CULTURA

Mario Sironi, la forza della forma

Pochi artisti del nostro secolo hanno identificato l’arte con l’architettura, come Sironi. Pochi ne hanno sentito come lui il fascino e il significato. Per Sironi l’architettura non è una forma d’arte, ma la definizione stessa d’arte. L’arte è sempre architettura, cioè forza costruttiva”. Così Elena Pontiggia, tra le massime studiose del pittore romano (benché nato a Sassari e molto legato a Milano). Sarà la superiorità della forma rispetto al colore che si riscontra nei suoi quadri, saranno anche gli studi in architettura: certamente a evidenziare il senso della costruzione dell’immagine e la monumentalità delle figurter sono state anche le grandi superfici affrescate e decorate dall’artista nel corso della sua carriera, come il palazzo di giustizia e il palazzo dell’informazione di Milano e parecchie università, a partire da Sapienza e Ca’ Foscari (mentre per Padova Sironi risultò perdente nel concorso lanciato per affrescare il Liviano, vinto dall’amico/rivale Massimo Campigli). Merito anche della famosa “legge del 2%”, che per ogni nuova opera pubblica prevedeva che una quota dell'importo dei lavori venisse destinata all'abbellimento dell’edificio con opere di artisti contemporanei.

Sta di fatto per Mario Sironi (1885-1961) la pittura è anche intrinsecamente legata alla politica. Interventista, volontario nella grande guerra nello stesso battaglione volontari ciclisti in cui militano anche Marinetti, Boccioni, Sant’Elia e Funi, in seguito aderisce al fascismo e diventa uno degli artisti più importanti del  regime, che per l’appunto lo impiegherà in numerose importanti commesse. Un percorso umano e artistico recentemente ricostruito messo in evidenza dalla mostra appena aperta ad Abano Terme al Museo Villa Bassi Rathgeb: Mario Sironi. Un racconto dal grande collezionismo italiano, organizzata da CoopCulture e Comune di Abano Terme in collaborazione con la Galleria 56 di Bologna. Le oltre 70 opere provenienti da collezioni private, selezionate da Chiara Marangoni e Alan Serri con la collaborazione scientifica di Francesca Brandes, ricostruiscono in parte il cammino intellettuale e artistico di uno dei maggiori artisti italiani del Novecento: a partire dalle opere giovanili, influenzate dal divisionismo, fino ai famosi paesaggi urbani, in parte influenzati anche dalla pittura metafisica di De Chirico.

Degni di nota le sezioni dedicate rispettivamente all’illustrazione e alla satira politica, con i manifesti e le vignette per riviste e giornali (l’artista fu per vent’anni il principale illustratore de Il Popolo d’Italia), e all’attività pittorica e alla decorazione, con gli enormi cartoni e gli studi preparatori per i grandi affreschi e mosaici. Qui Sironi – stimato personalmente da Mussolini e protetto da Margherita Sarfatti ma non sempre apprezzato dai gerarchi, che spesso trovano la sua arte troppo poco roboante per i loro gusti – più che alla celebrazione del regime sembra mirare al pieno recuperare della dimensione pubblica e popolare dell’arte, sull’esempio dell’opera dei pittori del Quattrocento nei palazzi principeschi e comunali. Arte che sicuramente guarda alla classicità, in linea con la sensibilità del tempo, ma anche al recupero di dimensioni e stilemi arcaici.

Tutto crolla con la sconfitta militare e con la caduta del fascismo, che travolge anche Sironi dando inizio a quelli che la critica chiama “gli anni del silenzio”, ai quali è dedicata l’ultima sezione della mostra. Nell'ultimo tratto della sua vita il pittore, anche a causa della drammatica e prematura morte della figlia Rossana, vive ripiegato in se stesso evitando i riconoscimenti e rifiutando anche gli inviti alle manifestazioni più prestigiose: un periodo di solitudine e di depressione che però dal punto di vista artistico si rivela a tratti sorprendentemente generativo. Così proprio il recupero di quella dimensione intima e privata della creatività, a lungo messa da parte (almeno ufficialmente) durante gli anni del successo e dell’identificazione con il regime, dà luogo a meravigliosi dipinti come Il grande silenzio del 1953, dove il paesaggio da urbano si fa agreste e i caratteristici toni spenti si accendono d’oro, e le Due figure del 1955, tenue allegoria di come l’amore di coppia possa trascendere il dolore dell’esistenza e, forse, persino la morte.


Mario Sironi. Un racconto dal grande collezionismo italiano

a cura di Chiara Marangoni e Alan Serri, con la collaborazione scientifica di Francesca Brandesi

Museo Villa Bassi Rathgeb, Abano Terme, fino all'8 gennaio 2023

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