CULTURA

Una vergogna lunga 80 anni

“Infamia tedesca”, così si legge sul calendario della famiglia Sestieri al giorno 16 ottobre 1943. È la data simbolo della Shoah italiana, “l’ora più buia” dell’ebraismo italiano, quando oltre mille cittadini e cittadine italiani, di ogni età, furono arrestati da un reparto della polizia tedesca e deportati ad Auschwitz-Birkenau. La storia di quel giorno comincia in realtà con l’occupazione nazista di Roma, il 10 settembre 1943, un paio di giorni dopo l’armistizio. Fino a settembre l’Italia era rimasta un luogo sicuro per le vite degli ebrei. Erano stati colpiti dalle leggi razziali volute ed emanate da Mussolini nell’autunno del 1938, avevano perso il lavoro, erano stati cacciati dal partito fascista e dall’esercito, erano stati umiliati con i lavori forzati, erano stati inviati in gran numero al confino. Ma nonostante questa odiosa politica discriminatoria, non erano ancora stati consegnati ai nazisti.

Anche per questo all’inizio il pericolo derivante dall’occupazione tedesca non fu pienamente percepito. Pochi si misero in salvo, ancora meno cercarono di avvertire le comunità del rischio. Si era in Italia, si era a Roma, si viveva all’ombra di San Pietro, sotto l’ombrello protettivo del Vaticano. E poi, chi poteva fidarsi delle poche e incerte notizie che arrivavano dall’Est dell’Europa? Come si poteva credere, nell'Europa del XX secolo, alle stragi consumate in Ucraina, alle camere a gas in Polonia?

Così, dopo che a settembre il comandante della polizia tedesca a Roma Herbert Kappler era riuscito ad estorcere, sotto minaccia di deportare 200 capifamiglia, ben 50 chili d’oro alla Comunità di Roma, ci si sentiva sicuri che nulla sarebbe più successo. D’altronde, si credeva, i tedeschi erano uomini di parola. Brutali, alle volte spietati, ma di parola.

E infatti non fu Kappler a compiere l’operazione del 16 ottobre, ma Theodor Dannecker, un nazista fanatico, uno specialista della persecuzione già noto per aver organizzato le deportazioni degli ebrei di Parigi.

All’inizio il pericolo derivante dall’occupazione tedesca non fu pienamente percepito

Dannecker arrivò a Roma all’inizio di ottobre, al comando di un reparto di polizia forte di oltre 300 uomini. Non parlava italiano né conosceva la città, e dovette per forza farsi aiutare dalla questura. Rinchiusi in una caserma, i poliziotti furono costretti a preparare le liste degli ebrei da deportare, suddividendoli per zone, per facilitare gli arresti.

Di questi argomenti, si discute nella puntata RAI di "Storie contemporanee" dal titolo "Roma 16 ottobre 1943. Spie e vittime".

Pioveva, quella mattina di sabato 16 ottobre. Molti uomini erano usciti molto presto per fare la fila per le sigarette, una merce rara e razionata proprio da quel giorno. Le famiglie erano in casa, ignare del pericolo incombente.

All’alba, i poliziotti tedeschi si sparpagliarono per tutta la città, in alcuni casi raggiungendo anche l’estrema periferia. Entrarono negli appartamenti prendendo a calci le porte, buttando giù dai letti le famiglie ancora addormentate. Per prima cosa strapparono i fili del telefono, quando c’era, poi consegnarono un bigliettino scritto in italiano ingiungendo di abbandonare la casa entro 20 minuti e di non lasciare nessuno, neanche i “malati gravissimi” perché, si legge sempre sul biglietto, “infermeria si trova nel campo”. Gli arresti si svolsero in un’atmosfera di terrore e di caos. Trascinati fuori dalle case, gli ebrei della zona dell’ex Ghetto furono concentrati in via di Portico d’Ottavia in attesa che i neri, lugubri camion della Wehrmacht li trasferissero in via della Lungara, in una caserma dell’esercito italiano.

Alcuni riuscirono a scappare. O perché avvertiti dai parenti e dagli amici, o perché con enorme sangue freddo, si diedero alla fuga vagando per ore o giorni per la città, in cerca di un rifugio. Molti bussarono alle porte dei conventi e delle parrocchie, trovando una sistemazione precaria. Altri scapparono da amici “ariani”, altri ancora furono salvati da perfetti sconosciuti che, avendo capito la situazione, aprirono le porte delle loro case senza fare troppe domande.

In via della Lungara gli ebrei rimasero due giorni. Il 18, il treno partì per Auschwitz, dove arrivò il 23.

Di questi sventurati, fecero ritorno alle loro case 15 uomini, una donna e nessun bambino.


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