SOCIETÀ

Un trattato vincolante per fermare l’inquinamento da plastica

Negli anni ’50 del Novecento, una serie di nuovi materiali di sintesi scoperti nei decenni precedenti inizia a diffondersi sul mercato. In pochi anni le plastiche, nelle loro molteplici forme, diventano elemento fondamentale della produzione industriale su larga scala, e si insinuano nelle case della gente comune assumendo le funzioni più diverse.

Dal 1950, sono stati generati 9,2 miliardi di tonnellate di rifiuti plastici; di questi, meno del 10% è stato riciclato, circa il 14% è stato bruciato, e tutto il resto (il 76%) è stato accatastato in discariche o rilasciato nell’ambiente. Tali numeri sono in costante crescita, e si prevede che triplicheranno entro il 2050.

Questi numeri sono forniti dalla High Ambition Coalition To End Plastic Pollution (HAC), un gruppo di paesi guidato da Rwanda e Norvegia, che si è impegnato per promuovere la definitiva eliminazione dell’inquinamento da plastiche entro il 2040. La coalizione è nata a marzo 2022, in risposta alla risoluzione (5/14) adottata durante la quinta Assemblea per l’Ambiente delle Nazioni Unite che formalizza l’impegno, da parte dei membri dell’Assemblea, di porre fine all’inquinamento da plastiche e di intraprendere i negoziati per l’elaborazione di un trattato internazionale legalmente vincolante entro il 2024.

La plastica è ovunque

L’inquinamento causato dalla mancanza di un corretto uso e smaltimento dell’enorme volume di materiale plastico prodotto dagli anni ’50 ad oggi pone diversi rischi, ampiamente mostrati dalla ricerca e dal monitoraggio scientifico. La dispersione di rifiuti plastici nell’ambiente naturale è ormai ubiqua, e rappresenta un rischio di primo piano sia per la funzionalità degli ecosistemi, sia per la salute umana. Il tema è noto da tempo: le gigantesche “isole di plastica” che galleggiano nei mari del mondo; le frequenti notizie di animali morti per aver ingerito plastica colorata, o per essere rimasti impigliati nelle reti che popolano gli ambienti più diversi; l’ubiqua diffusione di microplastiche nei suoli (che da lì entrano nelle piante, e dunque, attraverso la catena trofica, anche nei nostri corpi) e nelle acque sono tutti esempi di un’invasione che sembra inarrestabile. Plastiche e microplastiche di ogni genere vengono ritrovate ovunque: in suoli e acque, nei corpi di piante animali, negli organi umani, e anche nell’aria.

Un recente studio pubblicato sulla rivista Frontiers in Marine Science, ad esempio, ha accertato la presenza di minuscole fibre plastiche nell’aria – provenienti, secondo i ricercatori, soprattutto dalla frammentazione di tessuti sintetici e di reti da pesca – persino in Antartide, uno dei luoghi più remoti e meno antropizzati del pianeta. Ciò significa che anche gli animali che vivono in quei luoghi potrebbero respirare regolarmente microplastiche, così come gli organismi viventi che abitano le profondità marine, anch’esse invase dalle plastiche. Lo studio, condotto da ricercatori dell’università di Oxford e dall’università di Cape Town in Sudafrica, ha rilevato un’alta concentrazione di microplastiche anche all’interno dei ghiacci antartici, il che dimostra come queste particelle rimangano intrappolate nelle nuove formazioni glaciali che si formano anno dopo anno, aumentando la probabilità che, prima o poi, esse vengano rilasciate nelle acque oceaniche, che tornino a diffondersi nell’aria (ad esempio in seguito a tempeste), oppure che si depositino all’interno dei sedimenti oceanici.

Negoziati per un trattato vincolante: i primi passi

Il Comitato Negoziale Intergovernativo (Intergovernmental Negotiating Committee, INC), istituito all’interno della stessa risoluzione dell’UNEA di marzo 2022, ha concluso in questi giorni la prima fase preliminare di lavori, tenutasi a Punta del Este, in Uruguay, dal 26 novembre al 2 dicembre. Questo primo incontro ha affrontato sia temi organizzativi e procedurali, sia questioni sostanziali – si spiega nel comunicato finale. Un trattato legalmente vincolante su scala internazionale è infatti un obiettivo tanto ambizioso quanto difficile da realizzare, soprattutto quando si tratta di regolamentare un ambito – quello della produzione delle materie plastiche – in cui si scontrano interessi molto diversi gli uni dagli altri, spesso addirittura contrapposti.

Parte importante di questo primo incontro è stato, proprio in ragione di questa diversità, il confronto con i diversi portatori d’interesse, durante il quale sono state affrontate le sfide relative ad ogni momento del ciclo di vita della plastica: produzione, uso, smaltimento.

