Giulia Caminito ieri sera all’Arsenale di Venezia, in occasione della serata finale del Premio Campiello, che lei ha vinto, indossava delle sneakers rosse, perché, ha spiegato con in mano la statuetta che spetta al primo classificato, d’accordo con Carmen Pellegrino – anche lei in finale –, aveva deciso di ricorrere al noto simbolo come auspicio “perché le donne possano leggere e scrivere in ogni parte del mondo”.
Ecco: Caminito è così. Classe 1988, una laurea in filosofia politica, lavora da anni con le parole in qualità di editor, sia free lance che in casa editrice, e da anni dedica parte del suo impegno alla valorizzazione della scrittura e del pensiero femminile, per esempio scrivendone su Letterate magazine o curando diversi progetti in questa direzione. Più in generale, poi, l’autrice intesse nel suo lavoro un discorso ampio che dà valore al processo intellettuale ed editoriale e, in questo senso, è una vera pasionaria. Precisa, generosa, talentuosa coltiva fin da giovanissima l’attenzione per quel mondo articolato e complesso che è quello editoriale e in questa veste – di editor e di intellettuale – la abbiamo intervistata qualche anno fa sulle pagine del nostro giornale.
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Poi c’è la scrittura narrativa. Il suo esordio risale al 2016, per Giunti, con La grande A che ha vinto il Bagutta opera prima, il Berto e il Premio Brancati Giovani, seguito da un secondo romanzo nel 2019, Un giorno verrà (Bompiani), con cui ha vinto il Premio Fiesole under 40. In entrambe le fatiche Caminito non dice mai “io”: si tratta di testi che hanno un plot e un’ambientazione ben lontani da spunti autobiografici (sempre che si possa credere che un autore o un’autrice possano tenere del tutto separata dalle pagine la propria vita: non è quasi mai così), mentre nell’ultimo lavoro, uscito per Bompiani all’inizio del 2021, L’acqua del lago non è mai dolce, eccezionalmente l’autrice incontra il presente, e la prima persona.
Questo libro, con cui la scrittrice ieri si è aggiudicata la cinquantanovesima edizione del Premio Campiello, è, lo dice lei stessa, “il racconto di una frustrazione, un romanzo di antiformazione” e in effetti si tratta della storia di un mancato riscatto: Gaia, la protagonista dal nome antifrastico, è una “ragazzina che diventa aggressiva perché il mondo non la riconosce e non le concede lo spazio che lei cerca”. Allora cosa fa? “Attraverso lo studio – continua Caminito – cerca di accedere a un mondo che non può penetrare”.
Ecco perché vengono i brividi nel veder premiare, sul palco allestito per l’occasione nella Tesa delle Nappe alla Darsena grande dell’Arsenale, la giovane scrittrice. Perché nella protagonista di questa storia salmastra, in cui i vuoti vengono ossessivamente riempiti da pieni “forti” – azioni improvvisate ed eccessive, parole imparate con solerte dedizione –, è impossibile non rivedere, anche solo in proiezione, proprio l’autrice e la sua di abnegazione per un mondo, quello delle parole e dei pensieri e dei sentimenti che le parole costruiscono, che va amato prima ancora che attraversato.
Ne abbiamo parlato con lei su Il Bo Live in occasione dell’uscita del romanzo, diversi mesi fa, quando il viaggio della storia che racconta era appena iniziato.
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Era nell’aria da tempo questa sua vittoria, specie da quando ha portato a casa la "doppietta" – ha raggiunto infatti la finale di entrambi i più importanti premi letterari italiani, lo Strega e il Campiello – ma soprattutto, ed è questo che decreta il successo di un libro, da quando ci si è resi conto che L’acqua del lago non è mai dolce è un libro che i lettori amano, e comprano (le classifiche confermano: sempre entro i primi 20 titoli, più spesso nei primi 10, ora sicuramente salirà ancora).
Cosa aggiungere? Solo le sue parole, quelle di Gaia (o di Giulia?), che suonano crude ma sono, forse per questo, irrinunciabilmente vere: “Una delle prime cose che ho imparato quando sono arrivata è stata questa: alle papere ti puoi avvicinare senza pensieri, ai cigni no. I cigni beccano sul dorso le nutrie e le rincorrono nell’acqua aprendo le ali, i cigni non fanno differenza tra bambine e donne adulte, se ti prendono in antipatia sono pronti a ferirti. Io sono stata un cigno, mi hanno portata da fuori, mi sono voluta accomodare a forza, e poi ho molestato, scalciato e fatto bagarre anche contro chi s’avvicinava con il suo tozzo di pane duro, la sua elemosina d’amore”.
“ Io sono stata un cigno, mi hanno portata da fuori, mi sono voluta accomodare a forza, e poi ho molestato, scalciato e fatto bagarre anche contro chi s’avvicinava con il suo tozzo di pane duro, la sua elemosina d’amore Giulia Caminito