SOCIETÀ

Afghanistan: le trattative con i talebani a un punto morto

Paolo Cotta-Ramusino, scienziato, mediatore e peacemaker, è appena tornato da Doha, dove due giorni fa ha incontrato i capi delegazione talebani: “L’accordo tra i ribelli e Usa era pronto, preparato in tutti i dettagli. Doveva essere firmato il 13 settembre, poi all’ultimo momento Trump si è tirato indietro”. Da tempo il presidente americano paventa il ritiro del costosissimo – in termini economici e di vite – contingente americano in Afghanistan, ma ha motivato l’annullamento dei colloqui di pace con l’attentato che poche ore prima aveva ucciso 12 persone, tra cui un soldato americano. Una giustificazione che lascia perplesso  lo scienziato italiano: “Ci sono attentati tutti i giorni, non è una trattativa tra amici e anche i ribelli subiscono quotidianamente attacchi: tutti vogliono approfittare della minima occasione per guadagnare terreno e presentarsi forti ai colloqui”. Sta di fatto che i Talebani sono rimasti molto sorpresi dalla mossa di Trump: “Per il momento si sono ancora impegnati a non pubblicizzare il contenuto dell’accordo, e hanno detto chiaramente che sono ancora disposti a firmare”.

I punti essenziali del compromesso, frutto di  ben nove sessioni di trattative nella capitale del Qatar sono quindi ancora segretati, ma qualcosa è trapelato: tra i passaggi salienti il ritiro graduale delle truppe statunitensi e l’apertura di una fase di trattativa che coinvolga tutte le forze sul campo, non solo il governo appoggiato dagli Usa. Nonostante l’appoggio militare internazionale infatti Kabul al momento non controlla tutto il territorio, ancora diviso in sfere d’influenza che fanno capo ai vari capitribù e signori della guerra. “Dobbiamo pensare che i Talebani sono saliti al potere proprio in opposizione ai signori della guerra, che aveva gettato nel caos il Paese dopo la ritirata dei russi nel 1989 – continua Cotta-Ramusino –. Poi ogni movimento ha bisogno di un’ideologia, e loro si sono attaccati all’Islam”.

Dal 2002 lo scienziato italiano, docente universitario di matematica fisica e membro dell’Infn, è segretario del Pugwash Conferences on Science and World Affairs, movimento internazionale per il disarmo. Da allora la sua vita è un incessante andirivieni tra le zone di conflitto più calde del pianeta: dal Medioriente all’Iran, passando per il Kashmir (“In questo momento la situazione più pericolosa”, dice). Un’opera di mediazione meritoria che nel 1995 ha fruttato alla prestigiosa istituzione il Nobel per la Pace.

Era l’ottobre 2001 e le Torri gemelle erano state abbattute da pochi gironi quando gli Stati Uniti attaccarono il governo dei talebani. Oggi, dopo 18 anni e decine di migliaia di morti (oltre 2.400 solo per gli Stati Uniti, 48 gli italiani) l’amministrazione americana deve sedersi a un tavolo con il nemico, nel tentativo di tirarsi fuori dal pantano. “Rendiamoci conto che in questi anni i potentati locali si sono tutti arricchiti con i soldi che arrivavano dagli Usa e da noi: parliamo di 1.000 miliardi di dollari – spiega Cotta-Ramusino –. Con quei soldi si sarebbe potuto costruire la Svizzera dell’Asia centrale, invece ne è venuto fuori un mostro. Oggi il Paese è completamente militarizzato, gli unici lavori disponibili sono collegati alla guerra: il soldato o il miliziano, l’informatore dei servizi segreti o l’autista di macchine blindate. Pochissimi vanno a scuola, pochi fanno un lavoro normale, la maggior parte vive le conseguenze di uno stato di conflitto permanente”.

In questi anni i potentati locali si sono tutti arricchiti con i soldi che arrivavano dagli Usa e da noi: 1000 miliardi di dollari Paolo Cotta-Ramusino

Intanto il 28 settembre tra bombe e attentati si sono tenute le elezioni presidenziali, alle quali si è ripresentato il presidente uscente Ashraf Ghani. I risultati però si sapranno solo tra qualche settimana, nella speranza di un risultato non troppo inficiato da brogli. Il problema principale rimane però quello di contenere, se non proprio risolvere, il disastro in cui il Paese è sprofondato da 40 anni, limitando almeno i massacri e cercando di evitare il coinvolgimento degli altri Paesi. Così anche i talebani sono tornati interlocutori imprescindibili, e forse in questo momento nemmeno i più feroci. Nella regione del Khorasan infatti si è formato un nuovo sedicente Stato Islamico, aspirante erede di quello siriano: “Sono loro che attualmente stimolano la conflittualità con gli Hazara sciiti (una delle etnie più perseguitate, ndr) e se le trattative dovessero andare male si rischia di fare il loro gioco. Gli Hazara infatti sostengono l’accordo”. Con gli integralisti al potere però non si rischia di far ripiombare il Paese nel medioevo, ad esempio dal punto di vista dei diritti delle donne? “Qualcosa in questi anni effettivamente è stato fatto: c’è qualche deputata o laureata, ma la situazione delle donne rimane drammatica dappertutto. In realtà tutti sanno che bisogna trattare con i Talebani, anche il governo di Kabul. Se sconfiggerli era possibile, come mai in 18 anni non ci sono ancora riusciti?”.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012