CULTURA

Colori della pelle, nomi dei sapiens, generazioni meticce, l’Eritrea

Siamo tutti sapiens afrodiscendenti e meticci da decine di migliaia di generazioni. Nelle scienze che intendono ricercare molto indietro nel tempo il riferimento al numero di generazioni è spesso utile per ripercorrere cosa c’è stato prima di umano, a partire da quel che siamo oggi. Con alcune avvertenze, connesse ai significati e alle definizioni del verbo e del sostantivo: “Generare generato, discendenza, origine, stirpe, prole, popolo, specie”. In un certo senso, la generazione attuale è l’insieme degli individui che vivono sincronicamente oggi, esposti a condizioni ed eventi globali contemporanei, pur con caratteri diversi, innanzitutto età differenti; ovvero in questo stesso momento convivono generazioni di trisavoli, bisnonni, nonni, padri e madri, cugini, figli e figlie, nipoti, pronipoti, con le proprie residenze biopolitiche, aspettative di vita e dinamiche esistenziali. Per questo, in un altro senso, si parla spesso di generazione del 1921, di quella del 1956, di quella del 2000, si associano tutti i nati in uno stesso anno, a prescindere da quanto abbiano vissuto poi e dall’eventualità che possano avere discendenti. Si tratta di una modalità per tenere insieme genetica e storia: si è nati dalla dinamica riproduttiva di due specifici esseri e genomi umani in uno specifico momento culturale e sociale della specie.

L’uso del concetto di generazione ha una lunga storia associata pure agli alberi genealogici di ogni individuo, rilevante soprattutto quando, nell’antichità e non solo, appartenere a una determinata “famiglia” poteva e può comportare ruoli formali di lignaggio alto o discriminazione negativa. Limitandosi al significato generale e astratto, nella storia moderna e contemporanea si è tentato di stabilire una durata media universale di una singola generazione, per poi usarla attraverso varie discipline scientifiche, tanto la sociologia quanto l’antropologia, tanto la storia quanto la politica, tanto la biologia quanto l’ecologia. L’unità di misura adottata è spesso un convenzionale congruo intervallo di anni tra l’anno di nascita dei genitori e quello dei figli, anch’essa con diversità ed evoluzioni connesse sia alle epoche storiche che ai contesti geografici, adottando come media un intervallo fra 20 e 30, perlopiù ormai circa 25 anni. Se si va nei pressi delle prime generazioni della nostra specie sapiens, di incerta datazione, comunque oltre duecento mila anni fa, poi convissute per centinaia di migliaia di generazioni con generazioni di altre specie umane dell’identico genere Homo, probabilmente alcune frequentate e con alcune ibridatesi, lo schema dei 25 anni va confermato con enorme cautela.

Il tempo sincronico assume oggi un significato diverso, siamo ovunque, sempre connessi con ogni altro angolo del pianeta. Non è stato così per le generazioni precedenti, anche recenti; è stato proprio diverso quando prevaleva la dimensione della distanza fisica fra la quasi totalità degli umani presenti sulla Terra: la capacità di migrare viene prima della libertà di migrare, la migrazione demica prima di quella memica, poi tutto si mescola e si intreccia. Per l’appunto, da decine di migliaia di generazioni siamo tutti meticci. Solo che, in ogni istante in ogni luogo, un individuo sapiens si specchia nei parenti e in quelli che ha intorno, confronta somiglianze e caratteri con i propri genitori e i propri figli, percepisce il meticciato contingente e superficiale, gestisce ogni altro essere in base alle proprie identità o appartenenze, presunte o scelte. E il colore della pelle ha un impatto immediato, tendiamo a dare un nome a quel colore e un colore a ogni individuo. Vale la pena continuare un poco a ragionare sui nomi e sul numero dei colori oltre che sui colori e i valori delle denominazioni individuali.


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Sulla copertina del numero speciale di National Geographic “Black and White” dell’aprile 2018, tre anni fa, c’erano i bei volti di due bambine sorelle gemelle eterozigote, Marcia e Millie Biggs, allora di 11 anni: una ha la pelle bianca e l’altra nera, una con lunghi capelli sul capo abbastanza lisci, l’altra con lunghi capelli ovunque abbastanza ricci, entrambe con un candido leggero vestitino bianco a maniche corte; sono teneramente abbracciate, sguardo fisso sull’obiettivo; possiedono setto nasale, forma delle labbra e colore degli occhi significativamente diversi. Una bianca? Una nera? Sorelle! Entrambe meticce, come ciascuno di noi.

Del resto, se guardiamo bene, il colore della pelle non è né bianco né nero, l’indefinibilità del colore della pelle vale per ciascun individuo sapiens. Tuttavia, i pregiudizi e i costrutti sociali hanno un peso rilevante nella vita delle persone e il colore della pelle è un costrutto sociale responsabile di molti trattamenti discriminatori nella geografia e nella storia della nostra specie, anche contemporanee. Eppure, la qualità e la quantità dei colori sono incerte, dipende quasi da ogni occhio o paia di occhi che li vede. Non a caso il termine colore deriva dal latino colorem, affine a celare, cioè “nascondere” (derivato così in molte lingue). Il colore attiene alla luce, si tratta della percezione di una radiazione elettromagnetica, ovvero di determinate lunghezze d’onda “interpretate” dal singolo cervello e dal singolo apparato visivo. 

