CULTURA

Riemerge dagli archivi la voce di Egidio Meneghetti

Eco 'na storia de parole fonde / che restarà par sempre sora un monte. Il tono è declamatorio, la voce stentorea come si usava al tempo, e allo stesso tempo quasi attutita dai 70 anni che la separano dall’epoca in cui viviamo. Anni in cui la voce di Egidio Meneghetti, rettore dell’Università di Padova dal 1945 al 1947 e tra i fondatori del CLN del Veneto, è rimasta negli archivi prima di essere riportata intatta fino a noi. E la storia che racconta è quella di una partigiana, caduta in una retata sui monti del Veronese assieme ad alcuni compagni. Si chiamava Rita Rosani, ebrea e triestina, aveva 22 anni e faceva la maestra.

La storia che oggi permette alla voce di Egidio Meneghetti di essere ascoltata è fatta di intuito e di perseveranza e ha due protagonisti principali. Da un lato Lorenzo Cima, farmacologo dell’Università di Padova scomparso nel 2019 e uno degli ultimi allievi di Meneghetti, dall’altro Sergio Canazza, docente di ingegneria elettronica specializzato in creazione, riproduzione e conservazione del suono e attuale direttore del Centro di Sonologia Computazionale, al quale Cima si rivolge nel 2000 per risolvere un enigma: cosa contengono quei misteriosi dischi trovati nello studio di Meneghetti?

Riprese e montaggio di Barbara Paknazar in collaborazione con Antonio Massariolo e Daniele Mont D'Arpizio

Da allora per tanti anni Canazza, che all’epoca ha appena terminato il dottorato, non smetterà di pensare a come riportare in funzione l’apparecchio rinvenuto assieme a quei quattro supporti dalla forma tanto simile a un vecchio vinile ma in realtà espressione di una tecnologia precedente. Ogni convegno fuori Padova è l’occasione per informarsi con i colleghi di tutto il mondo su come reperire i materiali necessari al restauro. “Ho subito capito che non si trattava di vecchio 78 giri ma di un filo di acciaio avvolto a spirale immerso in una struttura di plastica: un supporto magnetico per registrare la propria voce – spiega a Il Bo Live Sergio Canazza –. In America appare negli anni ’30 mentre in Italia arriva 10 anni più tardi e viene spesso usato come dittafono, allo scopo di dare la possibilità alle segreterie di ascoltare le registrazioni a velocità ridotta per trascrivere più agevolmente su carta”.

La macchina è un Dimafon che in Italia inizia ad essere venduto al termine della seconda guerra mondiale e reperire sul mercato, oltre 60 anni dopo, le parti non funzionanti è tutt’altro che semplice. "Ho dovuto cambiare tutte le valvole, sostituire il reparto di alimentazione e i condensatori – prosegue il direttore del CSC –. Una vera e propria odissea perché mi sono servito solo di elementi cosiddetti NOS, ovvero originali ma mai utilizzati, e non di repliche moderne”. Finché, dopo 15 anni di ricerche, il colpo di fortuna arriva in un posto più vicino del previsto: a Bologna, in un piccolo negozio. “Una volta sostituiti i componenti guasti mi sono reso conto che la macchina funzionava. Così ho potuto finalmente ascoltare cosa c’era in quei dischi”. Ed è lì che si scioglie l’arcano e arriva la sorpresa più grande: non si tratta di discorsi e nemmeno di lezioni di farmacologia ma di tre poesie in dialetto veronese, composte e declamate dallo stesso Egidio Meneghetti.


Leggi e ascolta La Rita more, di Egidio Meneghetti


Tre sono i dischi analizzati (nel quarto non è presente alcuna registrazione) e ciascuno contiene una lirica con una durata che va all’incirca dal minuto a due minuti e mezzo. La foia bala (Foia imbriaga) è una riflessione sulla vita e sulla poesia ed esprime la visione intima e struggente del poeta ormai anziano, mentre La fresa raspa è la celebrazione dei “musi neri”, gli operai metalmeccanici veneti che nel petto nutrono la “speranza rossa” di un socialismo alieno da schematismi dottrinali e intriso di umanesimo. La Rita more è infine “una storia vera di partigiane” che un figlio chiede al papà di raccontargli e come detto è dedicata alla figura di Rita Rosani, partigiana eroica fino al sacrificio e medaglia d’oro al valor militare della Resistenza.

I tre testi appaiono nel volume Prose e poesie, pubblicato postumo da Neri Pozza nel 1963 con la prefazione di Enrico Opocher e Diego Valeri, e riflettono la personalità forte e complessa di Meneghetti, una delle maggiori figure della Resistenza in Veneto, scienziato di fama internazionale, politico e combattente per la libertà ma anche letterato e fine poeta, senza però mai dimenticare l’impegno civile. “Grazie a Lorenzo Cima abbiamo confrontato il contenuto delle registrazioni con il libro a stampa e ci siamo così accorti che il testo è leggermente diverso – prosegue Canazza –: le trasformazioni riscontrate meriterebbero quindi anche uno studio filologico”.

Quanto al periodo della registrazione il docente spiega che “la macchina è stata commercializzata in Italia verso la fine degli anni ’40, mentre all’inizio degli anni ’50 cominciarono a essere commercializzati i primi Geloso, nastri a bobina aperta per uso casalingo”. È dunque plausibile che Meneghetti abbia registrato le sue poesie a cavallo di queste due fasi: deduzione confermata da un accenno contenuto ne La Rita more, dove si fa riferimento a 10 anni passati dalla morte della partigiana, avvenuta nel 1944.

Medico, volontario nella Prima guerra mondiale pluridecorato, nonostante le persecuzioni subite a causa del suo noto antifascismo Egidio Meneghetti diventa professore di farmacologia e nel 1932 viene chiamato a Padova. Nella primavera del 1943 aderisce al Partito d’Azione che si sta organizzando in clandestinità e in seguito alla caduta del fascismo diventa pro-rettore dell'Ateneo al fianco di Concetto Marchesi, con il quale dopo l'8 settembre (assieme democristiano Mario Saggin e all'azionista Silvio Trentin) costituisce il primo CLN regionale veneto. Poco dopo, il 16 dicembre 1943, perde la moglie Maria e l’unica figlia Lina nel primo bombardamento aereo di Padova da parte degli Alleati; questo però non lo fa desistere dall’impegno nella lotta per la libertà: Meneghetti trasforma anzi l'Istituto di Farmacologia padovano nel più importante centro di riferimento della Resistenza veneta.

Montaggio di Antonio Massariolo in collaborazione con Daniele Mont D'Arpizio e Barbara Paknazar

Le registrazioni che oggi pubblichiamo per la prima volta dopo quasi settant’anni gettano luce su una delle figure più importanti della Resistenza, restituendocene attraverso la sua voce appassionata un aspetto intimo e personale. “Operazioni come queste, dirette di restauro e conservazione attiva dei documenti sonori, sono molto importanti perché permettono letteralmente di salvare un pezzo di storia – conclude Sergio Canazza –. Al CSC, oltre a produrre nuova musica e a collaborare con gli artisti, abbiamo anche la missione di conservare i beni culturali musicali del passato utilizzando strumenti innovativi basati sull’intelligenza artificiale: per questo lavoriamo con i maggiori archivi italiani ed europei”.

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