CULTURA

Aspettando il Museo della natura e dell’uomo. Come nascono le collezioni naturalistiche

Il conto alla rovescia per l’apertura del più grande museo scientifico universitario d'Europa sta per giungere al termine. Il nuovo Museo della natura e dell’uomo sarà inaugurato a Padova il 23 giugno nella sede di Palazzo Cavalli, che già da tempo ospita le collezioni di Geologia e paleontologia e di Mineralogia dell’ateneo patavino, alle quali saranno presto aggiunte quelle di Zoologia e Antropologia. Nell’attesa del momento in cui si apriranno le porte di questo innovativo polo espositivo, riscopriamo la storia della nascita dei musei naturalistici e l’evoluzione della loro funzione scientifica e sociale nel corso dei secoli con l’aiuto di Elena Canadelli, professoressa di storia della scienza all’università di Padova e presidente della Società italiana di storia della scienza.

L’intervista alla professoressa Elena Canadelli. Montaggio di Barbara Paknazar

I moderni musei di storia naturale nascono nella seconda metà del Settecento, contestualmente alla diffusione dell’Illuminismo nel mondo occidentale. Eppure, già nel Rinascimento esistevano quantomeno gli antenati di questi luoghi. A partire dal XIV secolo era infatti diffusa nelle case nobili o altoborghesi europee la moda di collezionare reperti naturalistici, rarità esotiche e stranezze di vario genere provenienti da acquisti, scambi, viaggi ed esplorazioni. Tali oggetti venivano esposti in sale della casa opportunamente dedicate: i cosiddetti gabinetti di storia naturale.

 “I gabinetti privati rinascimentali avevano lo scopo di riordinare un insieme di oggetti – non solo naturali, ma anche etnografici o tecnologici – in uno spazio chiuso, che diventava una sorta di “teatro” della natura e del mondo”, racconta la professoressa Canadelli. “Queste camere di raccolta della natura vennero allestite anche nelle dimore private di molti botanici, medici e farmacisti italiani. Una delle principali era quella di Ulisse Aldrovandi, la cui collezione è ancora oggi conservata dall'università di Bologna. Già nel corso del Seicento, il collezionismo occidentale getta le prime basi per uno studio della natura e del mondo basato sulla disponibilità di oggetti e materiali appositamente raccolti e riordinati”.

Come anticipato, il passaggio dai gabinetti ai musei in senso stretto avvenne durante il Settecento, dapprima con l’apertura delle camere private al pubblico, perlopiù a scopo didattico, e successivamente con la realizzazione di spazi espositivi allestiti dalle accademie o dalle società di ricerca per consentire anche alla società civile l’accesso a questi patrimoni di conoscenza materiale. “Alla fine del Seicento e poi durante il Settecento le collezioni private vennero acquisite – principalmente tramite donazione – dalle istituzioni pubbliche”, continua Canadelli. “Dalla fine del Settecento e poi nell’Ottocento, con la specializzazione delle discipline scientifiche (e la differenziazione, ad esempio, tra botanica, zoologia, antropologia fisica, paleontologia, ecc… ndr) il contenuto di queste collezioni, che raccoglievano di “tutto un po’” iniziò ad essere riorganizzato, soprattutto per distinguere le raccolte naturalistiche da quelle etnografiche”. Con la fine del Settecento assistiamo così alla nascita dei più importanti musei di storia naturale al mondo, come quello di Parigi – che fu aperto dopo la Rivoluzione francese per mettere a disposizione del pubblico la collezione che fino ad allora era stata conservata nel gabinetto reale – e il British Museum – fondato a partire dalla collezione privata del medico e naturalista Sir Hans Sloane e dal quale, durante l’Ottocento, nacque come sede distaccata il Museo di storia naturale di Londra.

Una vicenda analoga portò alla costituzione del primo nucleo del patrimonio naturalistico museale dell’università di Padova, che proviene dalla collezione privata dal medico e biologo Antonio Vallisneri (1679 e il 1730) il quale, nel corso della sua vita, raccolse un’ampia collezione di esemplari naturali e oggetti antichi provenienti da tutto il mondo, i quali furono donati all’ateneo patavino da suo figlio, Antonio Vallisneri jr. nel 1733”.

“Grazie alla donazione di Vallisneri jr. l’università di Padova si dotò per la prima volta di un suo gabinetto non solo naturalistico, ma anche archeologico ed etnografico, da utilizzare principalmente come supporto alla didattica e per la ricerca”, racconta Canadelli. “All’inizio dell’Ottocento, la collezione archeologica contenuta nel nucleo vallisneriano, che era stata acquisita a sua volta da Vallisneri sr. dalla famiglia Mantova Benavides, venne separata e collocata nel museo di Scienze archeologiche e d'arte, dove è ancora oggi visitabile. Anche le raccolte naturalistiche, che con il passare degli anni furono ulteriormente arricchite, nell’Ottocento vennero a loro volta suddivise e riorganizzate in base alla progressiva distinzione tra le cattedre universitarie”. Quando, ad esempio, nel 1869 la cattedra di storia naturale venne divisa in due – geologia e mineralogia da una parte e zoologia dall’altra – le relative collezioni furono distinte; allo stesso modo, nel 1883 vennero separate tra loro anche le cattedre di geologia e mineralogia, portando alla distinzione tra le rispettive collezioni museali. “Con l’apertura del nuovo museo della Natura e dell’uomo tutte queste collezioni si ritroveranno di nuovo all’interno dello stesso spazio espositivo, tornando a costituire un insieme unitario, sebbene in una forma rielaborata”, sottolinea la professoressa Canadelli.

