La sala delle palme del museo della Natura e dell'Uomo di Padova
Parliamo con Katrin Vohland, dal 2020 Direttrice generale e scientifica del Museo di storia naturale di Vienna, subito dopo la sua visita al Museo della natura e dell’uomo di Padova, la mattina dell’inaugurazione, il 23 giugno scorso. C’è molta bellezza nel museo, dice Vohland a Il Bo Live, con una valorizzazione delle collezioni con scelte espositive che le rendono più accessibili e al contempo puntano anche sull’impatto visivo, sul coinvolgimento emotivo, come la scelta di far vedere i colori che derivano dai minerali o la realizzazione artistica in vetro di murano che si ispira alla doppia elica del Dna. Ma anche l’animazione multimediale che fa ‘attraversare’ i diversi strati della terra e rende chiara la loro composizione.
Si tratta di ausili importanti per complementare le collezioni, perché una delle sfide di chi cura un museo, sottolinea Vohland, è quella di far capire anche i processi. Coniugare l’aspetto emozionale dell’esposizione museale, la valorizzazione di collezioni del passato, con gli interessi e la cultura delle persone di oggi è infatti una delle sfide più complicate di un curatore museale. E dunque, chiediamo a Katrin Vohland di riflettere con noi su questo punto e di raccontarci le scelte fatte nel suo museo, a Vienna.
C’è un elemento comune con la scelta fatta dai curatori del museo padovano, dice Vohland, che è il fatto di voler far capire il processo dell’evoluzione e suo funzionamento, il fatto che tutto è interconnesso, le forze che entrano in gioco. Quindi le scelte espositive e l’ordine diventano essenziali. Al tempo stesso, nel museo di Vienna come in quello di Padova, è importante anche lo sforzo di rendere espliciti i legami con gli habitat, evidenziando perché i luoghi sono importanti, e il fatto che la perdita di ecosistemi comporta perdita di biodiversità e dunque di possibilità future. In altre parole, è necessario far capire che la natura è emozionante tanto quanto è bella e che vale la pena prendersene cura.
Musei scientifici, luoghi di ricerca e spazi di discussione pubblica
Un altro aspetto particolare, su cui riflettiamo con la direttrice del museo di Vienna, è il fatto che i musei scientifici negli ultimi 20 anni sono evoluti anche come luoghi pubblici che facilitano non solo l’educazione e la comprensione della scienza, ma che possono giocare un ruolo più attivo, di arene pubbliche, per il coinvolgimento e la partecipazione dei cittadini nella discussione su temi di cittadinanza scientifica. Non è banale affatto, ci dice in effetti Vohland, perché ora ci sono diversi esperimenti e tentativi di coinvolgere il pubblico in una forma più attiva. Al di là della citizen science, che è una pratica ormai piuttosto conosciuta, ci sono anche altri esempi, come il coinvolgimento dei cittadini nell’ideazione e preparazione di una mostra o di sezioni del museo. Certo, è poi necessario ragionare in modo molto chiaro sulle aspettative. Progettare una mostra o un museo significa anche mettere in campo delle competenze precise, dalla comunicazione alla capacità di disegnare e produrre exhibit o prodotti multimediali, fino alla psicologia dell’apprendimento. Per esempio, spiega Vohland, il museo di Vienna ha delle collaborazioni in essere con alcune università per capire quali sono le modalità di apprendimento dei bambini, ma è un percorso di ricerca appena iniziato.
Dipende molto anche dagli spazi a disposizione e dal tipo di oggetti e collezioni che sono presenti. Il museo viennese ha appena ridisegnato l’intera collezione permanente e ci sono degli spazi ancora in fase di realizzazione che apriranno al pubblico nei prossimi anni, come una stanza dedicata all’era glaciale dove è previsto che i bambini possano disegnare e ragionare insieme su quel periodo geologico. Altre idee riguardando il percorso espositivo della biologia, che secondo Vohland potrebbe essere rivisto per rendere più esplicito il processo evolutivo e la filogenesi, che sembra essere più difficile per le persone da comprendere. C’è poi anche tutto un ragionamento sulla possibilità di rendere visibili anche le ricerche contemporanee.
