Stampa 3D Berchet, Padova
Dopo la ricostruzione del volto di Francesco Petrarca, Giovanni Battista Morgagni e sant’Antonio, esposti nell’ambito della mostra Facce. I molti volti della storia umana, è ora la volta di san Valentino. I resti, conservati nell’oratorio di san Giorgio a Monselice insieme ad altri 26 corpi di presunti martiri, sono stati studiati da un gruppo di scienziati dell’università di Padova, in collaborazione con Arc-Team. “L’intenzione – spiegano i ricercatori – è di estendere le analisi a tutti i resti scheletrici presenti nell’oratorio: se dovessero costituire infatti il campione di una stessa popolazione paleocristiana, potrebbero restituirci informazioni molto importanti”.
Il corpo di san Valentino giunse nella città della Rocca dai “cimiteri romani” intorno al 1720 grazie all’interessamento di Nicolò Duodo che lo ottenne da papa Clemente XI insieme a reliquie di altri martiri. Dei corpi presenti nell’oratorio, tra cui Valentino, venne fatta una prima ricognizione negli anni Ottanta del Novecento da un team coordinato da Vito Terribile Wiel Marin, allora docente all’università di Padova. Le tecniche di indagine oggi a disposizione hanno suggerito tuttavia di continuare dove allora non era stato possibile.
I nuovi studi hanno avuto inizio nel maggio del 2017. Nel corso della ricognizione è stato condotto un esame antropologico dei resti scheletrici per risalire allo stile di vita e a eventuali patologie. Successivamente sono stati prelevati dei campioni di tessuto osseo per effettuare una datazione radiometrica dello scheletro. È stata effettuata inoltre una documentazione fotografica di tutte le operazioni svolte, e un rilievo tridimensionale del cranio e della mandibola, utile alla ricostruzione facciale forense con tecniche digitali. Il rilievo è stato svolto con tecniche note con il nome di Structure from Motion e Multi-View Stereo Reconstruction. Infine, sul modello digitale così ottenuto sono stati inseriti i muscoli facciali utilizzando gli indicatori di tessuti molli e ottenendo, in questo modo, l’immagine tridimensionale del volto.
Le fasi della ricostruzione del volto. Foto Cicero Moraes, Arc-Team
L’analisi antropologica consente innanzitutto di affermare che il corpo appartiene a un uomo sui 25 anni, alto circa 166 centimetri. “Il cranio – spiega Nicola Carrara del gruppo di ricerca – presenta caratteristiche attribuibili al sesso maschile. La mandibola conferma la diagnosi di sesso ed è di aspetto robusto, il mento è pronunciato. L’usura dentaria è compatibile con un’età di 20-24 anni. Sui denti abbiamo riscontrato carie e tartaro, da cui deduciamo che l’alimentazione dell’individuo era rappresentata sia da carboidrati che da proteine. Abbiamo osservato anche segni di ipoplasia, riconducibili a episodi di carenze nutritizie durante la prima infanzia, tra i 4 e i 6 anni”. Il resto del corpo è sostanzialmente completo; le ossa del bacino confermano trattarsi di un maschio. Stando ai risultati dell’esame al radiocarbonio, infine, il giovane uomo visse in un periodo compreso tra il 119 d.C. e il 338 d.C.
Si tratta dunque del celebre santo degli innamorati? “Gli elementi in nostro possesso – afferma Alberto Zanatta che ha coordinato il gruppo – non ci consentono di avere la certezza che lo sia. Indagini di questo tipo si caratterizzano per la loro multidisciplinarietà e si avvalgono dell’apporto di discipline che vanno dall’antropologia, alla paleopatologia, alla storia, dall’informatica all’archeologia. In questo caso i dati storici sono troppo scarsi, e non univoci, per tentare di dare delle risposte”. E in effetti se si sfoglia qualche pagina di storia, la questione appare alquanto intricata. Sembra infatti che di martiri con lo stesso nome, la stessa data dell’anniversario (14 febbraio) e il centro di culto nella stessa via Flaminia, uno al II e uno al LXIV miglio, ce ne siano stati due, un Valentino prete romano e un Valentino vescovo di Terni. E ancora oggi è dubbio se si tratti di due figure distinte o dello “sdoppiamento” della stessa persona. A ciò si aggiunga che oltre al Valentino conservato a Monselice, sembrerebbero esistere resti del santo anche nella vicina Este, oltre che a Terni, a Roma, a Sassocorvaro nelle Marche.
Se l’esame al radiocarbonio condotto su alcuni campioni di tessuto osseo sembra lasciare ben sperare, dato che l’intervallo di tempo in cui è vissuto il giovane uomo trova corrispondenza con l’epoca in cui si vorrebbe vissuto san Valentino (III secolo), in altra direzione vanno alcuni dei risultati dell’esame antropologico. “Secondo le fonti storiche – osserva Carrara – San Valentino sarebbe stato martirizzato tramite decapitazione, per questo abbiamo prestato particolare attenzione alle vertebre cervicali presenti, le prime tre e la quinta: in caso di decapitazione, infatti, sono queste che presentano i segni del trauma violento. Dalla nostra osservazione le vertebre cervicali non sono compatibili con la decapitazione e si presentano complete e integre. Il corpo rinvenuto, inoltre, è di un giovane uomo, mentre la tradizione vorrebbe San Valentino morto in tarda età”.
A seguire il progetto è stato un team interdisciplinare composto da studiosi dell’università di Padova (Alberto Zanatta, Nicola Carrara e Cinzia Scaggion del Centro di Ateneo per i Musei, Fabio Zampieri del dipartimento di Scienze cardiologiche, toraciche e vascolari e Monica Panetto) e dell’Arc-Team (Luca Bezzi e Cicero Moraes).