L'Arsenale di Venezia, una delle sedi principali di esibizione della Mostra Internazionale di Architettura
Cominciano con un punto di domanda i lavori per la prossima Biennale di architettura, che si terrà a Venezia da maggio a novembre 2020. Perché il titolo dell’edizione a venire non è un’affermazione, ma una domanda aperta, che investe una delle questioni fondamentali del nostro futuro più prossimo: come vivremo insieme? “How will we live together?”.
“Insieme” è dunque la parola cardine sulla quale i curatori dei diversi padiglioni sono chiamati già in questi giorni a lavorare, su indicazione di Hashim Sarkis, architetto libanese al quale è stata affidata la curatela della 17. Mostra Internazionale di Architettura e che è anche preside della scuola di architettura e pianificazione del MIT.
L’“insieme” che lui propone trova almeno cinque possibili declinazioni: in primo luogo, afferma Sarkis “Come esseri umani: al di là di un’individualità che emerge prepotente, noi cresciamo imparando a connetterci l’un altro e con le altre specie con cui condividiamo la vita su questo pianeta”, sia in spazi reali che digitali. In secondo luogo, si sta insieme in un luogo fisico, in nuove abitazioni che devono esprimere la dignità di chi vi dimora; devono trovarvi posto comunità emergenti che chiedono equità, inclusione, riconoscimento della propria identità. E ancora insieme si possono attraversare confini politici e immaginare nuove associazioni geografiche, scambio e cooperazione. Infine, sottolinea il curatore, “Siamo chiamati interpretare quel together come pianeta, di fronte a crisi per le quali solo un’azione globale può consentire all'umanità, ad animali e a piante di vivere, anzi sopravvivere”.
Hashim Sarkis, foto Biennale di Venezia. L'architetto libanese, preside della scuola di architettura del Mit, è stato nominato direttore della sezione Architettura della Biennale
Su questi cardini, i curatori dei padiglioni delle diverse nazioni che saranno rappresentate a Venezia dovranno imperniare progetti, idee, proposte e, soprattutto esempi. Su questo insiste il presidente della Biennale Paolo Baratta: sul fatto che alla Mostra l’architettura debba “parlare con linguaggio suo proprio, che è quello degli esempi. Perché senza esempi, l’architettura è solo un esame preliminare”. La prossima Biennale si propone quindi anche come ricognizione di soluzioni architettoniche e urbane, di esempi che mostrino alla società che oggi l’architettura è a lavoro per dare risposte alle sollecitazioni del vivere contemporaneo.
Sono già 34 le nazioni che hanno già garantito la partecipazione, chiamate da Sarkis all’appello un po’ in anticipo rispetto alle precedenti edizioni. L’obiettivo del direttore è quello di offrire ai curatori spazi temporali allargati in modo da elaborare una riflessione che sia il più corale possibile. Si vuole così arrivare ad una proposta collettiva che affronti nuove questioni legate alla contemporaneità e a un impellente futuro. Sottolinea Baratta: “Oggi c’è un incredibile dualismo in cui si divide il mondo sul concetto stesso di ‘abitare’”. Se in alcune parti del mondo significa trovare riparo, soddisfare bisogni elementari, trovare una casa, in altri luoghi la questione investe ambiti economici e sociali in continua evoluzione, che richiedono interventi di recupero e riutilizzo di spazi obsoleti: “Abbiamo costruito intere città e periferie sull’onda di una industrializzazione che ha però davanti a sé prospettive diverse”.
“ Senza esempi, l’architettura è solo un esame preliminare Paolo Baratta
Sono cambiate le categorie di bisogno per le quali si progettava; è cambiato il concetto di interazione, quello di famiglia e del suo fabbisogno. I movimenti migratori, che prima interessavano solo alcune aree, hanno mutato intensità direzione; e, sullo sfondo, ci sono i mutamenti climatici, il “rumore di fondo della natura”, come lo definisce Baratta. L’architettura deve dare una risposta a queste sollecitazioni, e tutti i curatori sono chiamati a portare alla Biennale esempi di quelle soluzioni. “La mostra vuole essere un luogo in cui avvertire un comune senso d’appartenenza, la consapevolezza di problemi e conflitti condivisi. Anche questo è ‘insieme’”.
E poi - ammonisce Hashim Sarkis - non pensiamo che il futuro contenuto nei nostri progetti sia così lontano: “In molti, e molte nazioni, hanno fatto piani per un ‘lontano’ futuro 2020. Ma pensate: quell’anno è alle porte, il futuro è adesso. Dobbiamo appoggiarci a una immaginazione architettonica collettiva per andare incontro a questa occasione con creatività e coraggio”.
Today, @la_Biennale President Paolo Baratta and MIT SA+P Dean and #BiennaleArchitettura2020 curator Hashim Sarkis announced the theme of the upcoming 17th International Architecture Exhibition: #HowWillWeLiveTogether. https://t.co/EnpJGwwxh6
— MIT SA+P (@mitsap) 16 luglio 2019