CULTURA

Gli ultimi romanzi di Bussi, altri pezzi unici fra enigmi e letteratura

Una delle opere letterarie più lette, famose, vendute e citate del Novecento è Il Piccolo Principe (Le Petit Prince) dello scrittore, aviatore e militare francese Antoine Jean Baptiste Marie Roger de Saint-Exupéry (Lione, 1900 - Riou, 1944), da qualche anno ha ampiamente superato il numero di cinquecento traduzioni in lingue e dialetti diversi ed è il testo più tradotto al mondo se si escludono Bibbia e testi religiosi. Nella forma di un romanzo per ragazzi e ragazze (parzialmente illustrato con celeberrimi acquarelli dallo stesso autore) ha entusiasmato decine di milioni di lettori e lettrici di generazioni diverse, enunciato da genitori a figli, citato da tanti in ogni occasione per singole frasi o situazioni, preso a spunto per innumerevoli studi o altre scritture fiction, riprodotto in mille versione comunicative attraverso i disegni originali e altri visionari spunti. Come forse è noto il romanzo parla dell’incontro fra un sapiens pilota di aereo precipitato nel deserto e un bambino che confessa di essere capitato lì pur vivendo sul lontano asteroide B-612 tra tre vulcani (uno inattivo) e una piccola rosa.

Visitando altri pianeti il “piccolo principe” ha incontrato un vecchio re solitario, che ama dare ordini ai suoi sudditi (sebbene ne sia l'unico abitante); un vanitoso che chiede solo di essere applaudito e ammirato (senza motivo); un ubriacone che beve proprio per dimenticare la vergogna procurata dal bere; un uomo d'affari che passa i giorni a contare le stelle, (credendo siano tutte sue); un lampionaio che deve accendere e spegnere il lampione ogni minuto, perché il suo pianeta gira a quella velocità; infine un geografo che sta seduto alla sua scrivania ma, privo di esploratori, non ha idea di come sia fatto il suo pianeta e suggerisce di visitare la Terra, sulla quale nell’ultimo anno proprio lì nel deserto ha già incontrato individui vitali di altre specie. Ciascun capitolo narra un incontro con i bizzarri personaggi, ognuno lascia il piccolo stupito e sconcertato dalla stranezza di noi "grandi" (“… non capiscono mai niente da soli, ed è faticoso, per i bambini, star sempre lì a dargli delle spiegazioni”): insegnamenti, allegorie, metafore, stereotipi? 

I due protagonisti principali fanno amicizia, si raccontano altro, sopravvivono per un poco insieme. Alla fine, forse (niente spoiler) il bambino torna da dove è venuto e forse il pilota non ne è troppo triste. Il romanzo non è verboso né lungo, una sorta di deliziosa fiaba ricca di dialoghi, ogni incontro occupa un breve capitolo. Non a caso lo abbiamo citato anche fra i consigli di lettura della nostra redazione qualche anno fa, lo abbiamo usato per fare il punto contemporaneo sugli asteroidi, continua a essere per esperti uno spunto indispensabile nelle riflessioni sulla geografia e sulla storia. Oltre che stimolare sempre nuove opere letterarie o traduzioni divertenti: Romana Petri si è ispirata al romanzo e al suo autore per un testo finalista del Premio Strega 2023 e ha avuto recente notevole successo per esempio una traduzione in maceratese (Lu pringipittu, curato da Agostino Regnicoli a fine 2022 in una collana dialettale di Vydia Edizioni D’Arte).

Il fatto è che gli autori viventi, romanzieri e saggisti, continuano a scrivere anche dopo che se ne è parlato su queste pagine ed è spesso necessario un aggiornamento costante. Lo abbiamo fatto per Don Winslow, appare interessante oggi anche per Michel Bussi rispetto agli articoli presentati meno di due anni fa, tanto più che l’autore francese ha pubblicato un testo giallo noir dedicato proprio a Saint-Exupéry: Michel Bussi, Codice 612. Chi ha ucciso il Piccolo Principe?, traduzione di Alberto Bracci Testasecca, Edizioni e/o Roma, 2023 (orig. 2021), pag. 191, ambientato sia nella Francia meridionale che su isole sparse in vari bacini oceanici.

