SCIENZA E RICERCA

Incendi: strategie e tecnologie per la gestione e la prevenzione

L'Italia brucia - nel Carso, in Versilia, nei boschi della Maremma, nel Materano e in Veneto, a Bibione e nel Veronese -, e le temperature di questa estate rovente fanno aumentare il rischio di incendi anche nel resto del Paese. Di gestione e prevenzione degli incendi boschivi parliamo con Emanuele Lingua del dipartimento Tesaf dell'università di Padova, docente del corso in Gestione degli incendi e dei disturbi di natura abiotica. 

"La stagione degli incendi, nel nord del nostro Paese, è tendenzialmente quella invernale - spiega -. A marzo di quest’anno, per esempio, abbiamo avuto diversi incendi nel periodo che potremmo definire 'giusto', o meglio, quello che ci aspettavamo: a fine inverno, il periodo più secco nelle Alpi, dal Piemonte al Friuli. Al sud la stagione degli incendi è l'estate. Nel contesto dei cambiamenti climatici, oltre all'aumento delle temperature, un problema rilevante consiste proprio nel fatto che i disturbi naturali stanno cambiando stagionalità e intensità. D'inverno gli incendi sono tendenzialmente radenti, spesso fanno tanta strada ma non molto danno, e le piante arboree possono sopravvivere. Mentre quando avvengono d'estate, sugli stessi popolamenti, si crea il vero problema, perché possono passare più facilmente in chioma e a quel punto la pianta non sopravvive". 

Quali sono le condizioni capaci di favorire gli incendi?

"I fattori che influenzano il comportamento di un incendio e la sua propagazione, anche in relazione all'incremento dell'intensità del fronte di fiamma e, quindi, dell'energia sprigionata dall'incendio, con i conseguenti effetti sui boschi, sono tre: la topografia, la disponibilità di combustibile e le condizioni meteorologiche. La topografia è fissa, con caratteristiche che non cambiano nel tempo, almeno non nel breve periodo: tendenzialmente sappiamo che in pendenza l'incendio può accelerare e raggiungere intensità maggiori. Ma oggi non ci preoccupa molto questo aspetto, sono le altre due componenti che, in giornate come queste, possono far partire un incendio ad elevata intensità: le condizioni meteorologiche e i combustibili, ovvero qualsiasi cosa che sia in grado di bruciare, nel nostro caso i boschi, la vegetazione, soprattutto quella morta, che è disidratata ed è in equilibrio con l'umidità atmosferica. Quindi, in condizioni aride, il combustibile si disidrata ancora di più: essendo molto secco, è sufficiente una piccolissima quantità di energia per far partire la combustione. Finché c'è un po' di umidità all'interno del combustibile, l'energia viene utilizzata dall'acqua per evaporare: per questo motivo, in realtà, uno o due giorni di caldo non vanno a influire sulla predisposizione del combustibile a un incendio, non aumentano in modo significativo il rischio. Le cose cambiano quando si presentano diversi giorni di seguito senza precipitazioni e con temperature alte: il combustibile si disidrata sempre di più. Arriviamo così a condizioni di rischio anche estremo, come quello di questi giorni".

Ci sono indici in grado di farci comprendere il reale rischio di incendi?

"Sì, sono basati su variabili meteorologiche: temperatura, umidità relativa, quindi dell'aria, giorni trascorsi dall'ultima precipitazione e velocità del vento. Quando c'è vento aumenta esponenzialmente la pericolosità dell'incendio, perché aumentano la velocità di avanzamento e l'intensità della fiamma. Se non c'è vento l'incendio può restare radente, bruciare lo strato erbaceo arbustivo, e così può essere controllato senza minacciare la popolazione, anche perché vi è meno fumo. Quando invece vi è pendenza e molto vento, le fiamme si alzano e passano in chioma ed è tutta la pianta a bruciare: assistiamo a incendi con fiamme alte anche 30 o 40 metri, in quel caso l'intensità è altissima e non possiamo pensare di agire da terra, con operatori impegnati vicino al fronte di fiamma per cercare di spegnere l'incendio, dobbiamo al contrario restare distanti e, al massimo, impiegare i mezzi aerei che, però, non servono a spegnere gli incendi ma servono ad abbassare l'intensità delle fiamme, perché poi gli incendi si spengono sempre a terra. Quindi l'uso dei mezzi aerei serve per abbassare l'intensità, ridurre la velocità di propagazione e creare delle zone bagnate, magari anche con ritardanti capaci di far rallentare l'incendio e diminuire l'altezza di fiamma. Tornando alla situazione attuale: le condizioni meteo fanno sì che il combustibile presente sia predisposto a incendiarsi velocemente e a propagare la fiamma in tempi rapidi, inoltre oggi abbiamo molto più combustibile di quello che avevamo in passato".

