CULTURA

Grenze 2025: il festival di fotografia che racconta la fragilità delle cose

Anfällig è traducibile in italiano con la parola cagionevolezza, cioè quello stato di non completa guarigione in cui ci sentiamo estremamente fragili, vulnerabili e anche, in un certo senso, disponibili ad accogliere il nuovo e quello che verrà, ma con una dose di insicurezza data dall'esperienza di un travaglio, di un trauma, di una malattia vissuta”.  Simone Azzoni, professore di arte contemporanea all’Istituto Universitario Salesiano di Venezia (IUSVE), introduce così il tema che ruota attorno all’edizione 2025 di Grenze-Arsenali Fotograficifestival internazionale di fotografia in programma a Verona dal 19 settembre al 21 ottobre. Ospite d’eccezione di quest’anno è il regista spagnolo Pedro Almodóvar, che porta per la prima volta in Italia la sua mostra “Vida detenida”

Le origini del festival

Nato nel 2018 da un’idea di Azzoni stesso e di Francesca Marra, fotografa e insegnante di fotografia, il festival ha voluto fin dall’inizio ampliare il concetto stesso di fotografia, intesa non solo come linguaggio artistico ma come cultura visiva e, col tempo, è diventato un appuntamento fisso alla fine dell’estate. La scelta del nome non è casuale: Grenze è un sostantivo tedesco che sta per confine, limite, frontiera, è un termine versatile, adattabile a seconda del contesto e, per continuare a parlare di arte nella contemporaneità, secondo gli autori, dovremmo prima o poi ridefinire i confini, almeno quelli che decidiamo di varcare o attraversare. 

Un dialogo tra luoghi e fotografia

L’ottava edizione di Grenze prende vita nello storico quartiere di Veronetta, multietnico, ricco e vibrante nella sua eterogeneità. Qui, nelle sedi espositive di Il Meccanico, ex laboratorio di un biciclettaio, oggi galleria d’arte e luogo di incontro dedicato alla fotografia, e del Bastione delle Maddalene, numerosi artisti internazionali hanno portato la loro idea di vulnerabilità, di fragilità, di “debolezza insita nelle cose, nelle persone e nelle situazioni quotidiane.” I luoghi scelti rientrano nello spirito stesso del progetto dove “il linguaggio della fotografia si sposa con il patrimonio monumentale rappresentato dalla città muraria, luoghi che hanno avuto il riconoscimento dell'UNESCO e che sono sempre più identitari nel definire la nostra città” spiega Marta Ugolini, Assessora alla Cultura, Turismo e rapporti con l’UNESCO del Comune di Verona.

Le iniziative

Un evento, quello di Grenze che si distingue anche per la presenza di workshop, talk, attività, laboratori, un circuito OFF, distribuito in diversi negozi, bar e locali del quartiere di Veronetta, il tutto in maniera totalmente gratuita: “Ci piace pensare che un festival possa generare una comunità, permanente e riconoscibile. - recita il Manifesto del festival - Ci piace pensare che i valori che ne determinano identità e distinzione possano invertire le traiettorie del sistema in atto, alimentando buone pratiche e creando nuove prospettive. Ci piace pensare che la gratuità sia l'inciampo e la smagliatura che convoca partecipanti e spettatori, pubblico e addetti ai lavori”. 

Ad affiancare la direzione artistica di Marra e Azzoni c’è, inoltre, quest’anno Erik Kessels, artista, designer e curatore olandese. Da anni recupera fotografie in mercatini e negozi dell’usato, che raccoglie, ricontestualizza e pubblica attraverso KesselsKramer Publishing.

“Vida detenida”: la prima esposizione italiana di Pedro Almodóvar

Il primo progetto che si incontra entrando negli spazi de Il Meccanico è “Vida detenida” di Pedro Almodóvar. Nessun appunto visivo dai set cinematografici né documentazione dal backstage, quello che il regista spagnolo porta a Verona è uno spazio intimo e domestico, nel quale poter raccontare la vita immobile di oggetti inanimati: bicchieri, fiori, piatti, utensili da cucina, oggetti comuni diventano parte di nature silenziose ma non morte, come sottolinea il regista. “Preferisco l’espressione inglese ‘still life’, cioè vita ferma, invece di ‘naturaleza muerta’ (natura morta), come si dice in spagnolo. Gli oggetti sono sempre vivi, così come la luce, nel senso che sono suscettibili al passare del tempo”. 

