REUTERS/Yannis Behrakis
La direzione è quella dell’accordo di pace ma restano ancora tanti gli interrogativi aperti su quello che potrebbe accadere se realmente si arrivasse a un negoziato di pace tra Stati Uniti e talebani a quasi 20 anni dall’inizio dei conflitti.
Dopo diverse settimane di incontri, tutti gli attori protagonisti, dall’amministrazione Trump, al governo afghano, ai talebani sembrano voler mettere fine ai conflitti attraverso un accordo di pace che aprirebbe la strada a un confronto diretto tra talebani e governo di Kabul. Le trattative, che da quasi un anno si susseguono alla presenza di Zalmay Khalilzad, l'inviato speciale Usa per l'Afghanistan, sembrano essere confluite in un testo quasi definitivo che prevede pochi punti essenziali:
il ritiro, nei prossimi due anni, delle truppe americane dall’Afghanistan (circa 5.000 soldati tra i 14.000 presenti) in cambio della rinuncia da parte dei talebani al legame con il terrorismo di Al Qaeda e di Isis; un negoziato successivo che prevede accordi tra talebani e governo di Kabul; lo stop di ogni conflitto armato.
Ne abbiamo parlato con Paolo De Stefani, professore di diritto internazionale presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Padova.
Prof. De Stefani, dopo quasi un anno di trattative, si può davvero pensare di essere arrivati a un negoziato che metta d’accordo in modo definitivo tutti i protagonisti coinvolti?
"In verità il negoziato è intercorso tra l’amministrazione americana e i Taliban. Il governo afghano non è stato coinvolto, così come non sono stati interpellati gli altri attori internazionali presenti o che comunque fanno sentire la loro influenza nel quadrante afghano (la Russia, per esempio). Presentato come uno strumento decisivo per riportare la pace, a coronamento di una presenza militare americana quasi ventennale, l’accordo elaborato dalle due delegazioni a Doha è in realtà pensato come propedeutico all’avvio dei negoziati nazionali tra le varie fazioni che si contendono il controllo del territoriale. Ma circa questa fase-due, di Doha è molto generico. È chiaro che l’obiettivo fondamentale degli USA nel negoziare con una entità considerata terrorista è quello di far rientrare (in tempo per le prossime elezioni presidenziali americane) i propri soldati e ottenere, in cambio, lo smantellamento delle basi di al-Qaeda e l’impegno a non appoggiare il terrorismo internazionale. Il dialogo nazionale tra taliban e gli altri leader in cui la popolazione si riconosce è faticosamente iniziato (ci sono state riunioni a Mosca, non a caso), ma appare tutt’altro che facile".
“ Il dialogo nazionale tra taliban e gli altri leader in cui la popolazione si riconosce è faticosamente iniziato ma appare tutt’altro che facile
È pronto, un Paese come l’Afghanistan, dopo 20 anni di conflitti e instabilità a farcela ‘con le proprie gambe’? Quale potrebbe essere il suo nuovo destino politico?
"Per ammissione dello stesso Trump, il dialogo con i Taliban è stato avviato perché l’obiettivo di sconfiggerli militarmente è ormai fallito. Anche sul piano sociale e politico, i cambiamenti che la presenza americana e occidentale hanno innescato sono modesti. Tanto è vero che i Taliban (che pure si sono nel frattempo significativamente “moderati”) hanno un largo seguito. Per l’Afghanistan, il disimpegno americano dal Paese crea seri rischi sia nel breve periodo (in questa estate gli attentati terroristici e gli omicidi politici si sono intensificati), sia nel luogo periodo. I Taliban infatti hanno rafforzato il loro ruolo sul piano militare e su quello politico, mentre il regime di Kabul ha perso terreno su entrambi gli scenari. Tutto ciò rischia di riportare il Paese a una guerra civile aperta".
“ Il dialogo con i Taliban è stato avviato perché l’obiettivo di sconfiggerli militarmente è ormai fallito
Il New York Times, tramite la voce dell’ambasciatrice di Kabul negli Usa, Roya Rahmani lancia però un allarme, quello relativo alle donne che, con questo accordo con i talebani, potrebbero rischiare di veder compromessi i diritti acquisiti in questi lunghi 20 anni.
Negli anni ’90 infatti, con i talebani, le donne venivano picchiate e uccise se lasciavano la loro casa. A loro veniva impedito di studiare, ma anche di lavorare. "Le persone non avevano speranze – ha detto Rahamani in una recente intervista al quotidiano americano - erano zombi viventi. Oggi, le donne costituiscono il 28% dell'Assemblea nazionale afgana - più che al Congresso”.
Molti passi in avanti sono stati fatti in questi anni, il 25% delle donne oggi è alfabetizzato anche se con grandi disparità tra chi vive in città e nelle aree rurali del Paese e il 20% ha un lavoro, ma l’Afghanistan è ancora considerato il peggior posto al mondo per essere una donna (l’87% sono analfabete, il 70-80% affronta il matrimonio e molte prima dei 16 anni).
È reale il rischio che questo accordo con i talebani possa influenzare la condizione attuale delle donne facendo loro perdere alcuni dei diritti acquisiti in questi 20 anni? In che modo?
"Qui non si parla dell’accordo USA-taliban, ma del processo di pace interno all’Afghanistan che il ritiro delle forze straniere dovrebbe favorire. In verità, come accennato, non è affatto sicuro che il processo di pace prenda effettivamente corpo dopo l’allontanamento degli occupanti stranieri - anche se questo è ciò che tutte le fazioni afghane affermano da anni. Nelle zone del Paese sotto controllo occidentale la condizione di donne e bambine è certamente migliorata, ma in gran parte dl paese - e in particolare nei territori direttamente controllati dai Taliban - non è affatto così. In Europa lo sappiamo bene, visto che continuiamo a riconoscere forme di protezione internazionale alle donne che fuggono da quelle zone o che rischiano di ritornarvi con le misure di espulsione o rimpatrio. Le donne afghane sono purtroppo consapevoli che se si raggiungerà la pace tra gruppi filo-governativi e taliban, sarà probabilmente a loro spese: tutti i gruppi che si contendono il potere sono generalmente estremamente conservatori; ma l’alternativa, e cioè il ritorno al conflitto armato, per le donne sarebbe ancora più devastante. In conclusione, il successo dei colloqui Trump-Taliban segna soprattutto il disimpegno degli USA e dei paesi occidentali dal quadrante afghano. Il ritiro delle truppe USA potrebbe favorire al riconciliazione, ma la cosa non è affatto certa. La contropartita al ritiro degli USA dovrebbe essere l’impegno a non fare di nuovo dell’Afghanistan un santuario dei gruppi islamisti, ma una garanzia a lungo termine non è facile da ottenere. Specialmente se al disimpegno degli occidentali corrisponde il rinnovato protagonismo della Russia e delle altre potenze regionali. Che tutto ciò possa giovare al progresso civile e sociale del paese e in particolare al progresso delle donne è quantomeno dubbio".