SOCIETÀ

Lodovico Todesco e gli studenti partigiani del Grappa

Il 22 settembre 1944 cadeva sul monte Grappa, combattendo contro i nazifascisti, lo studente Lodovico Todesco (detto “Vico”), comandante la brigata “Italia Libera” di Campo Croce. Era nato il 24 gennaio 1914 a Solagna, alle propaggini del Monte Grappa, dove il padre possedeva una casera sui Colli Alti. Laureando in medicina e chirurgia a Padova, condivideva gli ideali del Partito d’Azione col cugino Mario Todesco, professore di lingue e letterature slave.

Nel 1940, scoppiata la guerra, frequentò il corso allievi ufficiali di fanteria ed entrò in servizio come sottotenente nella Guardia alla Frontiera. Nel 1941 fu inviato nella zona di Fiume, dove partecipò a scontri coi partigiani croati e sloveni. Congedato nel 1942, svolse il tirocinio pratico all’ospedale di Crespano del Grappa. Richiamato in aprile 1943, prestò servizio all’ospedale da campo di Pontebba. Il 9 settembre, saputo che le truppe tedesche avevano occupato il comando di Tarvisio, per evitare che i suoi soldati fossero fatti prigionieri sciolse il reparto e rientrò a Solagna.

Ancora in divisa da ufficiale, la notte tra l’11 e il 12 settembre 1943 salì sul Grappa, a Col del Gallo, dove numerosi militari del dissolto Regio Esercito cominciavano ad asserragliarsi per sfuggire alla cattura e per combattere gli occupanti. Era accompagnato dal compaesano don Giovanni Nervo (1918-2013), futuro fondatore della Caritas Italiana, che domenica 12 celebrò messa nell’affollata chiesetta di S. Giovanni ai Colli Alti.

A fine settembre 1943 Vico Todesco partecipò, insieme a Mario Todesco, Flavio Busonera, Paride Brunetti e alcuni altri, alla prima riunione di carattere militare del Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N.) di Padova, tenuta dal prof. Adolfo Zamboni nella sua casa.

Lodovico Todesco cominciò a organizzare i primi nuclei di partigiani del Grappa, raccogliendo armi, munizioni, viveri e vestiario. In breve gli uomini rifugiatisi ai Colli Alti arrivarono a un centinaio e quelli a Campo Croce a una quarantina. Le munizioni, trafugate ai fascisti e nascoste dal capitano Angelo Zamboni nei magazzini della fabbrica padovana “Zedapa” con la complicità dell’amministratore Vittorio Scimone, professore di clinica medica, sul calar della sera venivano consegnate a Mario Todesco, che le distribuiva alle staffette che in bicicletta le portavano a Solagna.

Cominciò così a prendere forma la brigata “Giustizia e Libertà – Italia Libera”, legata al Partito d’Azione. Edoardo Pierotti, già maggiore dell’esercito, fu scelto come comandante e Lodovico Todesco come aiutante. Il posto di comando fu posto a malga Archeson, sopra Possagno. Per procurare il vestiario adeguato al clima invernale, in novembre i due cugini incontrarono a Padova Otello Pighin (“Renato”), assistente a ingegneria, che requisì a mano armata 450 pastrani militari.

Ingannati da due agenti provocatori, i cugini vennero arrestati con le gravissime accuse di aiuto ai prigionieri Alleati evasi e organizzazione di ribelli. Incarcerati ai “Paolotti” per 4 mesi, nonostante le percosse non parlarono e vennero liberati il 13 marzo 1944. A fine giugno Mario Todesco fu nuovamente arrestato, seviziato nella sede dalla “Muti” al “Bonservizi”, finito a colpi d’arma da fuoco e abbandonato in centro a Padova nella notte tra il 28 e 29.

L’inasprimento della caccia ai renitenti all’arruolamento nella Repubblica Sociale Italiana (R.S.I.) spinse un numero crescente di giovani a rifugiarsi in montagna. Si formò una seconda brigata “Giustizia e Libertà – Italia Libera”, quella di Campo Croce, sopra Borso del Grappa, che contava otto distaccamenti per complessivi 300 uomini circa, compresi una ventina di ex prigionieri di guerra Alleati, comandati dal tenente sudafricano Hillary Hoare. Lodovico Todesco ne assunse il comando il 9 agosto 1944 col nome di battaglia di “capitano Giorgi”.

Le posizioni tenute dalla Brigata dominavano l’imbocco della Valsugana, che per l’esercito tedesco in lento ripiegamento verso Nord era una via di comunicazione stradale e ferroviaria con la Germania di vitale importanza, obiettivo di continui attacchi dei partigiani. In giugno 1944 il feldmaresciallo Kesselring, comandante supremo del fronte Sud, dispose brutali misure per la “lotta alle bande”, garantendo l’impunità agli esecutori.

