UNIVERSITÀ E SCUOLA

A scuola tutto bene? Gli edifici costruiti dal 1975 in poi

L’edilizia scolastica italiana è composta da quasi 60 mila edifici scolastici e la maggioranza di questi, precisamente il 71%, sono stati costruiti dopo il 1960. In particolare sono quasi 21mila, cioè il 40% del totale, quelli costruiti dal 1976 in poi.

Partiamo da questo per vedere come in un Paese “anziano”, e non solo per una questione anagrafica della popolazione, ma anche per quanto riguarda la costruzione degli edifici, l’edilizia scolastica sia un tema importante su cui focalizzare l’attenzione.

 



Sappiamo quindi che gli edifici scolastici sono circa 60 mila, molti meno naturalmente degli edifici residenziali che, in Italia, superano i 12 milioni. Di questi 12.187.698 solamente poco più di 3 milioni sono stati costruiti dal 1981 in poi. Una percentuale nettamente inferiore rispetto a quella degli edifici dedicati all’uso scolastico costruiti negli stessi anni. Il motivo di questa differenza di percentuale lo vedremo in seguito, ma ciò che è utile focalizzare è come l’edilizia scolastica abbia subito una forte spinta dal 1975 in poi.

Dei quasi 21 mila edifici scolastici costruiti in Italia dal 1976 in poi, 17.154 sono stati costruiti appositamente per uso scolastico. Un 81,7% che supera la media nazionale per gli istituti costruiti precedentemente, che si attesta circa al 76%. Questo perché è proprio del 1975 quella che potremmo considerare la bibbia dell’edilizia scolastica. Stiamo parlando del decreto ministeriale del 18 dicembre 1975 denominato “Norme tecniche aggiornate relative all’edilizia scolastica, ivi compresi gli indici minimi di funzionalità didattica, edilizia ed urbanistica, da osservarsi nella esecuzione di opere di edilizia scolastica”. 

Leggere il decreto ministeriale è interessante perché sono diverse le norme tecniche specifiche che di fatto si sovrappongono ad alcuni dei 44 indicatori che abbiamo preso in esame per il nostro reportage a puntate. Nell’articolo 1.1 infatti, è chiaro ed esplicito il fatto che “le localizzazioni relative all'edilizia scolastica debbono discendere da uno studio morfologico preliminare dell'ambiente”, che tenga in considerazione, oltre alle condizioni ambientali, anche il tempo massimo e il modo di percorrenza tra la residenza degli alunni e la scuola e viceversa. In pratica il decreto pone l’attenzione sulla raggiungibilità della scuola, che sia a piedi, con veicoli, motoveicoli, autoveicoli pubblici o privati. 

Analizzando il nostro dataset vediamo come la raggiungibilità degli edifici scolastici costruiti dal 1976 in poi con i mezzi privati sia superiore all’83%. La maggioranza inoltre è provvista di scuolabus (per il 63%) e di trasporti pubblici urbani (53%). Numeri che, come vediamo dai grafici sottostanti, non si discostano molto dalle percentuali che si riscontrano analizzando tutti i quasi 60 mila edifici scolastici italiani.



Sempre il decreto ministeriale poi, esplicita come sia necessario tenere in considerazione il fatto che la scuola materna debba essere strettamente collegata alla morfologia residenziale. Questo perché gli alunni non sono autonomi nella percorrenza dalla residenza alla scuola e viceversa. Andando a vedere i 5.461 edifici scolastici costruiti dal 1976 in poi, vediamo che solamente 860 di questi non sono accessibili con i mezzi privati.

Sempre l’articolo 1.1 indica delle direttive anche per le scuole elementari e secondarie. “La scuola elementare - si legge nel decreto - si riferisce ad un ambito residenziale, che, nella normalità dei casi, consente di raggiungerla a piedi; per gli insediamenti sparsi, ove non sussistano condizioni di eccezionalità (mancanza di strade adeguate, insufficienza di mezzi di trasporto, condizioni climatiche stagionali avverse per lunghi periodi di tempo, ecc.) gli alunni, per raggiungere la scuola, possono usufruire di mezzi di trasporto scolastico o di mezzi pubblici o privati.

La scuola secondaria di primo grado (media), sia che si riferisca allo stesso ambito residenziale della scuola elementare o, come talora avviene, a zona più vasta, è frequentata da alunni più autonomi nel percorrere la distanza residenza-scuola, e maggiormente adatti ad usufruire di mezzi di trasporto.

La scuola secondaria di secondo grado infine può essere raggiunta con mezzi di trasporto scolastici o autonomi, pubblici o privati, e, appartenendo ad un ambito territoriale, deve essere localizzata in modo da permettere agli alunni, indipendentemente dalle loro condizioni economiche e sociali, la più ampia scelta tra i vari tipi che la differenziano. A tale scopo possono essere riunite in un unico centro scolastico scuole di diverso tipo, con servizi ed attrezzature comuni e, nei casi espressamente previsti, con annessa residenza per allievi e professori”.