Taluni contano i colori primari o essenziali, tre o sette o più che siano, il bianco e il nero non sono previsti. Una lista completa informale dei colori, le aggettivazioni usate in vari contesti da “acquamarina” a “zaffiro”, contiene centinaia di voci, i bianchi sarebbero almeno nove, il nero è forse uno solo (sembra l’opposto di come lo percepiamo noi “bianchi”, un unico bianco e un’infinità di sfumature nere certamente diverse da quel bianco). In realtà, a ciascuna frequenza del visibile è convenzionalmente associato un determinato colore: così un oggetto di colore verde riflette la radiazione verde e assorbe quelle degli altri, un oggetto di colore rosso riflette la radiazione rossa e assorbe quelle degli altri colori; mentre un oggetto di colore nero assorbe tutte le radiazioni e non ne riflette nessuna, un oggetto bianco semplicemente riflette tutte le radiazioni. In qualche modo, ogni colore biologico è una mescolanza di percezioni luminose, il nero e il bianco esistono solo in astratto. No white lives matter. Ognuno ha il suo bel colore non bianco, generato da antichi geni e climi, da millenarie migrazioni umane in biodiversi comuni ecosistemi.

Oggi solo alcuni sapiens sono percepiti come veri meticci, per il colore della pelle che hanno in mezzo ad altri individui con un proprio colore superficialmente diverso, per il cognome e nome che hanno con uno spelling linguisticamente apparentemente estraneo al contesto letterario, per le regole giuridiche di cittadinanza o le statistiche di classificazione della nazione dove risiedono. Abbiamo già sottolineato che cognomi meticci sono ormai distribuiti quasi in ogni nazione, soprattutto nello sport. Molti cognomi hanno accanto una bandiera nazionale che talora sembra incongrua a un occhio e un orecchio abituati alle regole e agli usi letterari della propria lingua, poco confacente a come di norma collochiamo, ordiniamo e mescoliamo consonanti e vocali. Del resto, in alcuni paesi è abbastanza facile cambiarsi il cognome. Le denominazioni individuali hanno un alto indice di meticciato ovunque, pur essendo differenti nei diversi paesi le combinazioni del binomio nome-cognome o di altro modo determinare l’identità di una persona, con una lunga autonoma storia evolutiva parallela a quella delle migrazioni e delle mescolanze di popoli e lingue, nel passato remoto e recente.

Oggi persiste il dramma dei meticci italiani in Eritrea, ribadiamo che è proprio ora di squarciare questo velo di ipocrisie e ingiustizie. La nascita degli Stati e la storia costituzionale e amministrativa delle relative istituzioni sono diacroniche all’interno delle periodizzazioni globali. Ovunque venga considerata la presenza recente di figli nati da un immigrato e una cittadina già residente o da un’immigrata e un cittadino già residente, l’eventuale definizione di “meticcio” è riferibile solo a un periodo di poche generazioni, direi massimo un paio di secoli (non esiste una regola, oltre le sette-otto generazioni tutto si stempera attraverso il precedente pervasivo meticciato biologico e culturale e nuove definizioni antropologiche). Da decenni la questione degli afropei è stata affrontata in molti altri paesi dell’Unione, eravamo noi europei invasori violenti e sfruttatori cinici in Africa, fino alla tardiva parziale indipendenza legata alla decolonizzazione. Da generazioni esistono nei fatti afroeuropei e afroitaliani. Almeno 300 discendenti di italiani vivono ancora adesso in Eritrea, “primigenia” colonia, come discendenti di ottocenteschi e novecenteschi coloni e militari italiani. Non sono mai divenuti cittadini italiani, pur avendone diritto. Per molti di loro la cittadinanza sarebbe fondamentale. Sono cittadini di uno Stato che non prevede molte delle libertà democratiche e dei diritti civili previsti dalla Costituzione italiana; in particolare il servizio di leva a vita provoca l’esodo continuo di giovani che inevitabilmente ricorrono prima ai trafficanti e poi agli scafisti; qualche cittadino eritreo fugge e, se sopravvive (dentro i propri confini, poi al deserto, alle angherie, ai naufragi), in Europa chiede “asilo” al Paese dal quale pure magari proveniva il proprio nonno o bisnonno, talora italiano.

Nel secondo dopoguerra, pur democratico e repubblicano, l’Italia non ha mai voluto fare appieno i conti con il passato coloniale, forse solo per la fretta di cancellare il ventennio fascista. Lo sanno bene purtroppo gli italoeritrei che vivono ancora in Eritrea, non lo sanno gli italiani in Italia, qualunque sia il colore della loro pelle e del loro nome, nemmeno insegnanti e studenti, visto che la nostra scuola non informa a dovere su quella storia drammatica, triste e oppressiva non solo da quando infine i meticci furono nettamente discriminati pure giuridicamente, con le leggi razziali fasciste del 1938 che impedirono ogni “riconoscimento”. Occorre considerare che anche in Eritrea il “meticcio” non è stato mai ben visto nemmeno dalla maggioritaria comunità di residenza, invidiato o emarginato che fosse, comunque senza altro “motivo” che le sfumature del colore della pelle. Del resto, l’Eritrea appare oggi una delle principali origini delle migrazioni dall’Africa, anche delle migrazioni forzate ricomprese nelle apposite casistiche della Convenzione dell’Onu sui “rifugiati”; tante volte le incerte rotte mediterranee sono tentate da cittadini eritrei in fuga. Ne conseguono varie urgenze: garantire la vita a chiunque parta dal Nord Africa, riconoscere sempre e comunque gli italoeritrei, approvare una complessiva seria riforma della legge sulla cittadinanza italiana finalmente favorevole ai giovani che qui sono cresciuti e qui hanno studiato, qui potrebbero bene vivere e lavorare.

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