Con l’Ottocento, oltre alle attività di conservazione, didattica e ricerca scientifica, divenne centrale la volontà di migliorare l’accessibilità delle collezioni da parte del pubblico. Divenne sempre più centrale, in altre parole, la funzione educativa e divulgativa dei musei. “Nonostante i musei di storia naturale fossero aperti al pubblico da almeno un secolo, l’attenzione ai visitatori diventò particolarmente importante durante l’Ottocento, con la progettazione di strutture architettoniche, allestimenti e percorsi progettati ad hoc per ottimizzare la comunicazione delle scienze naturali a un pubblico di non esperti”, spiega Canadelli. “Questo impegno continuò nel corso del Novecento, quando la missione di divulgazione scientifica svolta dai musei venne presa ancora più seriamente. Agli anni Venti e Trenta del secolo scorso risalgono, ad esempio, i primi diorami: degli exibit che rappresentano scene di vita quotidiana degli esseri umani antichi o di altre specie animali intente, ad esempio, nella caccia o nella cura parentale e immerse nel loro habitat. Installazioni di questo tipo, che oggi consideriamo quasi scontato trovare nei musei di storia naturale, sono in realtà il frutto di un’evoluzione sia delle scienze naturali, che con il tempo hanno assunto una prospettiva più incentrata sullo studio e la protezione degli ecosistemi, sia delle modalità di comunicazione al pubblico, che dall’Ottocento inizia ad essere sempre più numeroso”. Ancora oggi i musei di storia naturale assolvono alle tre importanti funzioni descritte da Canadelli: conservazione e arricchimento delle raccolte (come sottolinea la professoressa, infatti, “i musei di storia naturale non andrebbero mai considerati completi”), ricerca, e divulgazione.

Ripercorrendo la storia delle origini della museologia, non si può ignorare che molti dei reperti più antichi ancora oggi conservati dalle grandi istituzioni occidentali provengano da veri e propri saccheggi a danno dell’ambiente e delle comunità locali. Oggi, al contrario di quanto avveniva durante l’Ottocento, esistono delle norme imposte dall’ICOM (International Council of Museums) che regolamentano la raccolta di esemplari negli ambienti naturali. Nonostante questo, ai musei di oggi spetta il gravoso compito di confrontarsi nel modo giusto con il loro scomodo passato.

“È fondamentale instaurare un dialogo tra le grandi istituzioni e le comunità locali per stabilire insieme le modalità secondo le quali dev’essere svolta la raccolta degli esemplari naturalistici, i quali sono fondamentali per l’acquisizione di informazioni preziose sugli ambienti e gli ecosistemi potenzialmente a rischio”, riflette Canadelli. “La condivisione e l’accesso a tali informazioni sono centrali sia per la ricerca che per la divulgazione scientifica. In alcuni casi sono state organizzate delle importanti campagne di digitalizzazione degli esemplari naturalistici che, per quanto molto costose, consentono di garantire la condivisione dei materiali con le comunità di origine e l’accessibilità di questi dati con l’intera comunità scientifica. L’acquisizione di nuove raccolte, fisiche o virtuali che siano, rappresenta comunque una componente importante della missione odierna dei musei; se ciò non avvenisse, tra trecento anni non avremo nessun archivio che conservi traccia dei fenomeni ambientali che stanno avvenendo oggi”.

Per quanto riguarda invece gli oggetti raccolti dagli attuali musei di storia naturale nel corso dell'Ottocento e del Novecento, la maggior parte dei quali è stata acquisita durante le campagne coloniali, è possibile avviare dei progetti di decolonizzazione culturale tramite la collaborazione tra antropologi, storici della scienza, etnografi e conservatori specializzati nella custodia dei reperti naturalistici. Come spiega Canadelli, quest’impegno dev’essere finalizzato al consolidamento di una nuova consapevolezza riguardo alla storia delle collezioni, che va condivisa anche con il pubblico, così da promuovere una narrazione più autentica e approfondita delle scienze naturali.

“Ci sono anche alcuni casi in cui, invece, le istituzioni occidentali organizzano delle restituzioni di alcuni reperti alle comunità di origine”, continua la professoressa. “Per quanto esistano delle linee guida etiche a livello internazionale, ogni caso di restituzione va discusso approfonditamente tra i diversi soggetti coinvolti, tenendo conto delle diverse possibilità di utilizzo e valorizzazione dei singoli pezzi delle collezioni. Si tratta di questioni delicate che ritengo sia fondamentale affrontare attraverso il dialogo e la cooperazione tra istituzioni, ricercatori e comunità locali. Solo così potremo confrontarci davvero con quella storia, a tratti complessa, che ha reso possibile la raccolta dell’inestimabile patrimonio naturalistico oggi conservato nei musei”.

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SPECIALE "MUSEO DELLA NATURA E DELL'UOMO”

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