Nel 2015 Neven Le Faou, goffo e gigantesco, ex aviatore (o aviatore mancato) e meccanico all’Aeroclub du Soleil XIII, sposato con la bionda Véronique senza figli, viene contattato al telefono dal miliardario camerunense quasi settantenne Oko Dòlo e convocato sul suo enorme yacht Diamante delle isole, al Calanque de Sormiou, vicinissimo a Marsiglia. Gli mostra una stilografica Parker 51 e i rottami di vecchie lamiere di un Lockheed P-38 Linghtning, pare risalgano a quando Antoine de Saint-Exupéry s’inabissò da quelle parti il 31 luglio 1944, trovati incidentalmente pochi anni prima. Gli propone una missione strabiliante e pericolosa: Neven dovrà pilotare un magnifico jet privato e fare squadra con la giovanissima Andie (o Ondine), detective stagista alla Fox Company, carina minuta lentigginosa, faccia tonda e capelli rossi, che va pazza per Il Piccolo Principe fin da quando era piccola, cura un blog a lui dedicato, è in contatto con i fan dell’intero pianeta e sa tutto in argomento. Devono incontrare persone molto distanti l’una dall’altra, gli altri cinque componenti del Club 612.

A differenza del mitico personaggio letterario non ci sono pianeti ma isole da frequentare (non è un caso per il geografo Bussi). Dall’isola dell’uomo d’affari (Riou, Mediterraneo) partono per l’isola della vanitosa, sorvolano il triangolo delle Bermude e giungono a Manhattan (Atlantico), dove incontrano appunto la tale ottantenne Marie-Swan. Dopo di lei, Moïsès sull’isola di Conchaita (Pacifico) a El Salvador, Izar nell’arcipelago delle Orcadi (Atlantico e Mare del Nord) presso il Regno autonomo di Herminia, Hoshi sull’isola del faro di Gedda in Arabia Saudita (Mar Rosso e Indiano), un geografo altrove (sperso forse proprio là per le Bermude). Sono sapiens molto particolari, serpenti e morte sono dietro l’angolo, continui sono appunto i richiama alle avventure del “piccolo principe”. Il tutto per scoprire cosa davvero ha ucciso sia lo scrittore (incidente, sabotaggio, suicidio, falsa scomparsa) che il suo personaggio (esistendo pure più versioni, visto che il corpo non è stato trovato dopo il morso). La trama resta estremamente arzigogolata, come in un parallelo letterario. Vi sono intrighi e colpi di scena, possibili colpevoli e richiami ad Agatha Christie, oltre che continui cortocircuiti con la biografia di Saint-Exupéry e i testi del Piccolo Principe.

L’ottimo traduttore deve chiarire fin da subito che “nonostante l’esistenza di diverse edizioni italiane” del famoso testo ha dovuto ritradurre gli innumerevoli brani citati, “per questioni di coerenza interna al romanzo”, frutto di una ventina d’anni di ricerche dell’appassionato Bussi. Tutti i fatti esposti sono veri, tutti gli aneddoti reali, tutte le citazioni (anche del manoscritto originale) fedeli, tutti i riferimenti alle esitazioni dell’autore, alle cancellature, ai disegni, alla mappa di Piri Reis del 1513 (con il pezzo tronco sulle Bermude) esatti, investigatori, componenti del club e conclusione romanzati ma plausibili. L’enigma permane ancor oggi. Non mi strapperete una parola in più sulla trama e sulla coppia di protagonisti che si danno del lei e, malgrado tutto, si piacciono. Come accennato all’inizio, si parla di un grande scrittore studiatissimo e si scoprono cose nuove, un’ulteriore ipotesi anche sulla sua scomparsa e sull’interpretazione del suo stesso capolavoro (visto che forse contiene codici segreti, da cui il titolo della nuova meticolosa documentata divertente fiction). Segnalo i silenzi, a pag. 133 (Saint-Exupéry come Pennac). Birra scura e mescal. La vie en rose al juke-box.

