SOCIETÀ

Le elezioni e il nuovo Parlamento: quali immigrazioni si possono evitare

Siamo entrati negli ultimi giorni di campagna elettorale: liste e candidati, cittadine e cittadini stanno valutando con fretta e sempre maggiore attenzione gli argomenti decisivi per il consenso. Possiamo osservare come probabilmente finora in Italia la questione delle migrazioni a fine estate 2022 è stata meno rilevante nel dibattitto fra i partiti e sarà meno cruciale nelle scelte dei votanti, almeno rispetto a quanto lo fu la volta precedente, nel marzo 2018, oppure a quanto sta pesando da oltre un decennio in tutte le democrazie parlamentari e a quanto lo è stata pochi giorni fa nel determinare il risultato delle elezioni politiche svedesi. Nel complesso, ci si sta dividendo su altre priorità e pare evidente come siano maturate convinzioni in larga parte identitarie sui comportamenti istituzionali del recente passato che hanno già indotto una dinamica abbastanza consolidata nei sondaggi. Può essere utile affrontare allora prima alcuni dati di fatto sul fenomeno migratorio (diacronico e asimmetrico) che dovrebbero valere per la consapevolezza dell’opinione pubblica, comunque ci si orienti e chiunque vinca.

Il primo elemento riguarda le immigrazioni da evitare, qui e in ogni paese, ovunque inizino le emigrazioni. Purtroppo si tratta del migrare antico e costante di decine di milioni di persone che, invece, è l’unico considerato accettabile per molte norme europee e nazionali e per il senso comune di parte non piccola della popolazione. Quelle dei profughi sono emigrazioni “ingiuste” che non dovrebbero proprio esistere, non le uniche immigrazioni eventualmente “giuste” (da subire). Ogni migrazione forzata andrebbe evitata, prevenendola visto che non è né libera né volontaria e consiste nella conseguenza “obbligata” sia di scelte autoritarie e repressive di Stati sovrani contro propri cittadini sia di effetti dei cambiamenti climatici antropici globali o di inquinamenti e disastri indotti o accentuati dall’uomo. Chi subisce fugge, sono sapiens che per sopravvivere si “delocalizzano” (quando ci riescono). Bisognerebbe che ogni istituzione statuale rispettasse la dichiarazione dei diritti umani nel proprio territorio e si adattasse davvero alle indicazioni scientifiche del negoziato climatico in corso (anche con il sostegno dei paesi che più hanno riscaldato e inquinando e continuano imperterriti). Nel mondo meno migrazioni forzate ci sono meglio è e si sta.

Eppure le delocalizzazioni forzate crescono. Tutte le statistiche e tutti gli studi lo confermano da decenni, casomai quelle reali sono sottostimate rispetto a quelle censite. E da millenni per gli emigranti forzati è stato inventato e gestito il diritto d’asilo, nel secondo dopoguerra una vera e propria convenzione internazionale (abbastanza ratificata e adeguata) è entrata a far parte (con i successivi protocolli) delle norme generali e astratte che regolano la convivenza umana sul pianeta. Sulla base dell’ultimo report disponibile nel 2021, il numero di sfollati oltre il proprio confine, ospitati nei paesi europei, è aumentato del 3% rispetto al 2020, superando i 7 milioni. Questo aumento riflette i nuovi rifugiati riconosciuti in base alla relativa convenzione, che ammontano a 288.000, principalmente in Germania (79.700), Francia (51.000) e Italia (21.100).

Nel nostro paese i richiedenti asilo nel 2021 erano però più del doppio, 48.000 individui (nessuna richiesta di gruppo in nessuno dei grandi paesi europei, a differenza che in molti paesi africani). Dunque, sarebbe stato preferibile che quei 48.000 non fossero stati costretti a emigrare da tanti luoghi e a immigrare da noi, tuttavia quelli sono immigrati da riconoscere e valorizzare, credo nessuna personalità politica lo metta in discussione in Europa. Perché allora ogni anno li facciamo aspettare troppo e 27.000 sono ancora lì che attendono l’esame della loro situazione? Perché i 21.100 riconosciuti e assistiti non vedono quasi mai attuati gli articoli della stessa convenzione che prevedono una loro corretta valorizzazione o “gestione” da parte dello stato interessato e non solo da parte degli organismi dell’Onu positivamente impegnati?

