CULTURA

Il Golfo di Venezia arrivava oltre Bari: la mostra pugliese di carte e mappe

Bari ha un centrale e millenario ruolo nella geografia e nella storia del Mediterraneo (continenti e isole), uno snodo nevralgico nelle relazioni euroasiatiche. Si tratta della nona città italiana per numero di abitanti, oggi circa 315 mila (fra Firenze ottava e Catania decima), la terza del meridione dopo Napoli e Palermo. Ospita la Fiera del Levante dal 1930 e il suo porto è ancora il maggior scalo passeggeri nazionale della lunghissima riviera adriatica. Come per molte metropoli costiere, in epoca moderna e contemporanea il rapporto con il mare non è stato lineare e scontato: per larga parte dei due ultimi turistici secoli sono state poche le spiagge urbane, l’evoluzione della struttura urbanistica e sociale si presenta quasi come “di spalle” rispetto alle acque, non è mai esistito un vero e proprio waterfront (spazi divenuti pulsanti negli ultimi decenni altrove, in forme talora addirittura esagerate e quasi solo consumistiche, in vari casi altri “non luoghi”).

Fino al 12 novembre il bel Museo Civico del capoluogo pugliese ospita un’esposizione molto interessante: “Bari e il suo mare dal Rinascimento al Novecento. La rappresentazione cartografica e le vedute della Terra di Bari”. Occorre tener presente che almeno fino alla fine del Seicento l’ampio bacino marino del Golfo di Venezia arrivava oltre la Puglia a ovest e quasi alla Grecia a est; vi è una storia pure della toponomastica (oltre che dei popoli, dei poteri istituzionali e della cartografia), indispensabile alla conoscenza scientifica del mondo e delle relazioni fra sapiens; i Greci chiamavano quel mare Golfo di Adria (città dell’attuale Veneto, già etrusca e siracusana), all’origine anche dell’etimologia recente del relativo mare, come abbiamo raccontato su queste pagine in Adriatico, piccolo mare con una grande storia.

La mostra barese è stata promossa dalla competente associazione culturale “Roberto Almagià” (con sede a Roma), attualmente presidente Emilio Moreschi e segretaria Franca Maria Tegliucci, il loro socio Armando Morbiato fece una cospicua donazione di mappe e carte al Museo di Geografia di Padova.

Proprio Almagià (Firenze 1884 - Roma 1962) fu uno dei più grandi studiosi di cartografia antica nel secolo scorso, nonché appassionato e famoso collezionista, successore di Giuseppe Dalla Vedova sulla cattedra di Geografia all’Università di Padova dal 1911 al 1914. L’associazione è sorta nel 2006, composta da esperti e collezionisti di cartografia antica, promotrice già di analoghe esposizioni su altre geografie e città del paese, con le relative storie e mappe (per esempio sul Regno di Napoli o il Friuli), spesso mettendo a disposizione anche materiale tratto dalle proprie collezioni, per la maggior parte inedito, e con il patrocinio da parte della Società Geografica Italiana (SGI), del Centro Italiano per gli studi Storico-Geografici (CISGE), dell’Università IUAV di Venezia, della Seconda Università di Napoli e dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.

Le mostre cartografiche meravigliano i nostri sguardi e pensieri

Incrociando il paesaggio terrestre con la storia delle comunità umane, abbozzando con sempre maggiore precisione le forme degli ecosistemi rispetto alle definizioni via via evolute, intrecciando fisicità e storicità degli spazi (che solo da poco elaboriamo graficamente con sovrapposti confini istituzionali e amministrativi) interpretiamo meglio il meticciato umano, dal Neolitico e forse anche da prima. Fin dai tempi più antichi, infatti, noi sapiens abbiamo avvertito in vario modo la necessità di conoscere “oggettivamente” il territorio di sopravvivenza, riproduzione, relazione comunitaria e incontro sociale e abbiamo quindi “tracciato” linee e punti che potessero servire come elementi di riferimento per orizzontarci eretti sul terreno, anche in relazione agli specchi d’acqua e agli scorci di cielo, alle altitudini e agli inciampi, approfondendo così la conoscenza degli elementi fisici, biologici e antropici del contesto vitale.