Le norme tecniche poi puntualizzano anche che la scuola dev’essere situata in località aperta, possibilmente alberata e ricca di verde, che consenta il massimo soleggiamento o che sia comunque, una delle migliori in rapporto al luogo, che sia lontana da depositi e da scoli di materie di rifiuto, da acque stagnanti, da strade di grande traffico, da strade ferrate e da aeroporti con intenso traffico, da industrie rumorose e dalle quali provengono esalazioni moleste e nocive, da cimiteri e da tutte quelle attrezzature urbane che possono comunque arrecare danno o disagio alle attività della scuola stessa.

Degli edifici scolastici costruiti dal 1976 in poi il 95% non ha vincoli idrogeologici. Una percentuale che, anche in questo caso, non si discosta molto da quella riferibile alla totalità degli edifici scolastici italiani.

Sempre le norme tecniche mettono in luce come le attività educative si debbano svolgere su un solo piano per quanto riguarda le scuole materne, su due piani, salvo parere del provveditore agli studi (l’attuale ufficio scolastico provinciale), per le elementari e medie e fino a tre piani per le scuole secondarie superiori. Inoltre nei seminterrati di norma è consentito ubicare solamente locali di deposito o centrale termina o elettrica.

Tolta l’anomalia della scuola di primo grado Albert Bruce Sabin di Siena che ha riportato essere di 47 piani, vediamo come la maggior parte degli edifici scolastici adibiti a scuole d’infanzia e costruiti sempre dopo il 1976, aderisca alla normativa. Sono 2.825 infatti quelli che hanno solo un piano e 1.810 quelli con due piani. Anche in questo caso ci sono anomalie nella compilazione perché in 7 edifici è riportato “zero piani” e due edifici per la scuola d’infanzia sono stati dichiarati di nove piani (Scuola Fabrizio De Andrè di Scanzano Jonico e la scuola nel Rione Mattinella a Bella, in provincia di Potenza).

La normativa che abbiamo preso in considerazione fino ad ora è quella riferita al 1975. In 45 anni però molto è mutato nella società e nelle normative, ed anche in materia edilizia ci sono stati degli aggiornamenti. Il primo e più importante, per quanto riguarda l’edilizia scolastica, è avvenuto con la legge 23 dell’11 gennaio 1996 denominata “Norme per l’edilizia scolastica”. L’obiettivo della legge era quello di soddisfare un fabbisogno immediato di aule, riducendo gli indici di carenza delle diverse regioni entro la media nazionale e di riqualificare il patrimonio esistente.

In questo caso i dati del Miur non ci vengono molto in aiuto per conoscere in modo dettagliato quali sono gli edifici costruiti dopo il 1996. La fascia d’età nella compilazione dei dati ministeriali è dal 1975 in poi ma alcune considerazioni riusciamo comunque a farle. Di alcuni edifici infatti, conosciamo precisamente l’anno di costruzione o di adattamento. Per il primo caso, cioè gli edifici costruiti dopo il 1996, quindi teoricamente rifacendosi alla legge 23/1996, sappiamo che sono almeno 4.991 e l’anno in cui ne sono stati costruiti di più, sempre facendo riferimento ai dati Miur, sembra essere stato il 2004 con 405 diversi edifici scolastici.

Per quanto riguarda l’adattamento invece, sappiamo che 1.471 edifici scolastici sono stati adattati alle norme dal 1996 in poi.

 

Dal 1996 quindi sono stati costruiti o adattati almeno 6.500 diversi edifici scolastici, ma cosa dicono queste norme? In primis, all’articolo 3, si ribadisce che la realizzazione, la fornitura e la manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici spett ai comuni, per quanto riguarda la sede di scuole materne, elementari e medie e alle province, per istituti e scuole di istruzione secondaria superiore, compresi i licei artistici e gli istituti d'arte, di conservatori di musica, di accademie, di istituti superiori per le industrie artistiche, nonché di convitti e di istituzioni educative statali. 

I comuni e le province, oltre alla manutenzione ed anche all’inserimento dei dati come abbiamo visto in una precedente puntata del nostro reportage, devono provvedere anche alle “spese varie di ufficio e per l'arredamento e a quelle per le utenze elettriche e telefoniche, per la provvista dell'acqua e del gas, per il riscaldamento ed ai relativi impianti”. Gli enti territoriali però, possono delegare alle singole istituzioni scolastiche, su loro richiesta, funzioni relative alla manutenzione ordinaria degli edifici destinati ad uso scolastico, provvedendo però ad assicurare le risorse finanziarie.

