SCIENZA E RICERCA

La coevoluzione tra clima e vita

Le relazioni tra la vita e il clima sul pianeta Terra sono molto strette. E bidirezionali. Non potrebbe essere diversamente.

La teoria dell’evoluzione biologica di Charles Darwin per selezione naturale del più adatto, infatti, ci spiega che il successo nella lotta per la sopravvivenza arride agli organismi che meglio si adattano all’ambiente che cambia. La vita coevolve con l’ambiente. Ma il clima, in buona sostanza, altro non è che l’ambiente in quella regione di spazio che chiamiamo biosfera. Cosicché possiamo dire che la vita coevolve con il clima. Un esempio classico sono i mammut, i mastodonti che hanno sviluppato un lungo pelo per adattarsi al clima glaciale. La coevoluzione della vita nel clima che cambia non è solo una storia di successi. Gli stessi mammut non sono sopravvissuti all’ultimo periodo interglaciale e, probabilmente, alla caccia da parte di Homo sapiens.

Il caso della farfalla Biston betularia

La coevoluzione può avere ritmi anche molto rapidi. Un esempio, anche questo divenuto un classico, è quello della farfalla Biston betularia. Prima che arrivassero le fabbriche a Manchester, in Inghilterra, nei boschi che circondano la città ne esisteva di un solo tipo, di colore chiaro. Infatti si posava sulle bianche betulle ricoperte di licheni e così, ben mimetizzata, sfuggiva facilmente alla predazione degli uccelli.

Lo smog delle industrie di Manchester ha modificato la colorazione degli alberi. I licheni sono scomparsi e le betulle sono diventate scure. L’antico vantaggio è diventato un handicap. Le farfalle chiare su fondo scuro sono diventate una facile preda. Il rapido mutare dell’ambiente ha favorito le rare Biston betularia di colore scuro, che hanno potuto mimetizzarsi meglio, sopravvivere di più e, di conseguenza, avere in media un maggior successo riproduttivo. In breve la popolazione delle farfalle di Manchester ha cambiato colore.

In realtà ci sono stati esempi più clamorosi di adattamento dalla vita al clima. Cosa sono gli animali e le piante se non esempi della capacità, clamorosa appunto, che ha la vita di adattarsi a un’atmosfera mutata e divenuta densa di un pericoloso veleno, l’ossigeno, a causa del successo degli organismi capaci di fotosintesi?

Ma proprio questo esempio, eclatante, dimostra anche il contrario: la vita modifica il clima, a livello globale e locale. A iniziare proprio dagli organismi fotosintetici, che continuano a produrre ossigeno e a tenere l’atmosfera ben lontana dall’equilibrio chimico. L’ossigeno è prodotto da questi organismi viventi. E la Terra è un assurdo chimico (un sistema molto lontano dall’equilibrio chimico) a causa della vita. Ma gli esempi sono infiniti, a ogni scala. La presenza di una foresta, per esempio, determina le condizioni climatiche di una regione. Se quella foresta, poi, è quella amazzonica, allora è in grado di determinare il clima a livello di un intero continente e di influenzare addirittura quello globale.

Ma anche le foreste rispondono ai cambiamenti climatici. Le conifere, per esempio, tendono a spostarsi più a sud (o più in basso), durante i periodi freddi. Ora che la temperatura sta aumentando, le foreste di conifere in Canada e in Siberia si stanno spostando più a nord. Arretrando, però, lungo i confini meridionali. Mentre negli ultimi 50 anni, in tutto il mondo, la fioritura primaverile delle piante è anticipata di 10 o 15 giorni.

È chiaro, dunque, che il clima e la vita evolvono insieme, influenzandosi reciprocamente e continuamente.

Non deve sorprendere più di tanto, dunque, rilevare che il clima influenza anche la vita dell’uomo e che anche l’uomo influenza il clima.

