SCIENZA E RICERCA

Marconi 150: le origini del wireless. L’antenna a monopolo

Il 25 aprile 1874 nasceva Guglielmo Marconi, inventore del telegrafo senza fili, premio Nobel per la fisica nel 1909 e visionario imprenditore destinato a rivoluzionare il futuro delle trasmissioni a distanza. Il lavoro di Marconi con le onde elettromagnetiche, a cui egli dedicò tutta la sua vita, ebbe un impatto immediato e duraturo a livello globale, aprendo la strada a una nuova era di connessione e comunicazione. In occasione dei 150 anni dalla nascita di Marconi, ripercorriamo la storia delle principali invenzioni e innovazioni tecnologiche in cui il suo contributo è stato fondamentale. Un racconto tecnologico a tappe, volto ad approfondire le basi scientifiche delle innovazioni marconiane e l’eredità delle sue intuizioni per il presente e il futuro dell’ingegneria delle telecomunicazioni.

Questa storia non poteva non cominciare dalla celebre antenna a monopolo nella residenza familiare di Villa Griffone, dove Marconi condusse numerosi esperimenti con le onde elettromagnetiche e realizzò i primi rudimentali apparecchi per la radiotrasmissione. Nel 1895 il giovane inventore costruì un’antenna verticale che posizionò oltre la collina dei Celestini, a circa due chilometri di distanza dalla villa.

L’esperimento in questione fu la prima dimostrazione della capacità delle onde elettromagnetiche di superare un ostacolo fisico naturale, come una collina. Il segnale inviato dell’antenna trasmittente fu infatti rilevato da quella al di là della collina e presidiata dal fratello Alfonso, che seguì le istruzioni del fratello e sparò in aria un colpo di fucile per confermare la riuscita dell’impresa. Oggi quell’esperimento casalingo viene ricordato come l’invenzione del sistema di comunicazione wireless e il primo traguardo nella storia delle trasmissioni a distanza via etere.

Come sottolinea il professor Marco Santagiustina, docente al Dipartimento di ingegneria dell'informazione all’università di Padova, per comprendere meglio le caratteristiche tecniche e il funzionamento dell’antenna marconiana, è innanzitutto necessario capire quale fosse lo stato dell’arte in materia di elettromagnetismo alla fine dell’Ottocento.

“Le onde elettromagnetiche furono teorizzate per la prima volta da Maxwell, che nel 1865 pubblicò un trattato che ripercorreva tutta la conoscenza scientifica disponibile sull’elettricità e il magnetismo e scoprì che essi costituivano un unico fenomeno di propagazione ondosa, di cui ipotizzò facesse parte anche la luce”, spiega il professore. Poco tempo dopo, nel 1886, gli esperimenti di laboratorio condotti da Hertz dimostrarono che era possibile utilizzare le onde elettromagnetiche per trasmettere un segnale a distanza.

“Hertz utilizzò un’antenna chiamata dipolo, costituita cioè da due braccia”, prosegue Santagiustina. “L’antenna era connessa a un generatore di alta tensione costituito da un rocchetto di Ruhmkorff: un oggetto composto da due avvolgimenti di filo di rame disposti attorno a un nucleo di ferro. Il rocchetto serviva a trasmettere un flusso di corrente alle due estremità dell’antenna, sulle quali si trovavano due capacità, ovvero due grosse sfere di ottone. L’alta tensione inviata dal generatore di corrente faceva sì che nel poco spazio che separava le due sfere si formasse una scarica elettrica che collegava quindi i due rami del dipolo. Per la ricezione, Hertz utilizzò invece un’antenna “a loop”, cioè a forma di anello, che riusciva a raccogliere il campo elettromagnetico generato dal dipolo posto a poca distanza”.

Marconi aveva appreso le basi dell’elettromagnetismo e i dettagli dell’esperimento di Hertz grazie alle lezioni private impartitegli da Vincenzo Rosa, docente di matematica e fisica a Livorno, e da Augusto Righi, allora professore all’università di Bologna.

“Marconi si servì di strumenti già esistenti per produrre il suo segnale”, continua Santagiustina. “Per generare il campo elettromagnetico utilizzò il rocchetto di Ruhmkorff. Per la ricezione ricorse invece a un dispositivo chiamato coherer (o coesore), inventato dall’italiano Temistocle Calzecchi Onesti. Si trattava di un tubicino di vetro che conteneva delle polveri di metalli magnetici. Quando il coesore veniva esposto a un campo elettromagnetico esterno, aumentava la coesione tra le polveri e si modificava di conseguenza il passaggio della corrente attraverso il dispositivo. In altre parole, in assenza di campo elettromagnetico esterno, le particelle metalliche erano abbastanza disunite, passava poca corrente e la resistenza era alta; quando invece venivano compattate dall’applicazione del campo elettromagnetico, formavano un conduttore con una resistenza più bassa, permettendo quindi alla corrente di passare attraverso il circuito”.

Marconi trascorreva giorni interi chiuso nella soffitta di Villa Griffone a condurre esperimenti con i dispositivi appena descritti. A un certo punto decise di applicare le conoscenze che aveva appreso e sperimentato nel parco della villa.