Il lavoro dell’INC non rappresenta il primo tentativo di affrontare il problema dell’inquinamento da plastica a livello internazionale, ma è certamente il più ambizioso. Ricordiamo, tra gli strumenti internazionali già esistenti, la Convenzione di Basilea per il “controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento”, in vigore dal 1992, che regolamenta anche il commercio di rifiuti di materiale plastico; l’Ad Hoc Expert Group sui rifiuti marini e le microplastiche, istituito nel 2018 durante la terza Assemblea per l’Ambiente delle Nazioni Unite, e molte altre iniziative istituzionali e private che si occupano del monitoraggio e dell’individuazione di soluzioni per affrontare la questione dell’inquinamento da plastica.

Visioni contrapposte

Già durante questa prima sessione di lavori verso un trattato legalmente vincolante, tuttavia, sono emerse chiaramente le discordie intorno al nodo fondamentale della questione: mentre tutti i delegati hanno concordato sulla definizione dell’ambito (l’intero ciclo di vita della plastica) e degli obiettivi (la protezione dell’ambiente e della salute umana dall’inquinamento da plastica, e la soppressione di questa forma di inquinamento), il comitato negoziale si è diviso sulla struttura che il trattato dovrebbe assumere.

Da una parte vi sono coloro che sostengono che il trattato dovrebbe essere costruito in modo da imporre un vincolo legale: ciò significa che gli obiettivi e le scadenze che verranno stabiliti dal documento dovranno essere rispettati, e che vi saranno sanzioni per chi verrà meno agli impegni. Dall’altra parte, invece, vi è chi propende per l’istituzione di una convenzione quadro – per sua natura non vincolante – la cui implementazione sarebbe effettuata mediante lo strumento dei piani d’azione nazionali (National Action Plans, NAPs). È proprio questa la struttura conferita all’Accordo di Parigi per la mitigazione delle emissioni climalteranti: è ormai evidente, tuttavia, che quell’accordo sia un sostanziale fallimento, dal punto di vista dell’implementazione, proprio a causa della mancanza di un vincolo legale che obblighi i paesi firmatari a mettere in atto in tempi brevi misure adeguate per raggiungere gli obiettivi entro il 2030.

Analizzando il rapporto finale concordato tra le parti, Earth Negotiations Bulletin ha sottolineato come, alla fine di questo primo incontro negoziale, siano emersi numerosi punti di scontro, sui quali trovare una convergenza potrebbe essere difficile.

Ad esempio, non è stata formalizzata una definizione comune del ‘ciclo di vita’ della plastica, fondamentale per comprendere quali punti del ciclo di produzione, commercializzazione e smaltimento di questi materiali dovranno essere oggetto di regolamentazione. Inoltre, al di là della retorica – piuttosto condivisa – sulla necessità di muoversi verso una forma ‘circolare’ di economia, non si è raggiunto un punto di vista comune su quale debba essere il giusto bilanciamento tra l’investire sull’efficientamento del ciclo di vita della plastica (il che implicherebbe una riduzione dei rifiuti e un maggiore tasso di riciclo) e una riduzione della produzione, misura ben più drastica e che pure è un provvedimento centrale per affrontare il problema alla radice.

Tema centrale di dibattito per l’intera settimana di negoziati è stato, come accennavamo, quello riguardante la forma che il trattato dovrà assumere: vincolante o volontario? Non sorprendentemente, a sostenere la forma di implementazione ‘dal basso’, incentrata cioè sugli impegni definiti su base volontaria dalle singole nazioni, vi sono paesi come gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita, i cui interessi nell’industria petrolifera – alla base di gran parte della produzione di plastica – sono noti. Fautori di un sistema di implementazione ‘dall’alto’, molto più vincolante, sono invece quei paesi, come molti piccoli stati insulari, che già vivono le drammatiche conseguenze – dirette e indirette – dei danni ambientali causati in larga parte proprio dall’ampia filiera dei combustibili fossili.

Inoltre, come nei negoziati sul cambiamento climatico – il cui ultimo incontro si è concluso in Egitto poche settimane fa –, anche in questa occasione è emerso il contrasto tra i grandi inquinatori e i paesi in via di sviluppo. Anche in questo caso, come per le emissioni climalteranti, vi è infatti una netta disparità in termini di responsabilità storiche per l’inquinamento del pianeta, e una diseguaglianza direttamente proporzionale per quanto riguarda le conseguenze a cui far fronte.

Queste discordanze saranno affrontate nuovamente nel corso del secondo incontro dell’INC, che si terrà in Francia nel maggio 2023. Nonostante i punti irrisolti siano ancora molti, alla fine dell’incontro uruguayano i delegati si sono detti ottimisti, come riporta Earth Negotiations Bulletin: la convinzione è che siano state gettate le fondamenta per un processo negoziale di successo, che consentirà di mantenere la promessa di elaborare entro il 2024 un trattato vincolante che consenta al mondo di affrontare la crisi della plastica nel più breve tempo possibile.


Leggi anche:

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012