CULTURA

Prometeo a Fukushima – Storia dell’energia dall’antichità a oggi / 2

Abbiamo bisogno di energia: le nostre società, il loro sviluppo e la loro economia, hanno bisogno di energia. Ma la nostra dipendenza dall’energia adesso è un problema, e lo sappiamo. Per discuterne avendone chiari i suoi termini, conoscere la storia di questo problema è importante. Qui proviamo a tracciarne in maniera molto veloce i passaggi chiave, riprendendoli di sana pianta dal libro Prometeo a Fukushima – Storia dell’energia dall’antichità a oggi della storica dell’ambiente dell’università di Roma Tre Grazia Pagnotta: libro di cui, agli interessati, si consiglia la lettura per intero.


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la nostra dipendenza dall’energia, adesso, è un problema

Nell’articolo precedente, dedicato a questa stessa storia ricavata da questa stessa e unica fonte, siamo arrivati alla fine dell’Ottocento, il secolo dell’energia: abbiamo sottolineato la rapida e tumultuosa crescita dei consumi energetici, l’ingresso nelle nostre vite del carbone, poi del gas, dell’elettricità (fonte energetica, però, secondaria) e del petrolio, e di come questo sia stato propulsore fenomenale per la nostra produzione di beni, e per la possibilità di spostarli. Nel Novecento le cose cambiano tutto sommato in maniera meno incisiva, e meno velocemente. Va sottolineato che due guerre mondiali decidono dei nostri rapporti con l’energia molto più di tutto il tempo che abbiamo trascorso in pace. E che cambiano poco anche gli equilibri del mondo, con gli Stati Uniti che diventano presto egemoni e gli altri a rincorrere.  Va però rimarcato anche il ruolo cruciale della scienza e della ricerca in questo nuovo secolo: superata la fase ottocentesca di ricerca e impiego delle risorse energetiche fossili, dove si può e come si può, arriva la geofisica e arrivano pattuglie di tecnici esperti e di ingegneri che cambiano non solo la quantità della raccolta, ma anche i metodi e la qualità. E poi la scienza darà il suo contributo decisivo con lo sviluppo del nucleare.

Ricominciamo dal carbone. Fino agli anni sessanta del Novecento il carbone continua a essere a livello mondiale la fonte energetica principale. Inghilterra, Usa e Germania sono i paesi che ne estraggono di più e che ne beneficiano di più.

Ma c’è una novità: con la prima guerra mondiale, per la prima volta, si è notato il nesso tra sicurezza energetica e sicurezza nazionale

Perché a un certo punto il carbone ha cominciato a scarseggiare e ci si è resi conto che serve una pianificazione, e al limite anche una collaborazione tra gli stati, per spartirsi le risorse del pianeta. A livello politico non ne seguirà niente. Mentre a livello energetico è probabilmente questo l’inizio del declino del carbone a favore di altre fonti (petrolio, gas, elettricità). Quindi se il carbone si è continuato a usare per produrre elettricità, e comunque non lo si è ancora del tutto abbandonato anche perché il consumo globale di energia, finora, non è mai diminuito, per i trasporti dalla prima guerra mondiale in poi si opta per altre fonti energetiche. 

Anche la seconda guerra mondiale ha questo effetto sulla nostra consapevolezza dei limiti delle risorse. Dopo la guerra si ha, cioè, un’altra crisi energetica con epicentro nell’Europa centrale, e torna in evidenza la globalità della questione energetica. Questa volta però si riesce a costruire una cooperazione tra gli stati, e una cooperazione che include anche il paese uscito sconfitto dalla guerra, cioè la Germania. Gli Stati Uniti non si tirano indietro ma partecipano, e si fanno sotto anche col rilancio dell’Europa grazie al Piano Marshall. Il collante definitivo tra gli stati occidentali, anche sui temi dell’energia, sarà poi la Guerra Fredda.

Peraltro, ai fini di questa trattazione, è significativo rilevare che l’Europa si è unita prima che sul governo dell’economia su quello dell’energia: nascono in questi anni l’Oec (Organizzazione europea del carbone) e poi 1951 la Ceca (Comunità europea del carbone e dell’acciaio), primi embrioni della Comunità Europea. Ed è fondamentale ricordare che intanto nasceva una geopolitica dell’energia in cui si puntava ad alleanze tra stati e spartizioni delle zone di influenza, soprattutto in Medio Oriente, sulla base della possibile presenza di petrolio e altre fonti energetiche.

