CULTURA

Ripensare il fascismo, cent’anni dopo

A quasi un secolo dalla marcia su Roma il ventennio è sempre più al centro del dibattito pubblico, culturale e persino politico tra studi e ricerche, fiction – come la fortunatissima serie di Antonio Scurati – e soprattutto polemiche, come quella che ha portato alle dimissioni del sottosegretario leghista Claudio Durigon, che aveva chiesto di ridedicare il parco comunale di Latina ad Arnaldo Mussolini. E la questione non si pone solo in Italia, se si tiene conto dei recenti avvenimenti nell’Europa dell’est e negli Stati Uniti dell’era Trump.

È soprattutto in Italia che però il fascismo continua a rappresentare il simbolo di una memoria storica inquieta e lacerata, di un ‘passato che non passa’ e che secondo alcuni bloccherebbe il Paese in una perenne contrapposizione senza vie di sbocco. “Quando negli anni '90 ho cominciato a studiarlo all’università, il fascismo appariva un fenomeno archiviato e senza troppi rapporti con il presente, come poteva essere l'età liberale o il Risorgimento”, riflette nell’intervista a Il Bo Live Giulia Albanese, docente di storia contemporanea presso l’Università di Padova. Un quadro che oggi si presenta completamente differente: “La crisi delle democrazie liberali ci interroga su quel passato in maniera diversa e rende in qualche modo più presenti alcuni interrogativi; è inoltre cambiato il modo in cui si ricorre al fascismo come strumento di analisi del presente”.

Intervista di Daniele Mont D'Arpizio; montaggio: Elisa Speronello

Assieme ad altri 12 studiosi Albanese ha recentemente dato alle stampe Il fascismo italiano. Storia e interpretazioni (Carocci), opera che approfondisce, in maniera rigorosa ma con stile divulgativo, alcuni aspetti del regime e della sua ideologia. Con un’idea di fondo: riannodare e consolidare il dibattito storico sul fascismo è oggi più importante che mai. “Lavorare insieme è stata un'opportunità incredibile perché è ovviamente difficile occuparsi da soli a 360 gradi di un regime durato vent'anni, che ha permeato di sé la società, la politica, l’economia e la cultura – continua Albanese –. La collaborazione tra diversi specialisti permette di riarticolare, per chi si occupa soprattutto di alcuni aspetti specifici, una visione complessiva del fascismo”.

Diversi e importanti i temi affrontati dai saggi che compongono il libro, dalla lettura agile ma spesso sorprendente: l’importanza della violenza (Matteo Millan), della guerra (Claudia Baldoli) e del colonialismo (Valeria Deplano) nelle origini ma anche nello sviluppo del regime, le questioni della classe dirigente (Matteo Di Figlia) e dell’economia nel rapporto tra privato e pubblico (Bruno Settis), le relazioni con la religione, in particolare il cattolicesimo (Gabriele Rigano), e con il mondo scientifico, con il caso specifico della meteorologia (Angelo M. Caglioti), la definizione e i limiti della cittadinanza (Roberta Pergher) e il welfare (di Ilaria Pavan, che assieme a Chiara Giorgi ha da poco pubblicato con Il Mulino un’ottima Storia dello Stato sociale in Italia). Ci sono infine i capitoli dedicati alla vita quotidiana (Joshua Arthurs), alla propaganda (Alessio Gagliardi) e all’antifascismo (Marco Bresciani), mentre l’ultimo, firmato dalla curatrice, esamina i rapporti con l’estero. Un ampio programma che senza pretese di inseguire un’impossibile completezza – vengono lasciati volutamente fuori temi come razzismo, antisemitismo e politiche di genere, meritevoli secondo gli autori di riflessioni più ampie e autonome – si dedica a riassumere alcune delle tendenze storiografiche più promettenti, tracciando al contempo le linee di un loro possibile sviluppo.

La crisi delle democrazie liberali ci interroga in maniera diversa sul fascismo e rende più presenti alcuni interrogativi

Punto fondamentale, ancora oggi molto dibattuto, rimane quello legato al rapporto per molti versi contraddittorio con la guerra e il militarismo. Se da una parte il fascismo nasce dalla guerra e si nutre del suo mito, dall’altra saranno proprio l’ingresso nel secondo conflitto mondiale e la sostanziale impreparazione dimostrata nel suo corso a causare il crollo di Mussolini. “Il regime pensò alla guerra fin dagli anni Venti – spiega Giulia Albanese –: essa non rappresenta solo un episodio, una conseguenza dell'alleanza con la Germania hitleriana, ma è parte sostanziale della sua ideologia e del suo progetto politico. Dalla metà degli anni Trenta con l'Etiopia e la Spagna fino alla fine della guerra nel '45 il fascismo è sempre in guerra, così come la guerra è parte sostanziale della sua politica di potenza e di affermazione dell'Italia nel mondo”.

Il fascismo in Italia non è però solo un periodo storico definitivamente concluso e archiviato: anche dopo la sua caduta ha continuato ad influenzare la vita politica e civile, e la sua ombra tocca alcuni dei capitoli più oscuri della storia repubblicana, dai tentativi di golpe alle stragi. “Gli italiani hanno a lungo rimosso il rapporto con il fascismo – continua la storica –. Anche per ragioni in alcuni casi comprensibili: all'indomani della guerra era probabilmente più importante costruire le basi del consenso per la democrazia che analizzare le responsabilità del regime”. Tutto questo però, secondo la studiosa, ha fatto sì che il Paese non facesse fino in fondo i conti con il suo passato: “Il fatto che esistano leader o gruppi politici che si richiamano ancora espressamente a simboli e personalità di quell'esperienza storica non aiuta, diciamo, a ‘far passare il passato’ e a renderlo meno incandescente. C'è infine un’ultima questione: nel discorso pubblico italiano il fascismo rappresenta in qualche modo la crisi e l'uscita autoritaria e dittatoriale dalla democrazia liberale, per cui ogni qualvolta nella scena politica si intravedono elementi di fuga verso prospettive più autoritarie e meno democratiche la metafora in qualche modo è proprio quella del fascismo”. Questioni sicuramente complesse e su cui  è spesso difficile confrontarsi, ma non di meno da riconoscere nella loro rilevanza e da affrontare: soprattutto oggi, in una società sempre più polarizzata e fragile.

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012