Questo cosa significa?

"Una volta avevamo meno boschi, una vegetazione più bassa, popolamenti più radi. Tra boschi e formazioni semi-naturali, era un paesaggio con meno continuità, quindi spesso e volentieri si riuscivano a controllare gli incendi fino a una certa intensità perché si presentano frammentati e frammentato era il combustibile. Adesso ci sono sempre più boschi e sono più ricchi di biomassa. Intendiamoci, in natura il fuoco ha un suo ruolo: serve a creare spazio per nuove generazioni e abbassare la quantità di biomassa. Ci sono addirittura delle specie che si rinnovano esclusivamente dopo il passaggio del fuoco. Quindi il ruolo degli incendi è complesso. Il problema è che in mezzo ci siamo noi, per questo non possiamo permetterci che avvengano incendi di grandi dimensioni, anche e soprattutto perché si presenta il problema delle emissioni, pericolose per la salute degli esseri umani".

I disturbi naturali stanno cambiando stagionalità e intensità

Quale il rischio se la situazione non cambia?

"Il problema attuale è che abbiamo tanti giorni di seguito con temperature medie più elevate di 30 gradi e senza precipitazioni: il rischio è cumulativo, continua ad aumentare, per cui ogniqualvolta ci sarà una scintilla, un barbecue abbandonato, un mozzicone di sigaretta o, ancora, quando qualcuno deliberatamente accenderà un fuoco, ecco, in queste giornate, sarà molto difficile controllare un eventuale incendio. Le scintille, le cause di innesco ci sono quotidianamente: in certi periodi anche più di adesso, ma in quei periodi magari l'erba è verde, è umida: se inizia, l'incendio si spegne immediatamente. In risposta a una eventuale segnalazione, riesco ad arrivare ed estinguere velocemente l'incendio. Nelle condizioni attuali è difficilissimo, perché appena si presenta una causa di innesco questa si sviluppa subito: il combustibile è come se fosse carta, completamente disidratato. In questo periodo l'erba dovrebbe essere ancora verde, vitale, con un alto contenuto idrico, invece è secca. Gli incendi partono sempre da un combustibile erbaceo o di superficie, poi man mano che aumentano d'intensità e arrivano in bosco interessano combustibili più alti, più grandi, quindi arbusti e alberi, e a quel possono diventare incontrollabili. Bisogna solo sperare che cambino le condizioni meteo e si può pensare di lavorare solo ai margini dell'incendio, creando fasce senza combustibile, cercando di proteggere le abitazioni, aspettando le precipitazioni o un cambio di versante se questo avviene in montagna. L'interfaccia urbano-foresta, o urbano-rurale, è sempre più difficile da gestire perché la componente semi-naturale è più selvaggia e noi non siamo culturalmente abituati a gestire questo ambiente. L'incendio può partire dal bosco e raggiungere le case oppure può partire dalle case, da un barbecue dimenticato, e raggiungere il bosco. A queste cause si aggiungono quelle non direttamente imputabili al comportamento umano ma legate comunque all'attività antropica: la scintilla della rotaia del treno o, se c'è vento, una pianta che crolla sui tralicci scatenando l'incendio. E anche quando si parla di causa umana, ricordiamoci che gli incendi dolosi sono pochi: quelli che deliberatamente appiccano un incendio o piromani o hanno un interesse, ma siccome da anni esistono vincoli stringenti sulle aree incendiate, che possono durare fino a 15 anni, quest'ultimo aspetto è meno problematico. Più frequentemente, invece, può succedere che un agricoltore, dopo la potatura, bruci materiali di risulta e se ne vada pensando, sbagliando, di aver spento il falò. Per questo, quando il rischio incendi è così alto, come in questi giorni, non si possono accendere fuochi, neanche quelli di campeggio. In questo periodo le aree delle diverse regioni italiane sono bollate con il colore rosso e viola, a seconda del rischio: questo è visibile su una carta aggiornata diffusa quotidianamente dal sito di EFFIS del sistema Copernicus che si basa sull'indice FWI (Fire Weather Index) canadese. Anche per il Veneto esiste un bollettino dell'indice che riporta le aree più a rischio ed è pubblicato giornalmente dall'Arpav". 

