I funerali di Soleimani a Theran, capitale dell'Iran
Pari e patta? Dopo l’uccisione a Baghdad del generale iraniano Kassem Soleimani e la pioggia di missili iraniani sulle basi americane in Iraq, la situazione in Medio Oriente sembra di nuovo entrata in una fase di stallo. “Dalla dichiarazioni di Trump sembra proprio che per il momento finisca qui – è il commento per Il Bo Live di Renzo Guolo, docente a Padova di sociologia dell’Islam e analista tra i più ascoltati sulle questioni del Medio Oriente –. Dopodiché il confronto rimane ma probabilmente proseguirà soprattutto su altri scacchieri, a cominciare dall’Iraq e dalla Siria. Abbiamo vissuto un’altra fase acuta del lungo scontro che dal 1979 caratterizza le relazioni tra Usa e Iran, aggravato dalla scelta di Trump di uscire dall’accordo sul nucleare, che chiaramente non potrà rimanere in piedi solo con la garanzia europea”.
Professor Guolo, qual è la sua analisi sulla reazione iraniana all’uccisione del generale Soleimani?
“Si tratta di una risposta inevitabilmente di tipo militare ma anche in qualche modo contenuta: la politica estera iraniana, al di là delle rappresentazioni che ne vengono fatte e delle rispettive propagande, è infatti ispirata al realismo. Per il regime è fondamentale anzitutto che non sia messa in discussione l’esistenza e la tenuta della Repubblica islamica, e questo ha determinato una reazione tutto sommato debole a un fatto gravissimo come l’uccisione mirata del principale architetto della sua presenza strategica all’estero. Probabilmente entrambe le parti si sono rese conto che sarebbe stato molto difficile controllare un conflitto come quello che si stava innescando”.
LIVE: President @realDonaldTrump Addresses the Nation https://t.co/vRH9gVAD0N
— The White House (@WhiteHouse) January 8, 2020
Soleimani era nel mirino degli Usa da diversi anni: perché eliminarlo proprio adesso?
“Le ipotesi sono varie; c’è una ragione di politica interna, dato che Trump è attualmente sottoposto a impeachment: il quale probabilmente non avrà esito, ma siamo pur sempre nell’anno delle presidenziali e forse il presidente aveva bisogno di una prova di forza. Conta in secondo luogo la pressione da parte di un pezzo importante dell’amministrazione americana: quello che fa capo all’ala destra repubblicana e che in questi anni è stata messa in difficoltà dall’atteggiamento isolazionista di Trump. Dopo aver ceduto molto spazio ad altri attori, come la Russia di Putin e la Cina, il presidente voleva dare un segnale che gli Stati Uniti non perdono influenza, sono ancora il gendarme del mondo e la loro forza e capacità di intervento non possono essere in alcun modo sottovalutate. Trump aveva manifestato la volontà di ritirarsi da un’area che, soprattutto dopo che gli Usa hanno raggiunto una sorta di autosufficienza energetica, ha perso interesse agli occhi degli americani, ma questo per l’apparato politico-militare significa venir meno a una politica che dura fin dal 1945. Un terzo elemento da tenere in considerazione è che l’influenza degli iraniani è molto aumentata con il conflitto in Siria, unito al permanere della frammentazione etnico-confessionale in Iraq e al crescente controllo sulle comunità sciite della regione. Tutte cose che, oltre agli Stati Uniti, preoccupano molto Israele e Arabia Saudita, assieme a tutti gli altri attori che considerano la Repubblica islamica una minaccia”.
Renzo Guolo, sociologo dell’Islam ed esperto di Medio Oriente
“ il rapporto tra Usa e Iran dipende molto dai rispetti equilibri interni, e questo vale anche per la società iraniana
In questi oltre 40 anni i rapporti tra Stati Uniti e Iran hanno conosciuto alti e bassi.
“Anche per effetto delle rispettive leadership: con Clinton e Obama ad esempio le relazioni diplomatiche sono migliorate, mentre sono precipitate soprattutto dopo l’intervento americano in Iraq, che la Repubblica islamica ha percepito come un attacco alla sua stessa esistenza, e ha reagito mandando al potere Ahmadinejad. Direi che il rapporto tra i due Stati dipende molto dai rispettivi equilibri interni, e questo vale anche per la società iraniana, che contrariamente a quanto si pensa non è granitica ma governata da un’oligarchia di fazioni, con un forte dibattito interno e visioni anche molto differenti”.
Quest’anno ci saranno le presidenziali negli Usa, ma anche le elezioni in Iran. Cosa dobbiamo aspettarci?
“Vedremo. Lo scontro favorisce senza dubbio il riflesso nazionalistico ma non dimentichiamo che l’imponente protesta di poche settimane fa in Iran, nata per l’aumento dei prezzi della benzina, ha rivelato che il Paese sta vivendo una situazione di grandissima difficoltà economica. A questo riguardo bisogna prendere atto che le sanzioni americane stanno funzionando, inoltre una parte della società iraniana contestava al regime proprio il fatto di usare per operazioni esterne risorse che avrebbero potuto essere impiegate per migliorare il tenore di vita della popolazione. Vedremo comunque come sarà gestita questa fase, visto che in Iran le candidature vanno preventivamente approvate dal consiglio di guardiani e in ultima istanza dalla guida suprema Ali Khamenei. Altra questione è come andranno le elezioni presidenziali americane. Come ho detto non è da escludere l’origine interna della crisi: a novembre vedremo se gli americani penseranno a un’alternativa oppure se, come spesso accade, decideranno di stringersi attorno al loro presidente”.