Ma anche questo non è semplice, e dunque il museo viennese ha deciso di avviare dei percorsi iterativi di test delle proprie idee e proposte coinvolgendo dei cittadini in questi processi. I cittadini danno feedback, spiegando cosa comprendono e cosa vorrebbero invece vedere e imparare, e al contempo il museo esplicita anche quali sono i vincoli e le reali possibilità. Si tratta di un processo che aiuta a rendere la progettazione più vicina al pubblico.
Quando parliamo di clima, di impatto sulla terra e di biodiversità, ad esempio, c’è un’altra difficoltà che emerge. Si tratta di fronti della ricerca molto contemporanei, dove le ricerche continuano a produrre nuove conoscenze, e dove il ritmo sia delle conoscenze che delle loro applicazioni eventuali è molto rapido. Al tempo stesso si tratta questioni sì scientifiche ma con enormi implicazioni politiche e sociali. Come fa un museo, un luogo che rischia di essere percepito come statico, dove sono esposte collezioni e dove le spiegazioni sono basate su risultati consolidati, a stare al passo con questi settori di attività?
Vohland riflette sul fatto che è anche una questione di competenze e ruoli. Un museo scientifico è un luogo di ricerca ma non è un posto dove si producono indicazioni di policy. È aperto alla cittadinanza, si mette a disposizione anche come spazio di incontro, ha delle risorse come un innovation hub dove si discutono soluzioni possibili, lavora sulla comunicazione e produce anche riflessioni sugli aspetti etici e sociali ma non ha il ruolo proattivo di proporre e lanciare indicazioni politiche. C’è poi un’altra dimensione interessante dell’esperienza del museo di Vienna, che è quella di ragionare anche sullo spazio vero e proprio, sull’edificio e il suo impatto. Il museo ha così avviato una valutazione delle proprie emissioni e dunque della sua impronta ambientale e climatica, ragionando anche su possibili soluzioni che lo rendano più sostenibile.
Infine, con Vohland abbiamo toccato un punto che sta diventando sempre più centrale nella comunicazione scientifica, tanto più in quella museale, in tutta Europa. Ci sono parti delle collezioni scientifiche che contengono oggetti e reperti provenienti da diversi luoghi della terra. In molti casi si tratta di luoghi che sono stati esplorati e, depredati senza il consenso delle popolazioni locali quando non del tutto colonizzati con tutte le conseguenze del caso. La discussione sulle restituizioni e sul riconoscimento di queste pratiche attraversa diversi livelli, da quello sociale a quello politico e spesso trascende le singole istituzioni. Eppure, anche nel contesto della comunicazione scientifica sta diventano un discorso sempre più presente.
E infatti, ci racconta Vohland, anche nel suo museo, già prima della sua nomina, è stata avviata molta ricerca per capire le origini dei vari reperti e il loro percorso. Trattandosi di un museo che vuole essere aperto, dove si fa open science, è particolarmente importante per loro fare questo lavoro di ricerca. Vohland stessa è stata coinvolta in una commissione voluta dal governo austriaco che aveva come scopo la messa a punto di indicazioni e linee guida sul tema. Un tema spinoso, sia per i reperti antichi che per quelli raccolti in epoca coloniale.
Ci sono casi in cui la ricerca dà indicazioni molto chiare. Ad esempio, racconta Vohland, nel museo di Vienna c’erano dei teschi umani di origine Maori, della Nuova Zelanda. L’analisi dei diari del collezionista ha reso esplicito che l’acquisizione di quei reperti era già un crimine, anche all’epoca in cui è avvenuta. Il governo austriaco ha così deciso di restituirli alla popolazione Maori, che ne aveva fatto richiesta, con una cerimonia pubblica. La restituzione è avvenuta all’interno di una collaborazione scientifica che ha visto coinvolti diversi antropologi, così che i ricercatori del museo austriaco sono stati invitati in Nuova Zelanda per conoscere le comunità Maori e lavorare insieme sul campo, oltre a restituire di persona i teschi. Ci sono situazioni diverse, naturalmente, ed è importante capire anche i contesti, le ragioni per mantenere o restituire alcuni reperti. Questo è il futuro comunque, dice Vohland, avviare collaborazioni che vedano i ricercatori studiare e lavorare insieme per capire quali siano le migliori soluzioni di volta in volta.
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