazione comporta una ristrutturazione della filiera industriale e delle basi minerarie su cui poggia. Entro la fine del decennio l’Europa punta alla produzione domestica di almeno il 40% delle tecnologie green necessarie alla transizione e a estrarre da suolo europeo almeno il 10% dei minerali critici per realizzarle. La completa autarchia nell’approvvigionamento delle risorse non è uno scenario né realizzabile né realistico, ma al contempo diventare meno dipendenti da Paesi politicamente instabili o democraticamente inaffidabili è nell’interesse di tutti i membri dell’UE.

La logica conseguenza è pertanto un convinto investimento sulla circolarità dell’economia europea: le materie prime già estratte e impiegate nei prodotti immessi sul mercato dovranno diventare, a fine vita di quei prodotti, materie prime seconde, venendo quindi recuperate e riutilizzate. Il Net Zero Industry Act e il Critical Raw Materials Act appena presentati dalla Commissione Europea vanno in questa direzione.


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Di come sia messa l’Europa sul fronte della circolarità ne abbiamo parlato con Silvia Gross, professoressa di chimica inorganica e presidente del corso di laurea magistrale in Sustainable Chemistry & Technologies for Circular Economy dell’università di Padova secondo cui “la transizione energetica è anche una delle più grandi transizioni di materiali della storia”.

Cosa ne pensa del Critical Raw Materials Act?

Da chimico inorganico ho letto con interesse il CRM Act, che è un documento corposo e dettagliato. Parte dalla definizione di cosa vada considerato critico: il primo parametro è il rischio di interruzione dell’approvvigionamento, il secondo è l’importanza strategica per tecnologie ritenute rilevanti in Europa per la transizione, mentre il terzo è la scarsa sostituibilità. Viene poi fatta una distinzione tra materie prime critiche e strategiche e vengono chiarite le condizioni per una piena circolarità delle stesse, basate anche su una valutazione dei flussi di rifiuti e sui contenuti minimi di riciclato nei prodotti.

Si tratta di un documento al contempo concreto ma anche molto prospettico, perché pone degli obiettivi ambiziosi, ma anche conseguibili all’interno di un contesto comunitario, evidenziando, cosa molto importante, come l’azione di un singolo paese non possa essere efficace in un contesto complesso qual è quello delle materie prime critiche.

Altro passaggio importante è introdurre una circolarità nell’uso di queste materie, che una volta riciclate diventeranno materie prime seconde. L’idea è quella di ridurre la dipendenza da Paesi extra europei, dobbiamo riciclare quello che estraiamo o importiamo, in quanto i giacimenti europei sono limitati. Questo obiettivo è raggiungibile solo con un coordinamento tra singoli Stati, nessun singolo Stato da solo può essere indipendente.

A che punto siamo oggi in Europa sulla costruzione di una filiera industriale incentrata sull’economia circolare? Quanto siamo in grado di riciclare?

Siamo sulla buona strada, ed è merito anche di un’azione regolamentatoria e legislativa molto decisa sviluppatasi negli ultimi anni in Europa. Il Circular Economy Action Plan europeo, meglio noto come Circular Economy Package, pubblicato dalla Commissione nel 2015, e poi aggiornato ed implementato nel 2019 e 2020, è un corpus di 54 azioni molto articolato e contiene quattro iniziative regolamentatorie sui rifiuti. Sono tutte ben strutturate e pianificate, associate a cronoprogrammi ben definiti e concepiti per accelerare una transizione, graduale ma definitiva entro il 2030 ed il 2035, a un modello di produzione e consumo circolare.

Vengono prese in considerazione aree di intervento diversificate, settori produttivi e flussi di materiali diversi. Tra le misure previste ci sono anche quelle sul tessile e sui residui di origine biologica. Attualmente, in Europa, siamo su tassi di riciclo, per le varie classi di materiali, che vanno dal 40% per i rifiuti elettronici ed elettrici, al 64% degli imballaggi, rispetto all’immesso sul mercato. Secondo i dati della European Environmental Agency, l tasso di riciclo generale è al 46%.