Come possiamo leggere questo indice?

"Se oggi nell'area rossa partisse un incendio, questo sarebbe difficilmente controllabile. Con il viola siamo di fronte a una situazione di extreme danger. Il nero, poi, è stato inserito dopo gli incendi australiani, fuori scala. Per quanto riguarda l'Italia siamo già molto alti: la situazione richiede massima attenzione e per questo alcune attività sono vietate. In queste aree Protezione Civile, servizi Aib, ex Corpo forestale dello Stato, ora Carabinieri, e Vigili del fuoco, possono mettere in campo altre strategie: intensificare il monitoraggio, dislocare qualche mezzo Aib e inviare pattuglie per l'osservazione. Ogni regione si organizza in maniera differente". 

Con i dati satellitari possiamo perimetrare gli incendi, valutarne la severità su una determinata zona

Quanto tempo ci vuole perché, dopo un incendio, la natura riesca a rigenerarsi? 

"Dipende da tanti fattori, in primo luogo dalla severità dell'incendio: dopo quello radente si può tornare sulla zona l'anno successivo e fare persino fatica a riconoscerne le tracce, questo perché le fiamme consumano lo strato erbaceo e arbustivo e dopo un anno c'è nuova vegetazione. Se invece l'incendio è di chioma, le piante vengono bruciate completamente e in questo caso tutto è nero, terra e alberi. Ci vorranno diversi anni per la rinnovazione, ma anche qui dipende dalle specie presenti nel sito: ce ne sono alcune che il fuoco lo vogliono, conifere che si rinnovano esclusivamente dopo il passaggio del fuoco. Il caso della sequoia gigante è abbastanza emblematico, ma ci sono specie che sono ancora più legate al passaggio degli incendi: ve ne sono alcune mediterranee il cui seme si apre solo se soggetto al calore dell'incendio. Altre specie invece non hanno tratti adattativi, non sono resistenti e resilienti: il pino nero, scelto per il rimboschimento del Carso nel secolo scorso, non ha adattamenti per l'incendio, brucia molto, grazie alle resine, e in chioma raggiunge un'alta intensità. In questo caso siamo di fronte a una mortalità completa. Le latifoglie invece possono emettere subito polloni alla base e ripartire. Per rivedere il bosco come era, serviranno almeno gli anni che ci hanno messo le piante a raggiungere la maturità. Se parliamo invece di un popolamento forestale capace di riaffermarsi in quei siti, ci potrebbero volere meno anni, qualche decina. Ma, ripeto, dipende dalle specie presenti. Noi possiamo accelerare queste dinamiche, dove necessario, attraverso azioni di rimboschimento e, prima ancora, di stabilizzazione del suolo". 

Quali tecnologie possono contribuire alla prevenzione e alla gestione degli incendi?

