SOCIETÀ

Le istituzioni scientifiche italiane contro il genocidio a Gaza

Di fronte al proseguire dello sterminio di civili nella Striscia di Gaza, negli ultimi mesi si sono intensificate in tutto il mondo le mobilitazioni e le prese di posizione da parte della società civile (l’atto più importante: la partenza della Global Sumud Flotilla), delle organizzazioni umanitarie, di alcuni Stati, del mondo culturale e della comunità scientifica internazionale.

Quest’ultima, nello specifico, si è da subito spesa per la promozione della pace e la protezione dei civili, e sono molte le iniziative di collaborazione internazionale lanciate in questi circa 24 mesi – una delle più recenti è la campagna “STOP THE SILENCE!” promossa, tra gli altri, dal docente dell’università di Padova Roberto de Vogli, a cui hanno aderito molte società scientifiche che si occupano di sanità pubblica.


Puoi leggere anche: Rompere il silenzio su Gaza: le principali società scientifiche riconoscono il genocidio


A fronte di questo fermento internazionale del mondo accademico, dopo più di un anno di generale reticenza (pur con notevoli eccezioni), anche la comunità accademica e scientifica italiana sta iniziando ad esprimere la propria condanna su quanto accade in Palestina e la solidarietà nei confronti del popolo che è bersaglio dell’invasione israeliana.

Nell’ultimo anno, infatti, alcune università, centri di ricerca e società scientifiche italiane hanno iniziato a prendere provvedimenti ufficiali per distanziarsi dal governo di Israele e dagli enti che, direttamente o indirettamente, ne hanno sostenuto le iniziative criminali (in quanto in piena violazione del diritto internazionale). Ne abbiamo tentato una mappatura che, pur restituendo una certa fibrillazione nel mondo accademico, ha mostrato come, ad oggi, ad aver non solo dichiarato apertamente la propria condanna verso il genocidio in corso a Gaza ma anche ad aver preso provvedimenti attuabili in tal senso sia, a nostra conoscenza, un numero sorprendentemente esiguo di università, enti di ricerca pubblici, società scientifiche e accademiche. Altri Atenei, e in qualche caso anche singoli dipartimenti, hanno optato per lettere o appelli di condanna nei confronti della guerra, e in particolare degli attacchi ai civili, con l'auspicio che la diplomazia internazionale riesca a proporre una soluzione efficace, che però non si traducono in azioni concrete nei confronti del governo di Israele o delle università o aziende direttamente o indirettamente coinvolte. 

Nello specifico:

  • Delle 61 università statali presenti in Italia, sette hanno dichiarato provvedimenti come la sospensione degli accordi con enti di ricerca, aziende o università israeliane e la rinuncia ad aderire all’Accordo di Cooperazione Industriale, Scientifica e Tecnologica tra Italia e Israele promosso dal Ministero degli Affari Esteri (MAECI);
  • Dei 13 Enti pubblici di ricerca italiani, in tre (CNR, INGV, INAF) una parte dei lavoratori si è mobilitata chiedendo a presidenti e consigli di amministrazione di prendere provvedimenti simili a quelli adottati da alcune università, finora senza riscontro da parte delle amministrazioni;
  • Sette società scientifiche italiane hanno prodotto dichiarazioni o documenti di condanna alle violazioni del diritto internazionale da parte di Israele e, in alcuni casi, di sollecito alla sospensione delle collaborazioni con gli enti di ricerca conniventi.

Stiamo lavorando per mappare iniziative simili a quelle descritte in questo articolo. Purtroppo in molti casi le dichiarazioni, lettere e appelli non sono molto visibili e non è facile recuperarli online. Se sei a conoscenza di iniziative che non abbiamo riportato, o se la tua Università o ente di ricerca ha messo in atto misure concrete ma non è inserita nella nostra tabella, faccelo sapere contattando ilbolive@unipd.it.