Questa reciproca influenza data da sempre. La stessa evoluzione del genere Homo e la genesi di Homo sapiens sono dovuti a fattori climatici. Più di recente, grandi civiltà sono nate o si sono estinte a causa di cambiamenti climatici. Il clima è stato, per esempio, uno dei fattori che ha spinto a emigrare, nel corso dei millenni, svariate popolazioni da una parte all’altra dell’Eurasia, contribuendo a determinare, di volta in volta, la fine dell’Impero Romano d’Occidente, la crisi dell’Impero cinese o la nascita dell’Impero Ottomano.

Ma è anche vero il contrario. L’uomo è in grado di influenzare il clima e, da alcuni millenni, è diventato un attore ecologico e climatologico globale. Si calcola che la deforestazione causata dall’uomo quando, diecimila anni fa o giù di lì, si è trasformato da raccoglitore e cacciatore ad agricoltore e allevatore, abbia fatto aumentare la temperatura media alla superficie del pianeta di 1 °C.

Torneremo sull’uomo che oggi interpreta con una nuova recitazione il suo ruolo di attore ecologico e climatologico globale. Ora diamo una dimostrazione più analitica dl rapporto generale di coevoluzione tra vita e clima, ben sintetizzati in tre grandi cicli: quello dell’acqua, quello del carbonio e quello del metano.

Non deve sorprendere più di tanto rilevare che il clima influenza anche la vita dell’uomo e che anche l’uomo influenza il clima

Il ciclo dell’acqua

L’atmosfera è composta, al 99%, da azoto e ossigeno. Ma entrambi i gas giocano un ruolo marginale nel sistema clima. Perché sono in buona sostanza trasparenti sia alla luce visibile, sia ai raggi infrarossi. L’autentico mattatore del sistema clima è l’acqua. Per molti motivi. I principali sono due. L’acqua è di gran lunga il maggiore dei gas serra presenti in atmosfera: il vapor acqueo è responsabile, da solo, di almeno il 70% dell’effetto serra naturale.

Ma l’acqua, soprattutto, è il principale “vettore” che il sistema clima utilizza per trasportare energia da una parte all’altra del pianeta e ottemperare in tempi piuttosto rapidi alle leggi della termodinamica, che impongono, appunto, il trasferimento di energia dai corpi caldi a quelli freddi. O, anche, dalle parti calde alle parti fredde di un medesimo sistema.

A questa funzione di “energy carrier”, di trasportatore di energia, l’acqua ottempera grazie alle transizioni di fase: ovvero ai passaggi reversibili dallo stato solido a quello liquido, e da quello liquido e quello vapore. Per dare un’idea delle energie in gioco, basta ricordare che quando un litro di acqua aumenta la sua temperatura di 1 °C assorbe un’energia equivalente a 1.000 calorie (4.184 joule). Ma quando lo stesso litro di acqua fonde, ovvero subisce la transizione di fase dallo stato solido a quello liquido, e da ghiaccio passa a liquido, di calorie ne assorbe 80.000. Pronto a restituirle quando, invece, il litro di acqua liquido solidifica e diventa ghiaccio.

L’energia in gioco nell’evaporazione, ovvero nel passaggio dallo stato liquido allo stato vapore, è ancora maggiore: è pari, infatti, a 600.000 calorie per litro. Energia che viene liberata quando il vapore diventa liquido.

I chimici dicono che l’acqua ha un calore latente di fusione pari a 80 calorie per grammo e un calore latente di evaporazione pari a 600 calorie per grammo.

Ora la Terra si trova nella singolare condizione – è infatti l’unico oggetto del nostro sistema solare conosciuto ad ospitare acqua in tutti i tre stati di aggregazione – di poter sviluppare in termini energeticamente significativi quattro diverse transizioni di fase. Tra i fattori principali del clima terrestre, infatti, vi sono la fusione, la solidificazione, l’evaporazione e la condensazione dell’acqua. Le altre due transizioni possibili – la sublimazione, il passaggio diretto da solido a vapore, e il brinamento, il passaggio diretto da vapore a ghiaccio – non sono quantitativamente rilevanti.