In settembre il comando del Gruppo d’armate C tedesco fu posto a Recoaro e furono avviati i lavori di fortificazione della nuova linea difensiva delle Prealpi (“Blaue Linie”), ostacolati dai partigiani, che i nazifascisti chiamavano “banditi”. Dal notiziario della Guardia nazionale repubblicana (G.N.R.) si apprende che il 30 agosto 1944 a Solagna un numeroso gruppo di questi “banditi” fermò un treno viaggiatori e, staccata la locomotiva, la fece deragliare sbullonando un tratto di rotaia. Sempre a Solagna alle 5 del mattino successivo alcuni fermarono un treno e, fatto scendere il personale, lo lanciarono verso la galleria del Cornon, dove avevano divelto un tratto di rotaia, provocandone il deragliamento. Il 3 settembre sempre “banditi” armati asportarono l’impianto telefonico della stazione di Solagna. Due giorni dopo minarono, danneggiandola gravemente, la galleria del Sambuco a Carpanè - Valstagna. La notte tra il 3 e il 4 settembre 1944 una quarantina di partigiani tentò di assaltare la polveriera di valle Santa Felicita, ma l’azione fallì per l’intervento di rinforzi tedeschi da Bassano.

Grandi operazioni di rastrellamento avvennero ad agosto in Val Posina e nella valle del Biois, inizio settembre sull’Altipiano di Asiago, metà settembre nelle valli del Chiampo, d’Alpone, d’Agno e d’Illasi. Poi toccò al Grappa, dove si scatenò il più efferato dei massacri.

A fine agosto gli Alleati paracadutarono una missione militare, comandata dal capitano Paul Newton Brietsche, col compito di coordinare le attività delle formazioni partigiane del Grappa. Contando sull’imminente cedimento del fronte tra Massa e Pesaro (“Linea Gotica”) investito dall’offensiva angloamericana iniziata il 25 agosto, Brietsche elaborò insieme al C.L.N. Regionale Veneto, guidato da Egidio Meneghetti, farmacologo ed ex pro-rettore dell’università di Padova, un piano che assegnava alle formazioni di montagna il compito di ostacolare le vie di ritirata ai tedeschi, preannunciando l’arrivo delle indispensabili armi pesanti.

Il 3 settembre 1944 Meneghetti chiese al C.L.N. Alta Italia di essere sostituito, perché, come vecchio ufficiale degli alpini, desiderava rendersi utile militarmente tra le formazioni “Italia Libera”, dove si trovavano molti suoi studenti, ma non ottenne l’avvicendamento e dovette entrare in clandestinità.

L’avanzata angloamericana, dopo qualche progresso iniziale, s’“impantanò” letteralmente e i rifornimenti per via aerea di mitragliatrici e mortai dovettero essere subito sospesi a causa dell’inizio della vasta offensiva antipartigiana che investì il Grappa il 18 settembre 1944.

Le forze dei patrioti sul Grappa ammontavano in quel momento a un migliaio di uomini, inquadrati in quattro brigate: “Italia Libera” Campo Croce, “Italia Libera” Archeson, “Matteotti” e parte della “Gramsci”. La composizione era molto eterogenea, perché agli ex militari, sostenuti da forti ideali patriottici e politici, e ai pochi ex prigionieri di guerra “inglesi” si erano da poco aggiunti molti giovani renitenti alla leva fascista, privi di addestramento militare. Le poche armi erano di tipo leggero, in numero insufficiente e con munizioni limitate. Scarseggiavano perfino le scarpe. Il terreno di operazioni, con poca vegetazione e acqua, era sfavorevole alla guerriglia.

Il comando unico delle formazioni del Grappa fu creato solo a metà settembre e fu affidato a Paride Brunetti (“Bruno”), comandante della brigata garibaldina “Gramsci”, che operava sulle vette Feltrine e teneva due distaccamenti sul Grappa.

Per il rastrellamento a largo raggio del massiccio del Grappa, denominato “Azione Piave”, i nazifascisti impiegarono oltre 7.000 uomini ben equipaggiati e addestrati alla repressione più spietata della guerriglia. I principali reparti tedeschi erano: Luftwaffen-Sicherungsregiment 36 Italien; Alarmeinheiten Marine-Kommando; Ost-Bataillon 263 (della famigerata “armata cosacca”, distintosi nella lotta antipartigiana in Europa Orientale); Flak; SS-Polizeiregiment “Bozen”; Sicherheitspolizei SS-SD.

I reparti della R.S.I. erano: XXII Brigata Nera “Faggion” di Vicenza; XX Brigata Nera “Cavallin” di Treviso; Brigata Nera Marina; 2° reggimento “Cacciatori degli Appennini” (G.N.R.), 3° e 5° Gruppo Artiglieria Contraerea; Flak Italien, 63° Battaglione “M” della Legione d’assalto “M” “Tagliamento”, reparto d’élite dipendente dalle SS tedesche, i cui legionari avevano giurato obbedienza assoluta a Hitler.

Tra il 18 e il 19 settembre 1944 tutto il massiccio fu circondato alla base da un anello di sbarramento lungo 92 chilometri con posti di blocco ravvicinati e fortemente presidiati. Il mattino del 20 i potenti cannoni da 88 mm batterono le posizioni dove erano asserragliati i partigiani. I reparti appiedati, accompagnati da autoblindo, attaccarono concentricamente facendosi scudo di civili presi in ostaggio, molti dei quali furono poi trucidati.

