CULTURA
Viaggio in Italia. Le Grotte di Catullo, l'area archeologica che domina il Lago di Garda
Le Grotte di Catullo a Sirmione, Lago di Garda. Foto: Toni Anzenberger / Anzenberger/ Contrasto
Con quale gioia e felicità ti rivedo / Sirmione, gioiello delle penisole e delle isole, / fra tutte quelle che il duplice Nettuno accoglie nei / chiari laghi e nei vasti mari! / A stento credo di aver lasciato la Tinia / e le terre bitinie e di rivederti fuori da ogni pericolo. / ...Salve, o bella Sirmione, gioisci del tuo signore; / e gioite voi, o Lidie onde del lago: / risuonate, risate tutte della casa. Catullo
L'energia è potente, così la luce. Il cielo è l'unico tetto. Quassù il vento prova a soffiare più forte e i gabbiani si fanno cullare, restando sospesi per qualche secondo, senza opporsi. Lo sguardo si insinua tra gli archi, supera lo spazio delle terrazze e nelle giornate limpide arriva lontano: raggiunge la rocca di Manerba e il golfo di Salò sulla sponda bresciana, scorge Lazise, Bardolino e Garda su quella veronese, e si perde nelle acque (sotto i nostri occhi, limpidissime) del Lago di Garda, anche conosciuto con il nome di Benaco, che qui si mostra impetuoso e si finge infinito. Lo scriveva persino Virgilio nelle Georgiche: Benaco che si gonfia con flutti e impeto di mare?
Passeggiando tra i sentieri, gli olivi secolari, le rovine delle Grotte di Catullo si ha la sensazione di essere stati catapultati, all'improvviso, in un'altra dimensione, oltre il tempo. Questo luogo custodisce il segreto e il fascino di una storia antichissima ma che ancora oggi ci parla.
All'estremità della penisola di Sirmione, sulla sponda bresciana del lago, si mostra in tutta la sua decadente e, al tempo stesso, grandiosa bellezza quel che resta di una villa romana edificata tra la fine del I secolo a.C. e l'inizio del I secolo d.C. che si estendeva su una superficie di 2 ettari. Abbandonata tra il III e il IV secolo d.C., tra la fine del IV e gli inizi del V secolo d.C. divenne parte della struttura difensiva della penisola e le sue rovine accolsero una necropoli.
Il criptoportico delle Grotte di Catullo, Lago di Garda. Foto: Toni Anzenberger / Anzenberger/ Contrasto
Nel Quattrocento i primi viaggiatori scambiarono per grotte naturali le rovine dell’edificio immerse nella fitta vegetazione: nei vani crollati, inglobati nel verde, si poteva entrare come fossero cavità naturali. La definizione di "Grotte", dunque, indicava i locali ipogei. Ma perché "di Catullo"? Perché, in passato, si pensava che la villa fosse appartenuta al poeta veronese che a Sirmione dedicò celebri versi e proprio in questi luoghi possedeva una casa: non questa però, la villa infatti fu costruita dopo la sua morte, avvenuta nel 54 a.C. Si tratta di due fraintendimenti, ormai svelati e risolti, che ancora oggi definiscono l'intera area archeologica di proprietà statale, donandole il nome.
Ad avviare la costruzione della villa in epoca augustea, con buona probabilità, fu una famiglia veronese di alto rango. E nel II secolo a.C. questa appartenne forse a Caio Erennio Ceciliano, questore della Gallia Narbonese, membro del Senato romano e patrono di Verona. La struttura dell'edificio a pianta rettangolare (167 x 105 metri) era costituita da una parte centrale con un giardino circondato da un colonnato e due avancorpi sui lati corti: uno a sud, che ospitava l’ingresso, l’altro a nord, con la terrazza-belvedere, collegata con altre terrazze e porticati sui lati lunghi. Il terreno inclinato, che caratterizza l'ambiente naturale che la accoglie, costrinse i costruttori a cercare soluzioni di sostegno e adattamento: in alcune parti vi erano tre livelli, in altre due e nel settore meridionale il piano era unico.
Le Grotte di Catullo a Sirmione, Lago di Garda. Foto: Berthold Steinhilber/ laif
Oggi l'apparato decorativo è andato in gran perduto ma della villa si possono ammirare le rovine di una architettura monumentale: il portico nascosto detto, appunto, criptoportico, che occupava il livello intermedio, sosteneva quello superiore e fungeva da passeggiata coperta, e le botteghe, ovvero la fila di strutture di sostegno voltate, con apertura verso l'esterno. E ancora, le tracce del settore terme, con la piscina rettangolare scavata nella roccia e i bagni - il frigidarium con la vasca centrale, il tepidarium di passaggio e il calidarium dove sono stati trovati tubi di cotto, parte del sistema di riscaldamento -, l'ingresso del criptoportico degli stucchi, scavato nella roccia e utilizzato probabilmente per trasportare legna e carbone di legna verso la caldaia, la cisterna per le riserve d'acqua e la grande cisterna, spazio sotterraneo di 47 metri (dove non si può accedere), coperto da una pavimentazione in opus spicatum, mattoncini rettangolari a lisca di pesce, che divideva questi ambienti dal grande peristilio, ovvero il cortile circondato da portici, oggi scomparsi, dove ora si trova un grande oliveto con 200 olivi (alcuni secolari con una età stimata tra i 400 e i 500 anni) e 1200 piante delle varietà tradizionali del Garda.
Dopo aver ammirato il lungo corridoio (allo stesso livello del criptoportico) con la trifora del paradiso, una stanza belvedere destinata agli ospiti con una vista eccezionale sulla sponda veronese del lago, il panorama dalla terrazza, il grande pilone che dà l'idea della imponenza della villa, l'area delle sostruzioni nord con l'aula dei giganti e il campo delle noci, il visitatore può infine entrare nel museo archeologico, aperto nel 1999, dove sono raccolti i reperti più significativi recuperati negli scavi che hanno interessato il sito e condotti, con finalità scientifiche, a partire dalla metà dell’Ottocento per volere del conte veronese Giovanni Girolamo Orti Manara. In tempi recenti, invece, tra il 1947 e il 1949, a seguito dell’acquisizione pubblica dell’area, furono eseguite ricerche che portarono alla pubblicazione della prima guida dedicata, nel 1956.
Qui le informazioni per la visita.