Ventuno mila, quarantotto mila, cifre piccolissime rispetto alla nostra popolazione nazionale. Molto meno modeste risultano in altri stati europei. Prendiamo il caso svedese. La Svezia è il terzo paese al mondo di reinsediamento ufficiale (Resettlement) per grandezza, dopo Canada e Stati Uniti; nel 2021 ha accolto 6.700 rifugiati, di cui 5000 per il tramite formale dell’Unhcr, principalmente dalla Siria (2.600) e dall'Afghanistan (1.600) ed è stato sempre così negli ultimi decenni. In rapporto alla popolazione la Svezia accoglie in via definitiva 25 Refugees ogni 1.000 abitanti, la Germania 14, l’Italia meno di 3,5 (questo da tempo chiedono come consuetudine legale le prefetture aalle nostre amministrazioni municipali, non più di 3 ogni 1.000 abitanti del comune, pochissimi accettano, è divenuto una sorta di limite sociale della paura d’invasione). Al contempo, la Svezia stanzia cifre altissime per la cooperazione allo sviluppo, che è un altro buon modo di prevenire dai paesi poveri le emigrazioni (con minore o maggiore grado di libertà). Come noto, l’Italia non è ai primi posti per quei fondi.

Ventuno mila, quarantotto mila, cifre piccolissime rispetto alla nostra popolazione nazionale! Oltre tutto l’Italia da sempre fa poco o niente per il Resettlement proprio da noi, ovunque siano ora. Tutto il resto degli immigrati (quelli non forzati) sarebbero inaccettabili sul territorio italiano, individui cui impedire di partire e sbarcare (se ci provano)? Dovremmo consentire l’accesso solo a chi viene invaso o dimostra di essere perseguitato politico o religioso o razziale e respingere tutti i “non” perseguitati? L’unico modo di immigrare in Italia dovrebbe essere chiedere asilo da noi? L’unica cosa che possiamo offrire è l’asilo? Proprio sicuro che non sia il caso di verificare immigrati utili ad ampliare l’apprendimento delle nostre lingue e culture, al mercato del lavoro europeo e nazionale, alla stabilità demografica italiana ed europea, al nostro sport agonistico, alle nostre produzioni manifatturiere, ai servizi pubblici non solo delle nostre aree interne?

Vediamo ancora una volta i numeri degli ultimi anni nelle rotte mediterranee, fonte Ministero dell’Interno: nel 2020 sono sbarcati in Italia 34.154 individui (alcuni dei quali hanno poi chiesto asilo, comunque tanti minori non accompagnati), nel 2021 67.040 (idem), nel 2022 finora al 9 settembre 41.087 (tendenzialmente per l’intero anno un po’ meno che nel 2021). Oltre la metà, come detto, chiede asilo ufficialmente, una parte degli altri sono rifugiati climatici. Ma di cosa stiamo parlando? qualche migliaia di poveri cristi andrebbero respinti e ributtati “a mare”? ma non capiamo quanto pochi sono e quanto hanno dovuto penare per tentare di allontanarsi da guerre, persecuzioni, disastri, fame, sete, sul piano affettivo, psichico, fisico, perlopiù delocalizzandosi da paesi molto lontani rispetto alle coste del Mediterraneo? E molti dei loro compagni di viaggio sono morti lungo il percorso nell’indigenza, nel deserto, nei lavori forzati, nelle detenzioni, qualcuno infine nello stesso nostro mare, che talora per alcuni costituisce solo il proprio cimitero.