Ebbene, ogni anno precipitano sotto forma di pioggia qualcosa come 505.000 km3 (pari a 5,05 x 1017, ovvero a 505 milioni di miliardi di litri) di acqua. Altrettanta ne evapora e ne sale in atmosfera. Per cui l’energia totale assorbita e liberata in un anno dalla sola evaporazione e condensazione dell’acqua è pari a oltre 30.000 GTep (miliardi di tonnellate equivalenti di petrolio), quasi 3.000 volte l’energia consumata dall’uomo in un anno.

L’acqua evapora di più all’equatore e di meno ai poli. I venti si incaricano di ridistribuire il prezioso gas nell’atmosfera e poi le piogge la restituiscono, in maniera abbastanza differenziata, agli oceani e alle terre emerse.

In realtà i processi con cui l’acqua trasferisce calore sono molteplici: la circolazione degli oceani, il trasporto nei fiumi, la fusione dei ghiacci, la traspirazione delle piante, l’infiltrazione nei suoli. Ciascuno di questi processi ha una funzione climatica importante.

Tuttavia sono l’evaporazione e le piogge che consentono un’interazione stretta e continua sia tra atmosfera e oceani, sia atmosfera e biosfera. Ed è dunque questo il meccanismo che più di ogni altro trasforma il bilancio energetico del sistema Terra nel suo dinamico clima.

Con gli ultimi cambiamenti climatici il ciclo delle acque si è sia intensificato, sia modificato. Questo significa che più acqua evapora e precipita e più ghiacci fondono.

Per quanto esso sia decisivo e per quanto ci sia una notevole interazione con la biosfera, uomo incluso, l’intensificazione del ciclo delle acque è considerata un effetto dei cambiamenti subiti da altri cicli. Ecco perché non solo i media, ma anche i climatologici concentrano la loro attenzione su fenomeni quantitativamente minori ma più sensibili: il ciclo del carbonio e il ciclo del metano.

Il ciclo del carbonio

Il gas che, dopo il vapor acqueo, ha il “maggior peso” – il 15 %, all’incirca – nel determinare l’effetto serra naturale è l’anidride carbonica, CO2. Si tratta di una molecola coinvolta in un ciclo, ancora una volta, molto complesso in cui gli organismi viventi giocano un ruolo decisivo. Il ciclo è, a grandi linee, conosciuto dagli scienziati. E ne possiamo fare un bilancio. Conviene fornire i dati in tonnellate di carbonio (ma basta moltiplicare per un fattore 3,67 e si ottengono le tonnellate di anidride carbonica).

Il carbonio totale che entra nel ciclo è pari a circa 47.650 Gt (miliardi di tonnellate). La gran parte del carbonio – il 79,7,1%, pari a circa 38.000 Gt – è disciolta negli oceani e, reagendo con l’acqua, forma lo ione bicarbonato (HCO3-). Una parte notevole – 6.000 Gt, pari al 12,6% – è nei sedimenti marini che scambiano con le acque oceaniche. Un’altra parte ­– circa 2.850 Gt (pari al 6,0% del totale) – è ospitata al suolo, come materiale biologico (piante, animali, batteri) e anche come materiale organico morto (carbone, legna, petrolio). E solo l’1,7% (pari a 800 Gt) è contenuto in atmosfera.

Questi tre serbatoi naturali di carbonio sono in equilibrio dinamico. L’atmosfera e gli oceani, per esempio, si scambiano ogni anno 90 Gt di carbonio l’anno. Lo scambio tra atmosfera ed ecosistemi terrestri è ancora maggiore e raggiunge 120 Gt di carbonio. Mentre lo scambio di tra oceani ed ecosistemi terrestri non va oltre le 0,8 Gt. Nei sedimenti marini ogni hanno si depositano circa 2 Gt di carbonio. In pratica lo scambio globale coinvolge 213 Gt: pari allo 0,5% del carbonio disponibile contenuto nei tre serbatoi.

A far bene i conti c’è una discrepanza tra il carbonio che viene assorbito (213 Gt) e quello che viene rilasciato (211 Gt). Non conosciamo bene la fonte che immette in circolo 2 Gt di carbonio.