Per quanto riguarda le norme tecniche, anche la legge 23 del 1996 di fatti si rifà al D.M. del 18 dicembre 1975, cioè quello che abbiamo analizzato precedentemente. E’ nel 1996 però, che viene istituito l'Osservatorio per l'edilizia scolastica che, come si legge nella norma, è “composto dai rappresentanti degli organismi nazionali, regionali e locali competenti in materia di edilizia scolastica, nonché da una rappresentanza del Ministero per i beni culturali e ambientali, con compiti di promozione, di indirizzo e di coordinamento delle attività di studio, ricerca e normazione tecnica espletate dalle regioni e dagli enti locali territoriali nel campo delle strutture edilizie per la scuola e del loro assetto urbanistico, nonché di supporto dei soggetti programmatori e attuatori degli interventi previsti dalla presente legge. 

L'Osservatorio è presieduto dal Ministro della pubblica istruzione, il quale ne determina la composizione con proprio decreto, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano”. Oltre all’istituzione dell’Osservatorio, la legge 23 del 1996 ribadisce anche che spetta al Ministero della pubblica istruzione l'aggiornamento, nell'ambito del proprio sistema informativo e con la collaborazione degli enti locali interessati, di un'anagrafe nazionale dell'edilizia scolastica diretta ad accertare la consistenza, la situazione e la funzionalità del patrimonio edilizio scolastico. 


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La normativa in materia di edilizia, non esclusivamente scolastica, ha continuato ad aggiornarsi anche dopo il 1996. In particolare è del 2001 il “Testo unico per l’edilizia” che in 138 articoli normativa tutta l’attività edilizia italiana: dai procedimenti, ai certificati di agibilità, dalla vigilanza con relative sanzioni fino alle disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche. Recentemente infine, si sta discutendo sulla necessità di rivedere la normativa edilizia e recepire il nuovo "testo unico per le costruzioni" denominato Disciplina delle costruzioni, che andrebbe ad aggiornare il testo del 2001 in particolare su alcuni aspetti tecnici della disciplina dell'accertamento di conformità.

Tornando all’edilizia scolastica invece, nel 2013 un decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha stabilito delle linee guida per la costruzione di nuove scuole. La premessa delle nuove linee guida è un cambiamento di visione dell’aula stessa. “Per anni - si legge nel documento - l’aula è stata il luogo unico dell’istruzione scolastica. Tutti gli spazi della scuola erano subordinati alla centralità dell’aula, rispetto alla quale erano strumentali o accessori: i corridoi, luoghi utilizzati solo per il transito degli studenti, o il laboratorio per poter usufruire di attrezzature speciali. Questi luoghi erano vissuti in una sorta di tempo “altro” rispetto a quello della didattica quotidiana. Ogni spazio era pensato per una unica attività e restava inutilizzato per tutto il resto del tempo scuola. [...] Oggi emerge la necessità di vedere la scuola come uno spazio unico integrato in cui i microambienti finalizzati ad attività diversificate hanno la stessa dignità e presentano caratteri di abitabilità e flessibilità in grado di accogliere in ogni momento persone e attività della scuola offrendo caratteristiche di funzionalità, confort e benessere. La scuola diventa il risultato del sovrapporsi di diversi tessuti ambientali: quello delle informazioni, delle relazioni, degli spazi e dei componenti architettonici, dei materiali, che a volte interagiscono generando stati emergenti significativi”.

Un cambiamento di paradigma che diventa anche organizzazione diversa degli spazi d’apprendimento, o almeno dovrebbe diventare. Come abbiamo visto precedentemente il numero degli edifici scolastici costruiti dal 2013 in poi è solamente di 406 unità a cui si aggiungono i 200 adattati. Le linee guida quindi disegnavano quella che doveva essere la scuola del futuro, fatta di spazi d’apprendimento collettivo, laboratoriale ed anche di spazi individuali e di informalità o relax. Per quanto riguarda la localizzazione le scuole devono essere individuate in “zone salubri, poco rumorose, lontane da strade importanti, in situazioni orografiche favorevoli, possibilmente pianeggianti per consentire l’organizzazione di attrezzature di gioco e sportive e, se le condizioni sono difficili, le aree dovranno essere adeguatamente ingrandite”. Inoltre in particolari condizioni il plesso scolastico può essere costituito da edifici situati in aree tra loro vicine, a condizione che siano a una distanza ragionevole, come un tempo di percorrenza di massimo 4-5 minuti o poste a metri 250-300 e collegate da un percorso sicuro. 

Il collegamento è un punto cruciale delle linee guida che mettono nero su bianco come le scuole devono essere ben collegate con la rete dei mezzi pubblici e l’accesso deve essere garantito sia dalla rete viaria che da piste ciclabili e percorsi pedonali sicuri.

Tutte linee guida razionali ed importanti che però cozzano con quello che emerge analizzando i dati ministeriali. L’abbiamo fatto sia guardando i dati aggregati (leggi l’articolo), sia guardando i dati solamente degli edifici più recenti ma in entrambi i casi le percentuali fanno emergere uno spaccato non propriamente in linea con le direttive del 2013.

L’analisi che siamo facendo vuol essere utile proprio a far emergere le discrepanze tra normative e realtà, sperando di dare un piccolo contributo affichè si vada sempre più concretamente verso l’attuazione di queste importanti linee guida.

 


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