Nel 1895 Marconi realizzò la celebre antenna che gli consentì di superare un ostacolo fisico – la collina dei Celestini – con le onde elettromagnetiche. Costruì, in particolare, un’antenna trasmittente collegata al generatore di segnale descritto prima (costituito dal rocchetto di Ruhmkorff) i cui fili si dipanavano in varie direzioni come le bacchette di un ombrello aperto. Quando la corrente scorreva attraverso il filo conduttore si generava un campo elettromagnetico che si propagava in varie direzioni. Dall’altra parte della collina Marconi pose un’antenna simile che serviva a ricevere il segnale. Questa era collegata al coherer, ai capi del quale aveva applicato una tensione che faceva scattare un campanello o che permetteva comunque di rilevare la corrente che passava al suo interno.

Oggi è possibile ammirare una ricostruzione di questo sistema nel parco di Villa Griffone, attuale sede del Museo Marconi. “L’antenna marconiana era costituita da un palo alto una decina di metri sul quale si trovava il rocchetto di Ruhmkorff”, racconta Renzo Piana, consulente tecnico del museo. “A furia di sperimentare, Marconi si era reso conto che aumentando la distanza tra le estremità dell’antenna, si riusciva a trasmettere il segnale molto più lontano. Posizionò il palo dell’antenna in verticale, scavando una piccola buca sottoterra, e vi pose in cima una croce metallica o di legno, alle cui estremità si trovavano quattro cubi di latta, che aveva ottenuto tagliando dei bidoni di petrolio”.

“L’allungamento dell’antenna fu una delle intuizioni che permise a Marconi di superare di gran lunga l’esperimento di Hertz, che aveva inviato un segnale a una distanza molto breve”, spiega il professor Santagiustina. “Oggi, grazie alla teoria delle antenne, conosciamo l’esistenza di un parametro – chiamato resistenza di radiazione – che misura l’efficienza dell’antenna. Tale parametro dipende proprio dalla lunghezza dell’antenna stessa. Semplificando, il concetto si può riassumere così: più è lunga un’antenna, maggiore è la potenza con cui riesce a irradiare.

La decisione di collegare i fili dell’antenna ai quattro blocchi di metallo in cima al palo permise invece a Marconi di aumentare la carica accumulata dall’antenna, che riusciva così a generare una corrente più intensa”, prosegue il professore. “La messa a terra fu un’altra delle sue innovazioni fondamentali, che consentì all’antenna di generare un campo elettromagnetico più potente. La terra, infatti, pur essendo un conduttore scarso, aumenta la direttività: riflette cioè le onde dell’antenna per direzionare meglio l’effetto della radiazione verso il punto che si desidera raggiungere”.

L’antenna marconiana viene infatti chiamata anche antenna a monopolo: invece di avere due elettrodi alle estremità, sfrutta la presenza del piano di massa per eliminarne uno dei due e ottenere la stessa efficienza con la metà della lunghezza. “Per ogni tipo di antenna esiste una lunghezza ottimale, che nel caso del dipolo equivale alla metà della lunghezza d'onda”, precisa il professor Santagiustina. “Il monopolo, invece, raggiunge la massima efficienza quando è lungo un quarto della lunghezza d’onda”.

Insomma, l’allungamento dell’antenna, la messa a terra e il collegamento con i blocchi di metallo furono gli assi nella manica che permisero a Marconi di far giungere il suo segnale al di là della collina, superando un ostacolo fisico. “Probabilmente questo traguardo venne raggiunto anche grazie agli effetti della diffrazione, il fenomeno per cui un’onda, quando incontra un ostacolo, pur non riuscendo ad attraversarlo, riesce a deviare attorno ad esso quel tanto che basta per arrivare dall’altra parte”, sottolinea Santagiustina. “È ipotizzabile, perciò, che la potenza delle onde elettromagnetiche generate da Marconi fosse abbastanza elevata perché il segnale di diffrazione potesse essere rilevato dall’antenna al dì là della collina”.

Oggi l’antenna marconiana ha un valore più che altro storico, essendo stata di gran lunga superata dal progresso scientifico e tecnologico dell’ultimo secolo e mezzo. Eppure, come osserva Santagiustina, alcuni dei principi di base per il funzionamento di questo apparato rudimentale, caratterizzano ancora alcuni dispositivi di uso quotidiano. “Le antenne dentro i nostri telefoni cellulari e computer sono sostanzialmente dei monopoli molto piccoli, che sfruttano la presenza dei piani di massa (le superfici conduttive su cui appoggiano, in grado di riflettere le onde elettromagnetiche) per irradiare un segnale in modo efficiente, ottenendo cioè il massimo rendimento dalla potenza resa disponibile dalla batteria del dispositivo”, spiega il professore.

Insomma, il superamento della collina dei Celestini diede la conferma al giovane inventore che la sua intuizione era esatta e che le onde elettromagnetiche avrebbero aperto la strada a un mondo nuovo, in cui non ci sarebbe stato ostacolo o distanza sulla terra che le radiocomunicazioni non avrebbero potuto superare. Marconi era deciso a partecipare in prima persona a questa rivoluzione senza fili: poco tempo dopo l’esperimento con l’antenna a monopolo decise di trasferirsi in Inghilterra, dove brevettò la sua invenzione, fondò una compagnia e iniziò a stupire il mondo testando le prime applicazioni concrete della sua tecnologia per le telecomunicazioni via mare.

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