L’equilibrio, dicevamo, è dinamico e cambia nel tempo. Naturalmente se i serbatoi restassero questi tre, l’aumento del carbonio in uno verrebbe compensato dalla diminuzione di una stessa quantità di carbonio negli altri due (o in uno degli altri due). Se, tuttavia, un qualche processo (naturale e artificiale) immette o sottrae nuovo carbonio, il budget cambia e il carbonio si ridistribuisce. Il sistema “ciclo del carbonio” è dotato anche di una certa omeostasi: ovvero cerca di resistere ai cambiamenti.

Se, per esempio, per un qualsiasi motivo, aumenta la concentrazione di carbonio in atmosfera – come è avvenuto negli ultimi 150 anni – allora aumenta sia la capacità degli oceani sia degli ecosistemi di assorbirne una parte. Ecco perché negli ultimi 150 anni i mari sono diventati un po’ più acidi (causa maggiore presenza di bicarbonato in acqua) ed è aumentata anche la biomassa (avendo più CO2 da assorbire le piante crescono di più).

Cosa è accaduto?

Non lo sappiamo con certezza. Ma un fatto è certo: l’uomo ha messo in collegamento con l’atmosfera il serbatoio del “carbonio fossile”: ovvero del carbonio contenuto nel petrolio, nel gas naturale e nel carbon fossile. Si tratta di un serbatoio piuttosto grande: contiene 10.000 Gt di carbonio. Ma con una differenza rispetta agli altri: non è in equilibrio dinamico. Ovvero il carbonio può uscire dal serbatoio, ma non può rientrarvi. Non in tempi biologici, almeno. È dunque una fonte che, quando è attiva, mantiene il sistema lontano dall’equilibrio. Il che significa, per esempio, che il carbonio immesso in atmosfera fa fatica a trovare “pozzi” negli oceani e sulla terraferma e tende ad accumularsi.

È questo uno dei motivi che, negli ultimi due secoli, hanno determinato l’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera da 280 a 414 ppm?

Non lo sappiamo con certezza assoluta. Ma, sostiene l’IPCC dopo aver analizzato la letteratura scientifica sull’argomento, l’uso da parte dell’uomo dei combustibili fossili unitamente alla deforestazione, è con una probabilità che sfiora la certezza assoluta la causa dell’aumento della CO2 in atmosfera.

Il mancato riequilibrio tra sorgenti e pozzi di carbonio innescato da questo processo di origine antropica è misurabile in maniera più analitica: ogni anno l’uomo – attraverso l’uso di combustibili fossili, ma anche la combustione della legna e la deforestazione – immette in atmosfera circa 10,0 Gt di carbonio. Ma solo 5,0 Gt ritornano in superficie, assorbiti per il 40% dagli oceani (“ Gt) e per il 60% dagli ecosistemi terrestre (3 Gt).

Atri 5,0 Gt di carbonio restano in atmosfera.

Il che comporta che, da qualche tempo, il carbonio atmosferico aumenta di oltre lo 0,6% ogni anno.

Gli altri gas serra

Conosciamo meno bene la quantità di metano, CH4, conservato nella biosfera in varie forme attuali (per esempio negli idrati di metano) e potenziali (come prodotto di decomposizione). Conosciamo tuttavia l’attuale flusso di metano in atmosfera e le relative fonti, che in totale ammonta a un totale compreso tra 180 e 380 milioni di tonnellate (Mt) annue.

La fonte unica principale sono, certamente, le paludi. Ma il 79% delle emissioni note di metano sono legate ad attività umane.

A questo punto possiamo fare un quadro dei gas che – vapor acqueo a parte – sono coinvolti nel processo dell’effetto serra.

Come abbiamo detto, anche le emissioni di protossido di azoto, di gas serra non naturali e di ozono troposferico sono legate in parte o addirittura in toto alle attività umane.

Come gli organismi fotosintetici con la produzione di ossigeno, anche se a una scala inferiore, Homo sapiens con i gas serra mantiene lontano dall’equilibrio la composizione chimica dell’atmosfera.


L'articolo fa parte di uno speciale più ampio sui cambiamenti climatici.

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