La lettera aperta dei ricercatori dell’INGV

Una delle più recenti iniziative è quella promossa da alcuni dipendenti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), uno dei tredici enti pubblici di ricerca. A fine luglio, all’interno dell’INGV è nata una discussione sul posizionamento e sul ruolo che un centro di ricerca pubblico dovrebbe avere nei confronti delle guerre, in particolare di ciò che sta accadendo nella striscia di Gaza.

La discussione è culminata nella stesura di un documento, che ha preso la forma di una lettera aperta indirizzata al Presidente, al Consiglio di Amministrazione e al Consiglio Scientifico dell’ente, lettera che è stata resa pubblica alla fine di luglio 2025 e ha raccolto le firme di 398 dei circa 1200 dipendenti e precari della ricerca che lavorano per l’Istituto.

Stefano Corradini, fisico, ricercatore presso l’INGV, spiega a Il Bo Live le richieste contenute nella lettera consegnata quest’estate: “Questa non è la prima volta, dall’inizio dell’invasione della Striscia di Gaza, che scriviamo una lettera aperta alla nostra amministrazione”. La prima lettera, infatti, risale all’aprile 2024, e, a differenza della più recente, era stata promossa soltanto dai lavoratori aderenti alla Federazione dei Lavoratori della Conoscenza (FLC) della CGIL.

“In questa seconda lettera ribadiamo, in primo luogo, la richiesta all’amministrazione di condannare i crimini commessi dal governo e dall’esercito israeliani nella Striscia di Gaza, crimini che sono stati oggetto di diverse risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e dell'Assemblea Generale dell'ONU. In più, abbiamo avanzato richieste più specifiche: sospendere gli accordi in essere con le università israeliane e non partecipare al bando MAECI per la collaborazione tra Italia e Israele; inoltre, abbiamo chiesto che si istituiscano dei fondi da devolvere a studenti palestinesi, per promuovere programmi di mobilità per studio, ricerca e percorsi di specializzazione. Infine, abbiamo affermato la necessità di costituire un comitato etico”.

Mentre le altre richieste sono in linea con posizioni e provvedimenti avanzati nell’ultimo anno da parte di alcune università, quest’ultimo punto – l’istituzione di un comitato etico per la valutazione della ricerca e delle collaborazioni esterne dell’Istituto – è, ci pare, particolarmente rilevante.

Infatti, come precisa Corradini in risposta a una nostra domanda, i ricercatori dell’INGV, così come i dipendenti degli altri Enti pubblici di ricerca, non hanno informazioni precise su quali e quante siano le collaborazioni con università e industrie che si occupano di tecnologie non solo civili, ma duali, né su quali siano i progetti che hanno queste caratteristiche. “L’idea alla base del comitato etico – spiega Corradini – è quella di realizzare prima di tutto un censimento di tutte queste realtà, perché riteniamo che, alla luce dei fatti, sia necessario averne contezza”.

Nessuna risposta dall’amministrazione

L’anno scorso, il Consiglio di amministrazione aveva risposto pubblicamente alla lettera inviata dai dipendenti con un comunicato stampa. “Nel documento”, riassume il ricercatore, “l’amministrazione dell’INGV, sebbene appoggiasse la richiesta di immediato cessate il fuoco e la necessità di riprendere i negoziati per una soluzione pacifica basata sul diritto internazionale e sulle risoluzioni delle Nazioni Unite, dichiarava che la valutazione delle opinioni e delle scelte su tali temi dovesse fare parte esclusivamente della sfera individuale. In più, il Consiglio di Amministrazione dichiarava di non aderire al boicottaggio giudicando prioritario mantenere i rapporti con il mondo accademico e della ricerca anche israeliano”.

Da un anno a questa parte, la linea ufficiale dell’Istituto non pare cambiata. In risposta all’ultima lettera, infatti, l’amministrazione non ha ancora inviato un messaggio ufficiale, ma una e-mail interna, nella quale si ribadisce come sia ancora valido quanto affermato nel comunicato stampa della primavera 2024, in particolare per quanto attiene alla responsabilità di prendere posizione, che non sarebbe in capo all’INGV ma ai singoli dipendenti in quanto cittadini.