I combattimenti furono molto frammentati. L’“Italia Libera” difese a oltranza le posizioni battendosi eroicamente. Alle 13.30 del 21 settembre il Comando Unico ordinò la dispersione di tutti gli uomini, affinché potessero tentare di salvarsi filtrando attraverso i fitti posti di blocco dei rastrellatori. Una quarantina di partigiani morirono combattendo.

Giorgio Albertazzi, il futuro attore, aveva allora 21 anni ed era sottotenente della Legione “Tagliamento”, affascinato dalla croce uncinata. Nella sua autobiografia del 1988 affermò di aver “sempre visto scappare” i partigiani, ma non fece alcun cenno all’azione del Grappa, dove li vide affrontare l’impari lotta con disperato valore.

L’azione contro la brigata “Italia Libera” di Campo Croce è descritta nella relazione del comandante della 3acompagnia del 63° battaglione “M”, formata da 3 ufficiali, tra i quali Albertazzi, e 89 legionari. La mattina del 21 settembre la compagnia, salita da Solagna a Campo Solagna incendiando case e ville, catturò tre partigiani, tra i quali Alessandro Godina, diciannovenne studente del primo anno di medicina a Padova, “un fanciullo-eroe veramente magnifico”. Catturò anche tre “inglesi”, il cui comandante, il tenente Hoare, era caduto combattendo.

La mattina del 22 a Monte Oro il reparto ebbe uno scontro a fuoco in cui uccise cinque “banditi”, tra i quali il comandante Lodovico Todesco, catturandone altri cinque. Luigi Meneghello, studente di lettere e filosofia a Padova, scrisse che “la cosa più brutta in questi rastrellamenti era trovarsi ancora vivi in mano a loro”.

Sandro Godina e altri sette prigionieri furono trucidati il 24 settembre al Cason di Meda, lungo la strada Cadorna. I sudafricani Faurie e Baillie e l’indiano Munsif Dar furono fucilati a Campo Solagna il 25.

L’“Azione Piave” si trasformò presto da operazione militare in feroce e indiscriminato massacro di civili inermi, incendi di abitazioni e razzie di bestiame, che durarono una settimana. Ne fu testimone don Antonio Pegoraro, inviato dal Vescovo di Padova su richiesta di Lodovico Todesco per l’assistenza religiosa ai partigiani. Egli giunse sul Grappa appena in tempo per dare l’assoluzione in massa ai giovani rimasti accerchiati. Catturato, riuscì a sfuggire fortunosamente alla fucilazione.

Tra i militi “repubblichini” più esaltati e violenti molti erano gli adolescenti, che si distinsero per brutalità nell’impiccagione dei 31 martiri appesi agli alberi nel centro di Bassano. La loro vista colpì talmente Tina Anselmi, studentessa ginnasiale, da farla divenire staffetta partigiana.

Kesselring comunicò al Comando Supremo che i morti nemici erano stati 385, tra i quali 34 inglesi. Il numero effettivo fu molto più alto, perché tanti prigionieri morirono nei KZ lager dove erano stati deportati. Inoltre molte vittime vennero fatte sparire secondo la pratica nazista della “Nacht und Nebel” decretata da Hitler nel 1941. Così, con grande strazio delle famiglie, molti dei trucidati furono sfigurati e privati di ogni segno di riconoscimento.

Particolarmente tragica fu la fine della madre di Vico Todesco, Maria Paolina, e della sorella Ester, prelevate dalle SS mentre pregavano nella cappella delle suore dell’asilo. Solo mezzo secolo dopo un ex graduato della “Todt” addetto alla costruzione di fortificazioni presso Cismon rivelò che gli era stato ordinato di occultare in una gettata di calcestruzzo i cadaveri delle due donne.

La scia di violenze si protrasse a lungo. Jacopo Mantovani Orsetti (“Nino”), studente di Medicina a Padova e portaordini di Todesco fu assassinato a tradimento a Crespano l’8 ottobre 1944.

I superstiti formarono il battaglione “Cugini Todesco” e la brigata “Martiri del Grappa”, comandata dallo studente di storia dell’arte Primo Visentin (“Masaccio”), caduto combattendo il 29 aprile 1945, medaglia d’oro al valor militare. Nel 1947 gli fu dedicato il marmo del “Palinuro” di Arturo Martini nell’”Atrio degli Eroi”, ai piedi dello scalone che porta al Rettorato.

Le vittime e i loro familiari non ebbero giustizia, perché i crimini perpetrati sul Grappa restarono impuniti.  Alla memoria di Lodovico Todesco fu conferita la medaglia d’argento al v.m. e intitolata una via di Bassano.

I nomi dei Caduti sul Grappa sono tra quelli dei 117 professori, studenti e dipendenti incisi nella lapide posta nell’”Atrio degli Eroi”. Per merito loro l’università di Padova è l’unica a fregiarsi della medaglia d’oro al valor militare.

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