Nell’ultimo anno sono poi usciti altri due romanzi dello stesso autore, “pezzi unici” in linea con l’apprezzata produzione precedente, il primo è: Michel Bussi, Tre vite Una settimana, traduzione di Alberto Bracci Testasecca, Edizioni e/o Roma2023 (orig. 2023, Trois vies par semaine), pag. 429 euro 18, ambientato soprattutto dal 14 al 19 settembre 2023 in più località della Francia, ora e nel passato, con frequenti nessi in Cecoslovacchia e Cechia. S’inizia sulle Ardenne, sopra l’ansa della Meuse. Katel Marelle, capitana della gendarmeria, si ritrova un cadavere tra le braccia, caduto dal parapetto di un belvedere. Ha i documenti addosso: Renaud Duval, 46 anni, nato lì vicino, a Charleville Mèziéres. La Peugeot del morto è nascosta sotto un albero, lontana dal parcheggio. Nel vano portaoggetti vi sono tre differenti patenti con identiche fototessere (faccia lunga, capelli chiari, mascella quadrata, bocca ironica, occhi grigio chiaro, bell’uomo!) di tre individui nati lo stesso giorno, il 29 gennaio 1977: lo stesso Duval, Pierre Rousseau a Parigi (XVIII° arrondissement), Hans Bernard a Mende in Lozère.

La moglie del primo vive a Bourg-Fidèle, si chiama Agnès Nanesse Duval, fa l’assistente familiare, si prende angelicamente cura di bambini che le inviano d’urgenza, qualcuno per pochi giorni, qualcuno per anni. Ora ne ha settantanove. Katel va a trovarla e la informa. Lei quel giorno compie 47 anni, vivevano insieme da ventotto, hanno due maschi grandi (fuori per studi), lui era ingegnere alla Walor-Florennes, importante fabbrica belga di piccole componenti, figlio unico (e la suocera era morta sei anni prima dopo una lunga malattia). In parallelo, due donne attendono da un po’ il ritorno del compagno, le ama, non capiscono perché non si sia più fatto vivo: la bionda fresca volitiva Vicky Malzieu con la figlia Lola all’agriturismo della Sparviera che gestisce a Ruynes-en-Margeride nello Chantal, il camionista indipendente Hans (arriva una settimana su quattro, quell’anno 88 giorni); la bruna giovane bella intelligente autistica (sindrome di Asperger) Èlèa Simon lungo boulevard Barbés a Parigi, il ballerino giramondo Pierre (arriva quattro o cinque volte l’anno, quell’anno ventitré giorni, ma si messaggiano di continuo). Entrambe cercano di rintracciarlo, mentre capitana e moglie indagano (poco di concerto) sulla morte di Renaud. Non potranno evitare di conoscersi.

Secondo Katel, “un’indagine si riduce spesso a fare il vuoto intorno, fermare tutto e ragionare, come per un qualsiasi compito di matematica”. Sanno proprio di “giallo” le ragioni antiche e recenti di tre esistenze sincere vissute ogni stesso anno (o settimana, da cui il titolo). Anche in quest’avventura vi sono misteri incredibili e intrighi, vendette antiche e colpi di scena, minacce e violenze, ma il leitmotiv è un grande artista francese (come in altri furono Monet o Saint-Exupéry), qui lo straordinario poeta “maledetto” Arthur Rimbaud, nato nel 1854 anche lui a Charleville Mèziéres (dove è ambientato gran parte del romanzo). La mamma di Renaud ha imparato bene il francese in Boemia grazie soprattutto a lui (recitato a memoria), Pierre scrive spesso traendone spunto, il vecchio libraio amico di Pierre (ed Èlèa) a lui si ispira, i titoli dei capitoli cronologici riprendono le sue varie opere. L’altro filo conduttore riguarda l’arte delle marionette: proprio a Charleville Mèziéres da sessant’anni si svolge il Festival mondiale dei relativi Teatri; ogni due o tre anni, a settembre; in dieci giorni attira centinaia di migliaia di spettatori per assistere a più di centocinquanta spettacoli ufficiali e a quelli (ancor di più) off nelle strade; nel corso delle edizioni vi sono stati incontri decisivi per l’evoluzione dei personaggi e della trama. Un ruolo lo ha anche la cacasse “a culo nudo”, con vari vini e liquori. Spicca la musica del mitico 1956.

