SCIENZA E RICERCA

Il fuoco e la pressione antropica dei sapiens sugli ecosistemi antichi

Viviamo nell'epoca dell'antropocene e questa non è una novità. Oggi le attività umane hanno un impatto enorme sugli ecosistemi naturali e sui processi biologici e geologici del nostro pianeta. Ma quand'è che l'homo sapiens ha iniziato a interagire con l'ambiente, modificandolo intenzionalmente per migliorare la sua vita? Non è facile ricercare l'origine di questo comportamento, ma un team internazionale di studiosi ci ha provato in un recente studio pubblicato su Science Advances. In questo lavoro sono stati incrociati dei dati archeologici, geocronologici, geomorfologici e paleoambientali raccolti nel Malawi settentrionale e risalenti al tardo Pleistocene. Tali evidenze hanno permesso di rintracciare un momento in cui l'accensione di fuochi intenzionali da parte degli esseri umani ha causato un'anomalia nel ritmo stagionale consueto.

Come scrivono gli autori, la trasformazione dell'ecosistema per mezzo dell'innovazione tecnologica, della programmazione stagionale e della cooperazione sociale ha permesso alla nostra specie di sopravvivere anche negli ambienti più estremi, e il primo importante mezzo attraverso il quale gli esseri umani hanno iniziato a modificare l'ambiente è stato il fuoco. Imparare a controllare questa risorsa ha permesso infatti ai cacciatori e ai raccoglitori di guidare la selvaggina, riscaldarsi, cuocere i cibi e difendersi dai predatori.

Ebbene, è possibile ancora oggi rintracciare le tracce di questi antichissimi incendi in alcuni paesaggi naturali. I sedimenti lacustri della Rift Valley sono una preziosa risorsa in questo senso, e associandoli ai reperti archeologici ritrovati in questa regione e ai dati paleoambientali, gli autori dello studio hanno cercato di ricostruire l'impatto che hanno avuto le attività umane sugli ecosistemi naturali in questa regione africana.

Per commentare i risultati di questo lavoro abbiamo parlato con Fabio Negrino, professore di preistoria e protostoria all'università di Genova.

L'intervista completa al professor Fabio Negrino. Montaggio di Barbara Paknazar

Il professor Negrino sottolinea l'importanza dei risultati di questo studio in cui per la prima volta è stato possibile collegare a una causa antropica le evidenze di un antico cambiamento climatico in un contesto ambientale come quello del Malawi, in cui c'era una presenza umana consistente.
“Gli studiosi sono riusciti ad analizzare la lunga sequenza di sedimenti lacustri ritrovati nella Rift Valley e a identificare al loro interno delle anomalie che sono state associate a un intervento antropico”, spiega Negrino.
“La ricerca è stata condotta anche all'interno di altri stati confinanti, ma nella zona perilacustre del Malawi i risultati sono stati particolarmente interessanti. In quest'area, infatti, sono stati ritrovati migliaia di manufatti riconducibili alle attività degli homo sapiens africani che sono note nel continente a partire da 300.000 anni fa.
In questo periodo, inoltre, c'è stato l'inizio di una fase climatica più umida, che ha causato la formazione di una serie di colluvi e di conoidi alluvionali ancora evidenti.

L'incrocio tra il dato antropico (la grande presenza di manufatti litici), quello geomorfologico (la presenza di conoidi alluvionali), quello geocronologico (le datazioni dei sedimenti che risalgono a 100.000 anni fa) e quello paleoambientale (la ricostruzione delle caratteristiche climatiche di quella fase storica) suggerisce quindi che l'utilizzo del fuoco da parte degli esseri umani per gestire l'ambiente, aprirsi degli spazi, combattere contro eventuali parassiti e cuocere i cibi abbia causato una variazione a livello ambientale.

“Prima d'ora non erano mai state trovate delle evidenze di questo tipo relative a periodi storici così antichi”, continua il professor Negrino. “Avevamo a disposizione solamente delle indicazioni sulla trasformazione dell'ambiente tramite il controllo del fuoco da parte dell'uomo in contesti più recenti, risalenti a circa 50.000 anni fa, in Australia, nel Borneo e nella zona interna della Nuova Guinea.
I risultati di questo nuovo studio forniscono quindi dei dati fondamentali per comprendere meglio il cambiamento comportamentale dell'homo sapiens africano rispetto a quello di altri ominini relativamente alla gestione ambientale generale del contesto in cui vivevano.

Queste indagini condotte in Malawi hanno inoltre preso in considerazione anche dei dati provenienti da alcuni carotaggi fatti nei pressi della costa africana orientale che testimoniano un incremento della presenza di carbone elementare a partire da circa 400.000 anni fa. Questo significa che da quel momento in poi l'uso del fuoco in area africana si è intensificato a tal punto da produrre una trasformazione dell'ambiente.
Questo è interessante perché anche in Europa l'inizio di una gestione del fuoco consueta e ormai quasi quotidiana avviene circa 400.000 anni fa, come testimoniano molti dei siti archeologici presenti nel nostro continente.

