CULTURA

Monte Grappa 1944: gli italiani si battono

All'alba del 20 settembre del 1944 migliaia di soldati tedeschi e della Rsi, assieme a volontari ucraini al servizio del terzo Reich, circondano il Monte Grappa in una delle più grandi operazioni di rastrellamento di tutta la Seconda Guerra Mondiale. Una scia di sangue funesta la zona fino al 26 settembre, quando 31 tra partigiani e civili vengono barbaramente impiccati nel centro di Bassano.

Spesso oggi si parla di quei giorni come dell’“eccidio del Grappa”, come se si trattasse una delle grandi stragi con le quali le truppe tedesche e quelle dello Stato fantoccio di Salò si vendicano della guerriglia partigiana, colpendo indiscriminatamente anche la popolazione civile. Quello che però succede sul Monte Grappa è qualcosa di diverso: “I partigiani che vengono massacrati non sono vittime inermi, hanno scelto di combattere – spiega Marco Mondini, docente di storia contemporanea presso presso il Dipartimento di Scienze politiche, giuridiche e studi internazionali (SPGI) dell'università di Padova –. Sono italiani che dopo l'8 settembre del 1943 non hanno pensato che la patria fosse morta, ma che al contrario dovesse essere ricostruita, impugnando le armi per realizzare un'Italia migliore”.

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A combattere ci sono persone di tutte le età, provenienze e idee politiche, fino a comandanti leggendari come Primo Visentin - Masaccio, che ha studiato all'Università di Padova e che dopo la morte sarà insignito della medaglia d’oro al valor militare. A lui è dedicata uno dei simboli dell’ateneo: la statua del Palinuro, scolpita da Arturo Martini nel 1946, posta a Palazzo Bo ai piedi dello scalone per il rettorato.

Dal punto di vista militare l’azione dei partigiani è poco più che un suicidio, giustificata però dalla volontà di difendere e onorare il sacrario del Grappa, dove nel 1917 migliaia di soldati italiani sono morti per fermare gli austriaci. Gli stessi partigiani superstiti in seguito rivendicheranno con orgoglio la continuità con i “trentamila morti che dormono nell’Ossario”, tra la loro battaglia e quella dei fanti in grigioverde che avevano salvato l’Italia nell’ora più cupa dopo Caporetto.


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Il nostro Grappa, simbolo della nostra fede e del nostro amore, ancora una volta è stato bagnato dal sangue della nostra gioventù più generosa – si legge all’inizio del 1945 sul foglio partigiano Gazzetta del Patriota – […]. Voi voleste fare dei nostri giovani i difensori delle nostre montagne, delle nostre case, della nostra libertà. Per questo sacro dovere, proprio di ogni uomo che abbia un minimo di dignità, moriste […] Giovani del Grappa, c’è una certezza che canta sicura in tutti: attraverso il patimento, risorgere liberi!” (brano citato nel libro Il ritorno della guerra).

Più che di eccidio si trattò insomma di una vera e propria battaglia, anche se combattuta tra forze impari. “Nel 1944 come nel 1917 – conclude Mondini – i giovani italiani avevano saputo morire in nome della libertà e del riscatto del proprio Paese”.

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