Leggi anche:


Serve più trasparenza sulle collaborazioni degli enti di ricerca pubblici

Sul tema più scottante sollevato dai ricercatori – quello delle eventuali collaborazioni con istituzioni direttamente o indirettamente coinvolte nelle azioni del governo israeliano, e della trasparenza sulle attività dell’Istituto – l’amministrazione non è entrata nel merito.

L’INGV si occupa di geofisica, vulcanologia e ambiente, ma alcune ricerche possono avvalersi di tecnologie duali [cioè di uso sia civile, sia militare, n.d.r.]: è necessario aprire una discussione sull’opportunità del loro utilizzo. 

“Inoltre – prosegue il ricercatore dell’INGV –– la necessità di trovare fondi per la ricerca può portare a considerare la partecipazione a bandi di organizzazioni militari: questo genere di finanziamenti, che formalmente garantisce una ricerca di tipo civile, può avere ricadute dirette in ambiti diversi. Insomma, la questione è veramente complessa; il primo passo da compiere, però, è conoscere lo stato dell’arte. I dati sono pubblici: si tratta di fare un lavoro di trasparenza. Quello che chiediamo è la massima trasparenza in tutta la “filiera” della ricerca, dalle collaborazioni in progetti di ricerca fino alle aziende presso cui si acquistano gli strumenti. Esistono aziende più o meno coinvolte in politiche belliche: in molti casi abbiamo la possibilità di scegliere, e quindi, forse, è giusto che una amministrazione pubblica si doti degli strumenti per decidere se un acquisto sia meglio di un altro”.

Influenze politiche sulla ricerca?

La situazione di poca trasparenza e poca collaborazione da parte dell’amministrazione non è limitata all’INGV, ma condivisa anche da altri enti pubblici di ricerca in cui i dipendenti hanno avviato una discussione interna. Nel Centro Nazionale delle Ricerche (CNR), ad esempio, i ricercatori hanno prodotto – e inviato alla presidenza e al Consiglio di amministrazione – ben quattro documenti, nessuno dei quali ha ìricevuto risposta formale.

Gli organi dirigenziali di questi istituti pubblici sono di nomina politica(pdf): una prassi i cui limiti sono emersi in modo evidente proprio al CNR pochi mesi fa, con lo scandaloso ritardo di oltre tre mesi per la nomina della nuova presidenza (la presidenza precedente era giunta a scadenza naturale ed era stata anche prorogata) e del Consiglio di amministrazione, situazione che aveva bloccato l’approvazione del bilancio e l’allocazione di tutti i fondi disponibili.

Viene da chiedersi se questa influenza politica sui vertici degli enti pubblici di ricerca (la presidenza e il Consiglio di amministrazione vengono nominati direttamente dal Ministero dell’Università e della Ricerca) possa avere qualcosa a che fare con la reticenza nel prendere posizioni nette circa la disastrosa situazione a Gaza, in coerenza con la prudente linea governativa.

Coordinamento tra gli enti pubblici di ricerca 

Ma il silenzio dei vertici degli Istituti non ha fermato i ricercatori: il 4 settembre, alcuni dipendenti di INGV, CNR e INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica) si sono riuniti per una prima riunione preliminare. L’obiettivo, spiega ancora Corradini, è conoscere rispettivamente le iniziative già avviate, nonché coinvolgere gli altri enti pubblici di ricerca in questa mobilitazione. “Vogliamo creare un gruppo di coordinamento tra Enti pubblici di ricerca. Il primo obiettivo è avere una panoramica delle iniziative già esistenti, e poi cercare di fare massa critica, in modo tale da rendere la nostra azione più incisiva anche nei confronti delle richieste che abbiamo avanzato singolarmente ai nostri istituti”.

© 2025 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012