SOCIETÀ

Cento milioni di rifugiati, un miliardo di migranti, gli altri sette sono stanziali?

Ieri, 20 giugno 2022, gran parte delle nazioni del pianeta sono state interessate alla ricorrenza annuale della ventiduesima giornata mondiale dedicata a donne e uomini rifugiati. Fu istituita e “celebrata” per la prima volta nel 2001. Riguarda tutti: chi non è mai migrato e assiste da sempre intorno a sé a migrazioni molto forzate o un poco più libere; chi ha cambiato residenza internazionale o nazionale almeno una volta nella vita per più di un anno (la maggioranza di noi, italiani europei occidentali urbani e migranti, oltre a parte significativa degli abitanti di quasi tutte le città e di quasi tutti gli Stati);  chi è dovuto a un certo punto fuggire dal luogo di residenza per salvarsi, qualsiasi sia la ragione unica o principale del distacco; infine coloro che sono stati propriamente riconosciuti dal diritto internazionale come refugees o come internally displaced people (Idp), quasi novanta milioni nel corso del 2021 soltanto questi ultimi.

Il numero delle persone costrette a fuggire dalle proprie case è aumentato ogni anno nell’ultimo decennio ed è ora il più elevato da quando si è cominciato a registrare il dato, circa settanta anni fa. Al 31 dicembre 2021, le persone “certificate” in fuga da guerre, violenze, persecuzioni e violazioni di diritti umani risultavano essere 89,3 milioni, un aumento dell’8 per cento rispetto all’anno precedente e ben oltre il doppio rispetto al dato registrato 10 anni fa, secondo il rapporto statistico annuale 2022 dell’UNHCR Global Trends. La cifra è stata calcolata, quindi, prima dell’aggressione russa in Ucraina, i profughi ucraini saranno “censiti” nel 2022 e compresi nel rapporto Unhcr 2023, sia quelli che a fine anno saranno ancora fuori dall’Ucraina e fuori casa, sia quelli che saranno tornati in Ucraina nella propria abituale ultima città di residenza o comunque nel proprio paese.

Come è noto, dal 23 aprile 2022 l’invasione russa ha causato uno degli esodi forzati di più ampia portata e quello in più rapida espansione dalla Seconda Guerra Mondiale, mentre d’altro canto fino all’inizio di questa calda estate sono continuate altre emergenze in differenti aree del mondo, sicché ormai  il numero ufficiale complessivo di profughi internazionali e interni sta per toccare la drammatica soglia dei 100 milioni di migranti forzati in vario modo assistiti. Non ci sono solo i numeri disastrosi della guerra in Ucraina (7,1 milioni di sfollati interni e 4,9 milioni di rifugiati esterni, dati aggiornati a qualche giorno fa, 137 mila in Italia). Nei primi mesi del 2022 in Mianmar gli sfollati sono aumentati di quattrocento mila persone e quelli in Burkina Faso di trecento mila, mentre la situazione in altri Paesi del mondo ha fatto crescere i rifugiati di ulteriori cento mila unità. Siamo ormai complessivamente a quasi cento milioni di rifugiati.

Il rapporto appena uscito ragiona sulla cifra (datata 2021) di 89,3, analizziamola meglio. 27,1 milioni sono i rifugiati ufficiali, con status riconosciuto, ovvero 21,3 milioni di refugees sotto il mandato generale dell’UNHCR, accanto a 5,8 milioni di rifugiati palestinesi sotto lo specifico mandato dell’UNRWA; 53,2 milioni sono gli Idp, gli sfollati interni, rimasti all’interno del territorio del proprio paese; 4,6 milioni sono i richiedenti asilo, la cui domanda è in attesa di risposta (talora da troppi anni); 4,4 milioni sono i venezuelani fuggiti all’estero negli ultimi anni. Fra i profughi fuggiti all’estero (oltre 35 milioni come si è scritto) ben il 72 per cento vive in Paesi confinanti coi propri Paesi di origine e l’83 per cento è stato comunque accolto in Paesi a reddito basso o medio (non i nostri).

I Paesi meno sviluppati hanno assicurato asilo al 27 per cento del totale; la Turchia ha accolto quasi 3,8 milioni di rifugiati, il numero più elevato su scala mondiale (ovviamente quasi tutti siriani, con le complesse conseguenze e dinamiche di politica internazionale), seguita da Uganda (1,5 milioni), Pakistan (1,5 milioni) e Germania (1,3 milioni). La Colombia ha accolto 1,8 milioni di venezuelani fuggiti all’estero. Il Libano ha accolto il più elevato numero di rifugiati pro capite (1 su 8), seguito da Giordania (1 su 14) e Turchia (1 su 23). Un elemento di diseguaglianza emerge chiaramente, rendiamocene conto: i Paesi meno sviluppati producono meno del 1.3% del Pil mondiale, ma ospitano oltre il 27% della popolazione rifugiata mondiale, mentre i Paesi ad alto reddito hanno accolto soltanto il 17% dei rifugiati.