Vida detenida è intraducibile in italiano ma, come spiega Azzoni nel catalogo della mostra, può essere tradotto con “vita sospesa” o “vita congelata”. Quella che Almodóvar porta in mostra è una riflessione sulla bellezza, fragile e temporanea, sulla classicità contaminata dal tempo e dal quotidiano: “Ciò che mi interessa è l’estasi del momento, essere vigile e catturare l’emozione dell’istante. — spiega il regista — Spero che questa emozione permanga nella foto incorniciata, ma per me è davvero sufficiente che queste foto siano decorative, che accompagnino i loro proprietari, che vivano con loro e testimonino la loro vita”. 

La mostra è a cura di Simone Azzoni, in collaborazione con Opera Gallery Madrid

Via Lactea, di Alfio Tommasini

Allevatori e animali delle regioni alpine e prealpine sono al centro di “Via Lactea, progetto fotografico di Alfio Tommasini, curatore e direttore artistico di Verzasca Foto Festival, anch’esso esposto a Il Meccanico. Il racconto visivo del fotografo si sviluppa attraverso cinque inverni, mesi in cui Tommasini ha visitato per lo più piccoli agricoltori e allevatori di bovini, nonché i grandi laboratori di latte e di inseminazione in Svizzera. Intrecciando vedute paesaggistiche e ritratti intimi, Tommasini esplora il rapporto tra comunità rurali, ambiente e processi produttivi in un’epoca di profonda trasformazione dell’industria lattiero-casearia, sempre più segnata da meccanizzazione e tecnologie digitali. A essere dominante, nel suo progetto, è il colore bianco, del latte ma soprattutto della neve, in contrasto con le figure al centro delle opere. Lontane da ogni intento folclorico, le immagini rivelano nei dettagli di abiti, strumenti e macchinari i segni sottili ma inevitabili di un mutamento co-evolutivo che tocca insieme uomini, animali e paesaggi.

La mostra è a cura di Simone Azzoni.

In Passing, di Katarina Marković

Nelle sale interne del Bastione delle Maddalene troviamo “In Passing”, progetto fotografico di Katarina Marković, fotografa di Belgrado, classe 1993. Una riflessione gentile ma sorprendente sui momenti quotidiani e sul peso lieve che trasmettono.“Come la separazione dal ricordo è uno sciabordare di frammenti sul bagnasciuga della memoria, così negare un'immagine significa riaffermarla — scrive Azzoni, parlando della mostra. — Volti e fiori generano un campo di forze che rende dinamico un atlante waburghiano di ricordi, una scansione disordinata di un ipertesto mnemonico di forme e contenuti. Forme e contenuti: Pathosformel, in cui il pathos della nostalgia muove i cambiamenti, empatie che sprofondano nei pixel e riaffiorano in nitidezze di dettagli”.

La mostra è a cura di Simone Azzoni, in collaborazione con Belgrade Photo Month e Sarajevo Photography Festival.

Icebergs. Understanding the world by travelling inward, di Nuno Serrão

L’esposizione del fotografo portoghese Nuno Serrão è la risposta a un mondo connesso, che è occupato, frenetico, spesso bisognoso. In questo contesto, risulta allora di vitale importanza allontanarsi dalla corrente e assumere una forma di quieta solitudine, che guarda l'oceano da lontano. Un iceberg, per l’appunto. Gli abitanti dell’universo di Serrão sembrano quasi figure sospese, malinconiche, enigmatiche, alla deriva, sensazione resa ancora più intensamente dalle installazioni in plexiglass sul quale sono esposte le immagini, le quali sembrano invitare lo spettatore ad immergersi e a navigare in solitudine, invitandolo a guardarsi dentro. 

La mostra è a cura di Simone Azzoni.

Eidolons, di Frédérique Dimarco

Frédérique Dimarco è una fotografa francese che vive e lavora ad Aix-en-Provence. Convive con un disturbo oftalmologico che le provoca una forte sensibilità alla luce (fotofobia) e un costante affaticamento visivo. Di questa condizione, però, l’autrice ne ha fatto un’arte, trasformando la fragilità dello sguardo in linguaggio creativo. La sua ricerca fotografica diventa così un’esplorazione della percezione, dell’impermanenza e della memoria, restituendo al pubblico immagini sospese, intime e rivelatrici. In greco antico, eidolon significa fantasma, immagine, simulacro. Alcune delle immagini sono immerse in vasche d’acqua, una sorta di “liquido amniotico” che consente la rinascita di una nuova visione. Ogni fotografia diventa così il bagliore di un momento unico e suggestivo. 

La mostra è a cura di Francesca Marra.