"Rispetto al passato, grazie a tutti i sistemi di monitoraggio, abbiamo molte più informazioni a disposizione. Abbiamo una serie di stazioni meteo che, in tempo reale, ci forniscono dati sulle condizioni climatiche per i parametri principali, quelle che vengono utilizzate per calcolare l'indice di previsione del pericolo. Abbiamo poi a disposizione informazioni, anche spazializzate, utilizzabili in fase di previsione, in tempo reale ma soprattutto per il post incendio. Con i dati satellitari possiamo perimetrare gli incendi, valutarne la severità su una determinata zona - utilizzando degli indici di vegetazione che sfruttano rapporti tra bande di immagini satellitari, le quali catturano diverse lunghezze d'onda della luce riflessa dalla vegetazione - e, considerando le aree a maggior severità, dove il danno all'ecosistema può essere più importante, possiamo andare a fare gli interventi prioritari o valutarne subito le condizioni per questioni di sicurezza idrogeologica. Questo per quanto riguarda l'azione di intervento post-evento, ma è importante anche la fase preventiva: abbiamo il Piano antincendio, che ogni regione deve predisporre, che calcola il rischio storico, ambientale, antropico, per valutare, anche statisticamente, dove sono le più probabili aree di innesco, quali sono le formazioni più propense all'incendio. Ultimamente si stanno utilizzando anche dei modelli, delle simulazioni del comportamento degli incendi al computer: li facciamo partire e vediamo come si comportano, questo ci permette di aggiungere informazioni alla pianificazione, per capire per esempio dove dobbiamo andare a fare interventi preventivi per cercare di ridurre il pericolo. Risulta fondamentale conoscere il combustibile, che è il tassello più debole di tutta la catena, perché la topografia la conosciamo benissimo, abbiamo modelli digitali del mondo con definizioni che ormai sono sotto il metro, e lo stesso discorso vale per le condizioni meteo, grazie alle centraline. Ma per i combustibili invece non abbiamo delle carte accurate perché la vegetazione cambia continuamente e non possiamo ottenere tutte le informazioni del combustibile forestale per ogni metro quadro, è impossibile. Ecco invece che, con i dati satellitari e soprattutto con i dati LiDAR ottenuti da laser scanner aviotrasportati, possiamo ottenere informazioni sulla quantità e sulla struttura verticale del combustibile, che è quello che ci permette di rispondere a una domanda: se l'incendio passerà in quel punto rimarrà radente o passerà in chioma? Se io non so quanto le chiome siano vicine al suolo, non posso rispondere. Con uno strumento capace di fornirmi parametri per stimare il rischio, posso invece migliorare molto la predizione del comportamento di un incendio in una zona e fare degli interventi, come la cosiddetta selvicoltura preventiva, in cui alcune squadre vengono impiegate per 'spalcare' gli alberi, ovvero tagliare i rami bassi in modo tale che ci sia separazione tra il combustibile di superficie e quello aereo. Soprattutto vicino alle case, ai campeggi. Sempre in prossimità dei centri abitati posso intervenire con i diradamenti, separando gli alberi, creando delle barriere contro la propagazione dell'incendio: si tratta di una pratica che ha anche ottime ripercussioni nei confronti della resistenza alla siccità per le singole piante, nel contesto dei cambiamenti climatici. E ancora, possono intervenire nelle aree a rischio, per esempio sostituendo il pino nero con specie meno infiammabili, creando fasce verdi che andrebbero a cambiare il comportamento dell'incendio e dove sarebbe anche più facile intervenire per estinguerlo. Tutti questi interventi preventivi costano. Una volta erano praticamente automatici: del bosco la gente utilizzava tutto, non veniva lasciato un pezzo di legno secco, si raccoglieva il legno per scaldarsi, e le foglie servivano a riempire i materassi e per gli animali. Non c'era combustibile in bosco, ora invece si sta accumulando perché i boschi ora sono più naturali e queste dinamiche portano anche aumentare il rischio. Noi possiamo lavorare nelle zone del territorio più a rischio, quelle che individuiamo con la pianificazione, riducendo la quantità di combustibile in modo da rendere più efficace l'attività di estinzione, oppure per precludere il passaggio del fuoco e soprattutto per impedire il passaggio da radente a chioma ed evitare il fenomeno dello spotting fire, il pericolosissimo salto di faville, che può arrivare a decine di metri e a volte anche a chilometri di distanza".

Si stanno utilizzando anche dei modelli, delle simulazioni del comportamento degli incendi al computer

Per approfondire

Rischio incendi. Il sito del Dipartimento della Protezione civile presenta informazioni e dati relativi a cause, fattori predisponenti, tipi di incendio e danni. A questi si aggiungono le raccomandazioni per la popolazione.

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