Sono quasi cento le opere esposte a Bari, ognuna presentata con un breve sommario e la possibilità digitale di accedere alla minuziosa scheda pubblicata sul catalogo, rifacendosi così con visione, audio e lettura alle vicende dell’intero Regno di Napoli dal Rinascimento in avanti, fino alla Repubblica italiana, ai nessi con le culture e le scienze coeve, all’evoluzione della cartografia attraverso i rilevanti insegnamenti acquisiti dalle straordinarie esperienze arabe e l’apporto decisivo della crescente cartografia nautica, ai cenni sulla toponomastica dei luoghi geografici e dei centri abitati, ai singoli autori delle incisioni e delle carte, agli evidenti rapporti fra rappresentazioni denominazioni mappature e i poteri politici costituiti.

Gli spunti traibili da mappe e carte lette criticamente sono sempre innumerevoli, come abbiamo raccontato qui altre volte:

Un percorso tra carte antiche, vedute scenografiche e cartografia nautica

La mostra del Museo Civico presenta un percorso di carte geografiche antiche e di vedute quasi dell’intero territorio del basso Adriatico, in parte denominato Terra di Bari già nel Medioevo e poi in quei secoli del Rinascimento, a partire dalle prime rappresentazioni a stampa fino alle vedute più realistiche della città dalla fine del ‘600, alle carte relative allo sviluppo del porto, alle piante connesse ai piani regolatori urbani della fine del secolo scorso, opere di elevato spessore scientifico e talora mirabili rarità non solo per appassionati e curiosi ma anche per i collezionisti, visitatori pugliesi o adriatici e non solo. Nell’introduzione al catalogo l’assessora alle culture di Bari Ines Pierucci sottolinea proprio l’aspetto del meticciato della nostra specie: “i grandi imperi di una volta non sono mai del tutto scomparsi… le attuali superpotenze orientano le proprie decisioni sulle tracce di antichi binari… identità… stabilità…vulnerabilità”.

Oltre alla celebre veduta scenografica della città di Bari detta Bianchi-Dottula, sono esposte alcune carte nautiche praticamente sconosciute, come quelle del Barentsz o del Coronelli, e la carta generale dell’Adriatico manoscritta del Visconti (1810), mai esposta prima. Una chicca risulta la carta topografica del porto di Bari della Marina statunitense, coeva del bombardamento del porto. L’esposizione nelle sale dell’affascinante museo è articolata in sette sezioni: I. Atlanti; II. Cartografia antica della Puglia e Terra di Bari; III. La Terra di Bari nel XVIII secolo; IV. Vedute della città di Bari; V. Cartografia borbonica della Terra di Bari; VI. La Terra di Bari e l’Adriatico; VII. Comunicazioni e strade in Terra di Bari. La cartografia del periodo borbonico (1650-1860) viene largamente e utilmente riportata, vista l’importanza e l’altissimo livello topografico ed estetico che raggiunse.

Tra le particolarità dell’esposizione risalta il significativo rapporto tra le vedute manoscritte della Biblioteca nazionale di Vienna e quelle a stampa del Pacichelli. Le vedute di costa della Marina italiana post-unitaria restituiscono una visione più familiare delle città pugliesi con lo sguardo dal largo del mare, anche se precedenti alle modifiche urbanistiche avvenute a partire dall’età umbertina. Come sopra accennato, un’apposita sezione viene inoltre dedicata a strade e trasporti, comprensiva anche dei movimenti della Guardia nazionale durante il brigantaggio e delle comunicazioni delle neonate Poste Italiane nel 1867. Ne emerge un gradevole occhio sul passato molto utile al presente e al futuro, considerando inoltre che “Terra di Bari” è pure la nuova denominazione dell’Area metropolitana.