L’ultimo romanzo è uscito pochi giorni fa, sia in Francia che in Italia ad aprile 2024, il punto di vista è quello di una donna, bambina prima, adolescente poi: Michel Bussi, Ophélie si vendica. Il destino di Folette, traduzione di Alberto Bracci Testasecca, Edizioni e/o Roma, 2024 (orig. 2024, Mon Coeur a Déménagé), pag. 379 euro 18, ambientato sempre e solo nella Rouen dell’autore fra il 1983 e il 1999. Il 29 aprile 1983 Ophélie Folette Crochet subisce la morte della madre Maja. La bambina è nata il 10 ottobre 1976, le vuole un bene dell’anima e assiste impotente: prima sul letto dalla propria cameretta con il giovane gatto Bolduc, mentre lei parla con il tutore dei loro soldi Richard Vidame stufo del marito Jo, che li spende per alcol e droga, e lo supplica di restare perché sente il fondato terrore di poter essere ammazzata, vedendolo andar via dalla finestra dell’appartamento dove abitano (al decimo piano dell’edificio Sorano) in Volvo con una donna; poi, risvegliata dal tardivo ritorno del padre, dopo che lei le ha letto una storia dall’amato libro della favole (dove ci sono pure Mignolina e Maja) e ha cercato di farla dormire, mentre ancora tenta di calmare l’uomo, telefona di nuovo a Vidame  e presto scappa per salvare la figlia, subito rincorsa; infine sugli ipotizzati passi dei genitori per le strade del quartiere, dopo poco trovando il papà in un capannello di pompieri e la madre tre metri più in basso, stesa sull’asfalto della superstrada con le braccia larghe in mezzo ad auto ferme. Trauma cranico, dice l’autopsia.

Decide di dedicare tutta la lunga vita che ha di fronte a vendicarsi, solo a quello. Il padre è stato arrestato ma ce l’ha giustamente soprattutto con Vidame e, di conseguenza, con la sua famiglia. Cova per anni il fissato odio e una propria indagine su chi può sapere cosa sia veramente successo: la mamma si è gettata disperata o è stata spinta o è stata investita? Chi è il colpevole materiale ammesso che conti? Prima la mettono per sei anni alla Prairie sotto la supervisione dell’educatrice Béné e con l’amicizia della bellissima ribelle Nina; in seguito fa disastri, se la cava all’università, finisce anche in carcere, si riabilita; sempre con quell’obiettivo in testa, condiviso con amici e a tratti solitario, foriero di continue bugie e altri dispiaceri, indizi nuovi e scoperte sorprendenti, avventure e sventure, specie quanto il padre torna libero.

Bussi si concentra sulle terre natie e scopriamo molto su paesaggi affascinanti ed eventi tipici. La narrazione è quasi tutta in prima persona al presente, pensieri, parole e dialoghi di Ophélie dagli occhi castani. I capitoli alternano gli interlocutori, lei racconta sempre a qualcuno di loro, dandogli del “tu” fino alla svolta del 1995. La quarta e ultima parte è ambientata nella seconda metà del 1999, sempre lei a raccontare, verso la fine con rari inserti dell’amica e del padre, quello che la loro cara Folette non potrà o dovrà “mai sapere”, a legittima differenza con noi lettori del giallo. Rilevante è il ruolo di nonna Mette che è di origini danesi (come Andersen) e vive beatamente sulla costa meridionale, pensa di potersi fare un poco carico di figlia e nipote solo a distanza, muore presto ma riesce comunque a lasciare tracce decisive. Molto ruota intorno alla gestione dei centri di accoglienza e assistenza agli orfani in Francia, con minime eccezioni pubblico e privato non ci fanno una gran bella figura. Il libro importante è quello rosso e oro delle favole, ognuna insegna qualcosa; ogni tanto appare ovviamente Il Piccolo Principe. Ophélie e Nina cominciano presto con la tequila, pur imparando a non disdegnare birra rossa e vino di qualità. Alla festa esplode la chitarra di Rock this Town degli Stray Cats.

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