Coming back, di Florine Thiebaud

Con “Coming back”, la visual artist francese Florine Thiebaud ha voluto esplorare il tema della depressione, vissuta in prima persona nella solitudine della sua camera da letto. La fotografa scatta nei momenti di crisi ed esaurimento legati alla malattia, ritraendosi nei momenti di disconnessione maggiori, dalla realtà e dal corpo. “La mia pratica artistica si occupa da sempre di temi come l’isolamento e l’identità. Qui, sul mio letto, il luogo dove tendiamo a nasconderci e che porta il peso della nostra solitudine, rileggo questi temi da una nuova prospettiva — spiega Thiebaud. — Uso il mio corpo come terreno di esplorazione, confrontandomi con un’estetica concettuale spesso associata ad artisti maschi. Ma qui c’é una donna che si fotografa nei suoi stati più vulnerabili. Il mio sguardo diretto verso la macchina introduce consapevolezza di sé e sfida lo spettatore. Se esistiamo attraverso lo sguardo dell’Altro, qui l’Altro sono anche io, sia davanti che dietro la macchina fotografica”. L’universo intimo dell’artista si confronta con gli spazi aperti che circondano il Bastione delle Maddalene: la mostra, è, infatti, l’unica a svilupparsi all’esterno. Le immagini sono impresse su grandi teli che guidano lo spettatore in un percorso, rendendolo parte integrante dell’opera.

La mostra è a cura di Erik Kessels.

Hiding and Seeking, di Tianyu Wang

Partendo da esperienze vissute personalmente, la fotografa cinese Tianyu Wang indaga la violenza e le forme di oppressione che le donne subiscono nello spazio domestico. “Utilizzo la performance come processo creativo e l’immagine come mezzo per realizzare la serie “Hiding and Seeking” (Nascondersi e Cercare), con la speranza di suscitare una riflessione — spiega Wang. — Nel progetto uso posture umane, gesti e oggetti domestici quotidiani come punti di partenza. Da un lato, mi fotografo come soggetto per ricostruire le ‘posture che ci si aspetta che le donne assumano nella vita quotidiana’. Questo è un modo per decostruire e resistere all’oppressione che le donne subiscono ancora da parte delle discipline tradizionali. Dall’altro lato, richiamando alla memoria scene di violenza nella mia famiglia, canalizzo le reazioni fisiche e il trauma provocati da quella violenza. Anche se è accaduto molto tempo fa, mi rendo conto che è ancora impresso in me”.

La mostra è a cura di Erik Kessels, che, intervistata, commenta: “I progetti di Wang e Thiebaud sono entrambi molto personali e questo è importante perchè sono entrambe donne che esprimono sé stesse attraverso la fotografia, comunicando difficoltà personali in un posto enorme come questo, a un pubblico ancora più grande”. 

Tumbarino, di Emanuela Cerchi

La fotografa Emanuela Cerchi, vincitrice del Premio Nazionale Musa per fotografe 2024, settore Ricerca, vive e lavora fra la Sardegna e il sud della Francia. Nel suo progetto a lungo termine, l’autrice si propone di raccontare un luogo, i suoi abitanti (temporanei) e l’atmosfera surreale che lo caratterizza, intrecciando al contempo una riflessione più ampia sul rapporto tra l’essere umano, gli animali e gli spazi naturali. Alle immagini di tipo documentario si affiancano fotografie più sperimentali, concepite come una topografia animale frammentata e spezzettata, ispirata dalle ricerche della fotografa in testi di ornitologia e scienze naturali. Il progetto comprende anche un video, che crea un vero e proprio ecosistema visivo e sonoro dell’isola. “Gli uccelli sono un indicatore importante dello stato di salute di un ecosistema. Ma studiare gli uccelli oggi significa, in ultima analisi, osservare le tracce tangibili dei cambiamenti in atto e del declino inesorabile di intere specie. - spiega Cerchi - I dati raccolti negli ultimi decenni evidenziano un calo drastico delle popolazioni di uccelli a livello globale, le cause sono strettamente legate all’attività umana. In questo contesto, il lavoro meticoloso e costante degli ornitologi assume un ruolo cruciale. Solo attraverso un’osservazione attenta e la raccolta di dati sul lungo periodo è possibile comprendere meglio l’entità di questi cambiamenti e adottare delle misure di prevenzione e strategie di conservazione adeguate”.

Il progetto è a cura di MUSA Fotografia ed è stato realizzato grazie alla disponibilità e alla collaborazione con l’Osservatorio Faunistico del Parco Nazionale dell’Asinara.

L’ottava edizione di Grenze-Arsenali Fotografici conferma ancora una volta la capacità del festival di creare un dialogo aperto tra arte, memoria e contemporaneità, valorizzando storie intime e punti di vista spesso invisibili. Uno spazio che permette sia all’artista che allo spettatore di confrontarsi con la vulnerabilità, la resistenza e la bellezza effimera delle cose.

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