Circa altri venti mila concittadini sapiens sono morti o scomparsi nel Mediterraneo negli ultimi otto anni, nel 2021 il 155% in più rispetto al 2020 (secondo l’Organizzazione internazionale per le Migrazioni). Le tragedie si susseguono su vecchie e nuove rotte, nell’Egeo e davanti alle coste della Libia, in acque appartenenti a paesi di tre continenti. Ogni mese del 2022 è stato purtroppo caratterizzato da un aggiornato triste bilancio, giunto i primi di settembre a oltre 1200 morti o dispersi in poco più di otto mesi. Il 7 settembre le autorità tunisine hanno recuperato quasi venti cadaveri dopo il naufragio avvenuto nel governatorato di Mahdia, altri erano ancora dispersi, 14 i salvati, tutti di nazionalità tunisina. Il 12 settembre sono stati sbarcati dalla Guardia Costiera a Pozzallo 26 migranti, i sopravvissuti di un naufragio in cui sono morti almeno sei siriani, tra cui due neonati e una donna anziana, il caso ha fatto (giustamente) molto contingente clamore.

Nel 2022, certo, vi sono state altre rotte per giungere in Europa. Da sud nel Mediterraneo restano frequentate quella più a est verso la Spagna, quelle più a ovest verso la Grecia o Cipro (sempre più anche dal Libano), pur se in Italia arrivano finora nell’anno in corso circa i due terzi di chi lo attraversa, un numero complessivo davvero piccolo per l’Europa, meno di cento mila arrivi finora nella nostra fortezza comunitaria. Da ovest, dall’Atlantico, si continua a muoversi dalle coste africane verso le Canarie, ma è soprattutto da est che vi è stata una svolta drammatica nel 2022: l’aggressione russa in Ucraina ha sconvolto quel popolo, coinvolgendo tutti i paesi limitrofi ed europei. Ecco, quelle sì che sono straordinarie emigrazioni forzate, quella sì che è emergenza, quelli sì che sono grandi numeri! I profughi ucraini per qualche mese sono arrivati anche in Italia in quantità relativamente modesta, comunque assolutamente gestibile. E, soprattutto, reversibile: la situazione conferma che la Russia è inequivocabilmente da condannare, che la guerra e le conseguenti emigrazioni forzate andrebbero sempre evitate e che, se e quando si verificano, possono essere sempre meglio gestite come emergenza necessaria.

Il secondo elemento è valutare se vi sono immigrazioni non forzate da subire con soddisfazione o addirittura da promuovere. Non c’è una risposta quantitativa valida in ogni tempo e in ogni luogo. Per l’Europa e l’Italia di oggi sarebbe utile accogliere favorevolmente emigrazioni che abbiano qualche grado di libertà e scelta, nell’ordine di pochi milioni di immigrati in Europa e poche centinaia di migliaia in Italia, ogni anno, per almeno un decennio. Gli effetti sarebbero positivi sia in qualità del nostro meticciato (preesistente da millenni), sia in quantità di conviventi democratici della conoscenza. In sostanza, quasi tutti gli studiosi di demografia, economia, sociologia e scienze politiche lo chiedono adducendo sensati dati e motivazioni. Il tema è avere canali regolari di accesso e regole che non tanto fissino il tetto massimo quanto incentivino percorsi civili di reale materiale incontro fra culture ed esigenze in partenza differenti. In tal modo, daremmo un miglior futuro a chi nascerà in Italia, alle prossime generazioni.

Il terzo elemento è guardarci dentro. Emigrazioni comunque ci saranno, immigrazioni qui di altri comunque ci saranno. E, del resto, emigrazioni dal territorio italiano ci sono sempre state, partenze ci sono attualmente da anni in misura maggiore rispetto agli arrivi, non è poi così male che alcuni concittadini possono emigrare liberamente per parte o tutta la loro vita (se lo scelgono per dare a essa un senso); così come vorremmo che gli italiani immigrino in posti ove essere ben trattati. Sotto questo punto di vista la distinzione fra immigrazioni forzate o con maggior grado di libertà ha un senso relativo, prevalentemente istituzionale (spiegato dagli importanti positivi Global Compact). Una volta partiti, inizia per l’emigrato una nuova inedita dinamica di vita. Non c’è paese al mondo che non abbia avuto emigranti e immigrati, seppur in percentuali diverse nel corso delle varie fasi. Le due tipologie si distinguono molto prima (emigrazione e transiti) e poco si distinguono dopo (immigrazione e residenza su suoli “stranieri”). Mai sono avvenute o avverranno solo fra paesi ricchi, anzi nella geografia e nella storia alcuni paesi sono diventati ricchi o più ricchi un poco grazie agli immigrati, forzati o meno.

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