Quando ci chiediamo come l'essere umano abbia imparato a manipolare, gestire e trasformare il nostro ambiente, generando quello che gli studiosi definiscono l'antropocene, allora vediamo che le tracce di queste antiche attività ritrovate in Malawi possono costituire un primo importante segnale a conferma del fatto che gli esseri umani avessero iniziato a trasformare l'ambiente già nel Paleolitico. Nei millenni successivi avrebbero continuato a farlo in maniera costante, fino a realizzare quello che gli autori dello studio definiscono “un paesaggio antropogenico preagricolo”, ovvero l'esito di un processo trasformativo che avrebbe portato poi all'attuazione, migliaia di anni dopo, di sistemi di controllo sempre più stringenti e poi all'agricoltura e all'allevamento”.

Insomma, la capacità di gestire il fuoco ha permesso a popolazioni così antiche non solo di sopravvivere, ma anche di evolversi e prosperare, anche se con alcune differenze tra l'homo sapiens e l'uomo di Neanderthal.

“La questione è curiosa perché effettivamente solo per quanto riguarda l'homo sapiens ci sono evidenze che confermano l'uso quotidiano del fuoco nelle attività agricole. Se prendiamo in considerazione altri ominini o contesti di sapiens più antichi, vediamo che il fuoco veniva utilizzato anche in epoche molto più remote, ma solo occasionalmente.
Ci sono alcuni siti africani che permettono di datare questa attività addirittura un milione e mezzo di anni fa. In Sudafrica, a Wonderwerk, sono state ritrovate ad esempio delle tracce di terreni e ossa combuste che hanno permesso di confermare l'uso del fuoco in periodi molto antichi. Anche in Europa sono state rinvenute evidenze simili: il sito di Cueva Negra nella Spagna sud-orientale ha restituito delle tracce di combustione di ossa.

Certamente, quindi, la cottura occasionale di carni, oltre al riscaldamento, era la finalità principale per cui il fuoco veniva utilizzato di tanto in tanto. Successivamente, a partire da 400.000 anni fa, le tracce di queste attività diventano sempre più frequenti nei siti archeologici, testimoniando un uso del fuoco anche per scopi diversi, come l'allontanamento degli animali, fino ad arrivare a una vera e propria gestione dell'ambiente.

Un fatto interessante è quello messo in evidenza da alcuni ricercatori che hanno studiato le tracce dell'uso del fuoco in alcuni contesti neanderthaliani nel sud-ovest francese. In particolare, uno studio ha analizzato dei bifacciali che riportavano alcuni segni compatibili con lo sfregamento contro del materiale metallico, come la pirite, usata per l'accensione del fuoco. È indubbio, quindi, che anche i neanderthaliani sapessero controllare questa risorsa.
Le evidenze archeologiche suggeriscono inoltre che in questi siti l'uso del fuoco fosse più frequente durante i periodi caldi che durante quelli freddi. Questo può sembrare paradossale, ma ci permette di ipotizzare che i neanderthaliani, a differenza dei sapiens africani, non avessero un bisogno essenziale del fuoco per riscaldarsi e che non sempre lo usassero per cuocere i cibi. È più probabile che si servissero di questa risorsa per cucinare le carni solo in periodi più caldi, quando le alte temperature rischiavano di rovinarle.

Non dimentichiamo poi che i neanderthaliani avevano effettivamente delle caratteristiche fisiologiche tali da permettere loro di vivere in condizioni ambientali più rigide rispetto ai sapiens. Per quanto anche tra questi ultimi ci sia una certa variabilità (pensiamo ad esempio agli inuit, che riescono a sopportare temperature particolarmente basse), i neanderthaliani si erano particolarmente adattati al clima freddo e quindi probabilmente usavano il fuoco più per lavorare il legno che per scaldarsi, come testimoniano anche dei siti importanti come quello di Schoeningen, in Germania, dove sono state ritrovate delle lance di 300.000 anni, e quello di Poggetti Vecchi nel grossetano, che conservava dei bastoni da scavo neanderthaliani modellati grazie all'uso del fuoco.

Insomma, il rapporto tra fuoco e ominino era piuttosto stretto già 400.000 anni fa, e la recente testimonianza del lago in Malawi addirittura collega determinate attività umane di gestione del fuoco a un cambiamento ambientale importante. Il controllo del fuoco diventa poi sempre più assiduo in epoche successive a partire dal paleolitico superiore, quando le tracce del suo utilizzo diventano una presenza costante nei siti archeologici”.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012