La mostra è stata coordinata da Vito de Pinto, le quasi cento schede predisposte da vari esperti dell’associazione romana. Alcune schede e l’introduzione del catalogo sono opera della colta esperta geografa Simonetta Conti (Roma, 1945), che spiega: “Gli studi sulla Cartografia storica della Puglia, così come per quelli di tutte le altre regioni d’Italia, nascono verso la fine del XIX secolo con lo scopo ben preciso di studiare e censire l’abbondante patrimonio cartografico diviso nelle biblioteche e negli archivi di tutti gli stati preunitari, oltre che in numerose mani private”. Dopo le grandi Mappe Mundi medievali, il lento progressivo affermarsi della cartografia nautica (poi pure intercontinentale e parallela alla conquista europea degli oceani) permette per la prima volta di disegnare la stessa piccola nostra penisola italiana in forma corretta, pur se ancora in modo rozzo. All’inizio del XIV secolo, ricorda Conti, “troviamo la prima carta geografica che raffigura lo stivale nella sua interezza e con una posizione simile a quella odierna… Si tratta della Carta d’Italia annessa al trattato De Mapa Mundi di Fra Paolino Minorita, risalente all’incirca al 1320”, prima dunque dell’introduzione delle carte quattro-cinquecentesche di stile tolemaico, che successivamente (nel 1511) iniziano a riportare esattamente anche la posizione del Gargano e della penisola salentina, due peculiarità “irregolari” della linea adriatica occidentale (ulteriori risultano a nord la laguna veneta e al centro il Monte Conero).

Il mare a Bari c’è sempre stato e ci sarà ancora a lungo

Nel Cinquecento saranno poi molte le carte realizzate per l’Italia meridionale e per le dodici province del Regno di Napoli, la Terra di Bari e il territorio pugliese al suo interno, opere belle e moderne. La mostra presta grande attenzione ai relativi Atlanti dell’epoca pregeodetica, più o meno ufficiali, e alle varie edizioni e differenze, sempre ovviamente concentrandosi sulla Puglia, ma con continui rimandi di carattere culturale e istituzionale al resto del territorio, via via alle Due Sicilie o all’Italia. Conclude Conti: “rispetto ad altre regioni la Puglia ha avuto un numero forse maggiore di carte a causa della grande estensione di coste, che ha fatto sì che venissero cartografate tutte le numerose torri costiere erette a difesa del territorio, al quale guardavano occhi interessati a occuparlo come gli ottomani e i barbareschi che nel frattempo lo avevano ben cartografato…”.

Il mare a Bari c’è sempre stato e ci sarà ancora a lungo, anche quando non c’era ad Adria e a Venezia (prima della fine dell’ultima preistorica glaciazione) ma già era accaduto che convivessero sapiens e neandertal sulle coste e le grotte del Salento (circa cinquanta mila anni fa) o quando sommergerà anche Adria e Venezia (in quasi tutti gli scenari scientificamente previsti dagli studiosi degli effetti dei cambiamenti climatici antropici globali di qui al 2100) in quel prossimo futuro già recentemente narrato da Telmo Pievani e Mauro Varotto, grazie anche alle mappe dello splendido museo di geografia di Padova. Non sappiamo come si chiamerà il mare lì davanti, forse è comunque utile conoscere come si è a Bari modificato il rapporto fra le terre emerse e il Mediterraneo nell’ultimo mezzo millennio. La mostra qui descritta aiuta.

Non è certo l’unica cosa che si può fare a Bari di questi tempi, una metropoli divenuta bella vitale innovativa, ricca di attività culturali e sociali da scoprire e condividere, di musei e altre mostre, di eventi e mercati, di balneazione ed enogastronomia. Mentre apprezziamo le opere della mostra, intanto si può dare bene un’occhiata attorno, valutare anche il luogo che la ospita e ragionare su chi lo gestisce. L’esposizione storica di Bari nell’Ottocento fu allestita nel 1913 per celebrare il primo centenario del borgo murattiano; il conseguente museo civico fu inaugurato nel gennaio 1919 in alcuni locali annessi al Teatro Margherita, arricchendosi via via di materiali, archivi, dipinti; dopo alterne vicende e brevi chiusure trovò provvisoria sede e solo nel 1977 fu definitivamente trasferito assieme alla Biblioteca storica in Strada Sagges 13 in quell’antico palazzo del più Antico borgo altomedievale, un’area di rinvenimenti archeologici accanto al Duomo; dal giugno 2015 è affidato in gestione al Consorzio Idria (attivo anche nelle altre province pugliesi), ora con un accordo di partenariato pubblico privato.

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