“O la comunità internazionale unisce le forze per agire, per affrontare questa tragedia dell’umanità, per risolvere i conflitti e trovare soluzioni durature, oppure questa terribile tendenza proseguirà”, ha giustamente dichiarato Filippo Grandi, Alto commissario ONU per i rifugiati (Unhcr). Il fatto che l'Inghilterra di Boris Johnson abbia recentemente deciso di derogare alle proprie responsabilità e abbia stabilito di rimandare in Ruanda dei rifugiati che potrebbe tranquillamente gestire sul suo territorio è una mancanza che né l'Alto Commissariato né la giustizia internazionale possono giustificare (e fortunatamente un ricorso d’urgenza alla Corte Europea dei diritti umani ha bloccato per ragioni di procedura la prima partenza da Londra il 15 giugno scorso).

L'Unhcr ha fatto un notevole sforzo attraverso i due Global Compact per portare intorno a un tavolo più attori che possano gestire queste situazioni e dare soluzioni di speranza a milioni di persone. È stato un processo positivo che ha fatto alcuni passi avanti, se non altro quello di coinvolgere il settore privato. Ma bisogna riuscire a cambiare il paradigma che presenta i rifugiati come degli attori passivi e cominciare a pensare che possono contribuire notevolmente alla costruzione delle società che li accolgono con reciproco rispetto. Siamo ancora molto lontani dall'avere dei processi effettivi e veloci per poter dare alle persone il giusto accesso ai loro diritti.

In rapporto alle proprie popolazioni nazionali, l’isola di Aruba ha accolto il numero più elevato di venezuelani fuggiti all’estero (1 su 6), seguita da Curaçao (1 in 10). Più dei due terzi dei rifugiasti sotto mandato Unhcr (69 per cento) sono fuggiti da soli cinque Paesi: Siria (6,8 milioni), Venezuela (4,6 milioni), Afghanistan (2,7 milioni), Sud Sudan (2,4 milioni) e Myanmar (1,2 milioni). Fra i richiedenti rifugio le nuove domande di asilo presentate sono 1,4 milioni, le altre sono in sospeso da anni. Gli Stati Uniti d’America sono stati il Paese che ha ricevuto il numero più elevato di nuove domande individuali (188.900), seguito da Germania (148.200), Messico (132.700), Costa Rica (108.500) e Francia (90.200). Nel corso del 2021, 5,7 milioni di persone in fuga hanno fatto “ritorno”, ovvero 5,3 milioni di sfollati interni alle proprie terre (soprattutto in Sud Sudan e Costa d’Avorio) e 429.300 di rifugiati ai propri Paesi d’origine.

Può essere utile comparare numeri e percentuali con gli anni scorsi e le tendenze di fondo; E comprendere i nessi interdisciplinari e sociali di tutte quelle cifre, abbiamo più volte sottolineato che oltre la metà dei rifugiati con status resta tale per oltre 5 anni, che il numero annuale di nuovi profughi ambientali è superiore a quello di nuovi refugees (politici), che il numero complessivo effettivo di profughi è addirittura superiore a quello ufficiale.

La Giornata mondiale del rifugiato si è tenuta per la prima volta a livello mondiale il 20 giugno 2001, per commemorare il 50° anniversario della Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati. Precedentemente era conosciuta come Giornata del Rifugiato in Africa, prima che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la designasse ufficialmente come giornata internazionale nel dicembre 2000. La Convenzione sui Rifugiati e il suo Protocollo del 1967 sono gli unici strumenti giuridici globali che tutelano esplicitamente gli aspetti più importanti della vita di un rifugiato. Secondo le loro disposizioni, i rifugiati meritano, come minimo, gli stessi standard di trattamento di cui godono gli altri cittadini stranieri in un determinato Paese e, in molti casi, lo stesso trattamento dei cittadini nazionali. La Convenzione del 1951 stabilisce una serie di diritti e sottolinea anche gli obblighi dei rifugiati nei confronti del Paese ospitante. La pietra miliare della Convenzione del 1951 è il principio di non-refoulement, o di non respingimento. In base a questo criterio, un rifugiato non dovrebbe essere rimpatriato in un Paese in cui rischia di subire gravi minacce alla sua vita o alla sua libertà.

Il rapporto Unhcr sul 2021 è stato reso disponibile qualche giorno fa, quest’anno prima del solito, il 15 (online) e 16 giugno (presentazione pubblica) e, come ogni anno, molte sono state nel mondo e in Italia le iniziative svoltesi per commentarlo e discuterlo, alla luce di dati ed esperienze maturati da organizzazioni non governative ed enti locali. Il World Refugee Day 2022 del 20 giugno ha poi avuto come filo conduttore uno slogan che richiama l’interesse universale e reciproco del darsi rifugio, recitando Whoever. Wherever. Whenever. Everyone has the right to seek safety, ovverochiunque, ovunque, in qualsiasi momento: tutti hanno il diritto alla sicurezza. Pur con senso critico, si tratta proprio di una celebrazione: ognuno dovrebbe sempre apprezzare e onorare la forza e il coraggio dei rifugiati, promuovere consapevolezza e sostegno verso tutti coloro che si sono trovati costretti a fuggire dalla loro terra e dalle loro case a causa di guerre, conflitti, disastri naturali., eventi che talvolta abbiamo contribuito a provocare anche con scelte “nostre”.

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