Questi numeri siano molto cresciuti dal 2004 ad oggi, dimostrando non solo l’efficacia di reti ed infrastrutture di raccolta più capillari ed efficaci, ma anche di una crescente responsabilizzazione da parte dei cittadini europei, non esclusivamente in paesi tradizionalmente virtuosi come in Nord Europa, ma anche nelle regioni a sud ed est del continente.

Naturalmente occorre riciclare anche materiali come litio, cobalto, terre rare e oggi ancora non è semplice. Per farlo si seguono processi piro e idrometallurgici, che tuttavia usano sostanze chimiche inquinanti. La ricerca si sta orientando verso metodi di separazione dei metalli meno impattanti.


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Inoltre non dobbiamo pensare solo al fine vita dei prodotti, ma adottare un approccio che in inglese è chiamato from cradle to grave, ovvero dalla culla alla tomba: bisogna progettarli in modo che le loro componenti siano più facilmente separabili, riciclabili e riutilizzabili. Dobbiamo impiegare composti meno impattanti dal punto di vista ambientale.

Come si misurano la circolarità e la sostenibilità di un prodotto?

Per conseguire degli obiettivi di circolarità anche quantitativamente misurabili, e per rassicurare anche gli operatori economici ed il cittadino che le politiche adottate sono efficaci e concrete, è importante associare degli indicatori ai processi di produzione, consumo e fine vita dei prodotti.

Oggi c’è un dibattito vivace, sia a livello istituzionale europeo sia di ricerca, per definire indici e indicatori quantitativi che siano riproducibili e trasferibili a vari settori. Poiché la circolarità contempla diversi settori del nostro sistema economico, produttivo e sociale, un solo indice risulta quasi impossibile da definire e sarebbe riduttivo.

In prima istanza, per misurare la circolarità di un Paese, un settore, di attività economica, la statistica è comunque indispensabile, in particolare lo sono gli indicatori statistici. Enti di statistica ufficiale a vari livelli, Europeo (Eurostat) e nazionale (Istat) misurano regolarmente le pratiche di economia circolare con indagini presso le imprese e i cittadini. I dati raccolti vengono divulgati sia in forma aggregata, come indicatori appunto, che in forma grezza per chi volesse utilizzarli per ulteriori analisi.

Per fare qualche esempio, l'Istat produce un rapporto sul monitoraggio degli obiettivi dell'Agenda 2030 nel nostro Paese, stessa cosa fa Eurostat con rifermento a tutti i 27 Paesi della UE. Un'altra rilevante attività dell'Istat è la pubblicazione dei conti dei beni e servizi ambientali che misurano la produzione, il valore aggiunto, le esportazioni e l’input di lavoro associati all’offerta di prodotti ambientali, ovvero di beni e servizi che servono (o il cui utilizzo serve) alla prevenzione, riduzione e eliminazione dell’inquinamento e di ogni altra forma di degrado ambientale (protezione dell’ambiente) o alla conservazione, mantenimento e tutela delle risorse naturali (gestione delle risorse).

La Commissione europea conduce regolarmente indagini statistiche, all'interno del progetto Eurobarometro, per la verifica dell'introduzione di pratiche di economia circolare da parte delle piccole e medie imprese europee e per il monitoraggio dell'atteggiamento nei confronti dell'ambiente e dell'adozione di comportamenti sostenibili di consumo di bene e di fruizione di servizi da parte dei cittadini.

Un altro approccio che si sta diffondendo, anche come pratica comune tra le aziende, è quello dell’ LCA (Life Cycle Assessment), regolata da normativa internazionale (ISO 14040 e 14044) e sono già state pubblicate numerose linee guida per la sua applicazione.