Ecco, il petrolio.

Il petrolio comincia a crescere dagli anni venti del Novecento: nascono in questi anni le grandi società petrolifere, molte delle quali esistono ancora. Ma è dal secondo dopoguerra che il petrolio diventa il motore della svolta. Le economie occidentali cominciano a basarsi soprattutto su di lui: è l’epoca dell’abbondanza, il petrolio costa poco, e tutti vogliono un’automobile. Non solo, nasce l’industria petrochimica, così dagli anni sessanta con il petrolio si comincia a produrre di tutto: gomme, plastica, tessili, fertilizzanti… oggetti che entrano nelle nostre case, diventano parte delle nostre vite. E noi diventiamo materialmente dipendenti dal petrolio. Finché a un certo punto il petrolio non comincia a mostrare i suoi difetti. L’inquinamento, soprattutto. 

È il famoso Grande Smog di Londra, che si manifesta con l’evento drammatico del 1952 in cui fu coniata la parola smog, crasi di smoke fog, e che portò alla prima grande legge sull’inquinamento ambientale: il Clean Air Act. Ed è il momento della chiusura delle miniere da parte del governo Thatcher, che più che interessato ai polmoni dei propri cittadini aveva in testa di cambiare indirizzi del paese e di investire nel nucleare, e nel petrolio e nel gas dei grandi giacimenti del Mare del Nord.

Già, il Mare del Nord. Bisogna aprire una parentesi.

Storia parallela a quella del petrolio è quella del gas naturale, e finalmente qui si potrebbe parlare anche di noi. Perché in Italia ci si era accorti già a fine Ottocento di avere buone riserve di gas sotto i nostri piedi e siamo stati i primi europei a usarlo. Col fascismo era cominciata l’attività estrattiva in Pianura Padana e sull’Appennino tosco-emiliano di petrolio e gas (che però all’epoca non veniva sfruttato). Del dopoguerra ci sarebbe da raccontare la complessa storia dell’Agip e poi dell’istituzione dell’Eni (Ente nazionale idrocarburi) nel 1953, diretto da Enrico Mattei. La cosa importante da considerare è però che per noi le importazioni di energia sono sempre e comunque esistite: non siamo mai stati del tutto autosufficienti, in questa storia. 

Mentre parlando di grandi numeri, per la prima metà del secolo il gas è solo affare nordamericano. Negli anni sessanta, finisce l’epoca dell’abbondanza per gli americani, e intanto gli europei scoprono a casa propria nuovi giacimenti, soprattutto appunto nel Mare del Nord. È al largo di Groninga, in particolare, che salta fuori uno dei giacimenti più cospicui del mondo. A questo punto si decide di firmare una convenzione tra i paesi che si affacciano sul mare, per dividersi i diritti di sfruttamento. Poco più tardi, negli anni settanta, al mercato europeo si aggiunge il gas russo e quindi anche i rapporti tra stati europei e Unione Sovietica cambiano di nuovo. Insomma, il baricentro dell’estrazione e del consumo di gas cambia nel giro di pochi anni.

Ma mentre per la spartizione dei giacimenti del Mare del Nord gli europei riescono a mettersi d’accordo, il tema della spartizione di risorse e profitti delle attività estrattive in altre parti del mondo diventa delicato. Soprattutto laddove ci siano aziende petrolifere americane che si spostano a lavorare in altri paesi. Per esempio: di chi è il petrolio succhiato sotto il suolo del Venezuela? Di chi lo estrae, o del Venezuela? E poi: come comportarsi coi paesi mediorientali, che hanno sotto i piedi i più grandi giacimenti del mondo, tra governi filoisraeliani e multinazionali filoarabe? Nel 1960 i paesi esportatori di petrolio si organizzano nell’Opec, che mantiene i prezzi stabili e contiene i meccanismi deteriori della concorrenza in un libero mercato. Ma lo scacchiere politico si complica terribilmente. Finché nel 1973 non arriva lo shock petrolifero: per la prima volta l’umanità si rende conto che le risorse energetiche sulla Terra non sono infinite. Anzi: possono finire.

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