L'LCA è una metodologia collaudata, basata a sua volta su metodi di valutazione degli impatti ambientali internazionalmente utilizzati, e consente di ottenere valutazioni appropriate degli impatti ambientali di un prodotto.

Non è nata per misurare la circolarità, ma piuttosto per identificare e quantificare gli impatti ambientali di un prodotto considerando tutte le fasi che comportano l'ottenimento delle materie prime, la realizzazione dei componenti, l'assemblaggio, la distribuzione e l'uso, il riciclo e il fine vita. Il suo utilizzo a supporto dell'economia circolare è oggi sempre più diffuso proprio perché l'LCA consente di considerare la maggior parte delle criticità ambientali associate ad esempio, ad una soluzione di riciclo rispetto ad altre, evitando di trasferire il problema ambientale in altri contesti.

Inoltre è una metodologia di valutazione multicriterio, in quanto considera diverse categorie ambientali per valutare gli impatti di un prodotto: dall'acidificazione terrestre e marina all'eutrofizzazione, dall'utilizzo del suolo al cambiamento climatico, ecc. Questo rappresenta però anche una delle sue criticità: infatti condurre uno studio di LCA è piuttosto complesso e non sempre si hanno disposizione dati certi e specifici per descrivere tutte le interconnessioni e gli impatti relativi alla vita di un prodotto. I risultati che si ottengono richiedono sempre uno sguardo critico e dovrebbero essere accompagnati da una verifica ex post per una definitiva convalida dello studio.

Cos’è la chimica circolare e in quali settori può intervenire?

La chimica dovrà focalizzarsi sulla progettazione in ottica circolare dei prodotti. E su questo i chimici, insieme agli ingegneri, possono dare contributi fondamentali.

La chimica circolare, ufficializzata come ambito di ricerca indipendente da un bell’articolo di Nature Chemistry del 2019, parte dai presupposti e dai paradigmi della chimica verde introdotti dai due chimici statunitensi Paul Warner e John Anastas all’inizio degli anni duemila, e introduce non solo una dimensione di “circolarità” (ad esempio l’atom economy diventa atom circulation), ma appunto concetti importanti quali la semplificazione e la riduzione di componenti (soprattutto quelli potenzialmente tossici) nella formulazione chimica di un prodotto, con l’obiettivo di renderne più semplice il riciclo.

Un esempio sono i materiali compositi che derivano da materiali polimerici con additivi inorganici. Questi materiali hanno molte applicazioni, ad esempio in edilizia o per rendere più leggeri gli aerei. A fine vita la separazione della parte polimerica da quella inorganica può presentare qualche problema. La semplificazione dei materiali compositi va nella direzione di migliorarne la separazione e consentire il recupero dei componenti. Esistono altre applicazioni anche nel settore del tessile.

Come si realizza la circolarità di cui abbiamo bisogno?

Ritengo personalmente che l’Europa stia adottando un approccio razionale e ben strutturato alla transizione circolare, anche se con non pochi ritardi. La definizione di un contesto normativo solido ed articolato, di azioni concrete ed associate a tempistiche di realizzazione certe, un coordinamento forte e stretto tra gli stati membri, facilitato dalla condivisione di obiettivi di sostenibilità e circolarità comuni, gli investimenti in atto per riconvertire a modelli di produzione circolare il comparto produttivo europeo sono strumenti imprescindibili per realizzare un’Europa Circolare.

Ci attendono mesi importanti per la gestione dell’acqua e dovremmo stare attenti anche all’impronta idrica delle nostre azioni. Occorre diffondere una cultura della circolarità nella popolazione, a tutti i livelli. L’Europa ci sta lavorando, ma anche Regione e ministero possono fare molto.

Credo però che sia molto importante, anzi fondamentale, anche il coinvolgimento dei cittadini, la loro convinta responsabilizzazione e presa di coscienza sulla necessità di intervenire rapidamente e in modo coordinato per preservare le risorse (materiali, energetiche e idriche) del pianeta.

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