UNIVERSITÀ E SCUOLA

A Luca Pagani il premio Feltrinelli per la biologia nella sezione Giovani

La nostra intera storia evolutiva, non solo di Homo sapiens ma di tutto il genere Homo, è stata ridisegnata dalle migrazioni e dai molteplici eventi di ibridazione avvenuti tra le popolazioni: il più antico di questi eventi ci riporta a circa 700.000 mila anni fa quando gli antenati di Neanderthal e Denisova uscirono dall’Africa e si incrociarono con una popolazione euroasiatica del genere Homo, probabilmente erectus, che aveva lasciato il continente africano molto tempo prima, poco meno di 2 milioni di anni fa.

Lo stesso è accaduto circa 60 mila anni fa quando gli antenati dell’essere umano moderno si allontanarono dall’Africa per raggiungere l’Eurasia e in tempi relativamente brevi si insediarono in varie ambienti adattandosi in modi diversi. La variazione del colore della pelle è uno di questi, come anche la capacità delle popolazioni che vivono ad altitudini elevate di respirare un’aria meno ricca di ossigeno. Anche Homo sapiens si ibridò con altre popolazioni, Neanderthal e Denisova, e questi incroci portarono a ripetuti scambi di geni.

Le tecniche con cui oggi è possibile analizzare il Dna hanno svelato che una parte del genoma di noi sapiens (dal 2% al 4%) è di origine neanderthaliana e negli ultimi anni la scienza ha dimostrato quanto fosse inesatto rappresentare l’evoluzione umana come un albero dai rami ben distinti e, ancor di più, quanto il concetto di razza sia privo di fondamento.

Le migrazioni offrono interessanti spunti di studio dal punto di vista etnografico e culturale, ma sono anche il punto di partenza per linee di ricerca che mirano ad indagare la suscettibilità a patologie con componente genetica. Un ambito su cui è impegnato il professor Luca Pagani, docente di Antropologia molecolare all’università di Padova, che proprio per i suoi studi sull’eredità ancestrale al genoma delle popolazioni moderne ha ottenuto nei giorni scorsi il prestigioso premio Antonio Feltrinelli dell’Accademia dei Lincei, nella categoria giovani per la sezione dedicata alla biologia.

Il lavoro che gli è valso il riconoscimento è uno studio da lui coordinato e diretto, pubblicato lo scorso anno su Nature Communications e che ha proposto un nuovo metodo per estendere la stima del rischio genetico ad individui che derivano dalla mescolanza di varie popolazioni umane. Una delle priorità della genomica medica è infatti quella di capire l'impatto delle informazioni scritte nel nostro DNA rispetto al rischio di sviluppare una certa malattia o alla probabilità di avere un dato tratto fenotipico. E' un ambito che negli ultimi anni ha compiuto molti passi in avanti ma che si è concentrato in prevalenza su popolazioni omogenee, senza quindi esplorare in pieno tutte le sue potenzialità.

"Con la conoscenza degli apporti ancestrali al genoma individuale da parte di antenati più o meno remoti nel tempo e nello spazio, l’antropologia biologica contemporanea si dimostra pertanto capace di dare un utile contributo alla medicina predittiva e personalizzata", si legge nelle motivazioni che accompagnano il premio.  

Abbiamo intervistato il professor Pagani per ripercorrere insieme a lui le linee di ricerca su cui è attualmente impegnato e per una riflessione più ampia su quello che ancora non sappiamo sull'evoluzione umana, interrogativi a cui la scienza sta cercando di dare una risposta per aggiungere ulteriori tasselli alla ricostruzione della nostra storia di esseri umani.

"Io ho studiato biologia molecolare all’università di Pisa e alla Normale e ho cominciato dedicandomi ad attività di laboratorio wet. Avevo un altro interesse, che pensavo fosse perpendicolare alla biologia, cioè la storia delle popolazioni umane, le migrazioni e i popoli nomadi da un punto di vista culturale ed etnografico. Poi ho scoperto che era possibile mettere insieme le due cose e questo è accaduto tra il 2008 e il 2009 quando si è avuta la rivoluzione della genomica. Il mio interesse verso questo tipo di argomenti si è combinato con il mio background biologico e con la fortuna di avere a disposizione uno strumento come la genomica".

L'intervista completa a Luca Pagani, docente del dipartimento di Biologia dell'università di Padova. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

"Intanto ci tengo a sottolineare che io sono l’ultimo autore di questo studio, il che vuol dire il coordinatore scientifico, ma il primo autore è Davide Marnetto che è un giovane ricercatore all’università di Torino e a cui va un egual porzione di questo merito, se non di più", introduce il professor Pagani prima di entrare più nel dettaglio del lavoro a cui fa riferimento il riconoscimento dell'Accademia dei Lincei. 

Come valutare il rischio genetico in persone che sono frutto di una mescolanza tra popolazioni?

"Siamo partiti dal fatto che le persone i cui tratti genetici sono frutto di mescolanze recenti e molto diverse tra loro, perlomeno da un punto di vista geografico, pensiamo ad esempio a chi ha un genitore africano e uno europeo, oppure est asiatico ed europeo, hanno un genoma molto variegato, ma il nascente campo di predizione del rischio genetico finora è stato sviluppato soprattutto nei confronti di persone con un background omogeneo", spiega Pagani.

Ma in molte società moderne gli antenati di una data persona possono arrivare da vari angoli del globo e "per questi soggetti che sono frutto di mescolanze non esisteva ancora un metodo. Per questo motivo, mettendo insieme anche la nostra esperienza nel campo della demografia, abbiamo pensato di identificare i segmenti genetici dove una data persona era europea, o est asiatica o africana e abbiamo stimato il rischio genetico per ciascuno di questi pezzetti a seconda delle origini. Combinando insieme questi vari rischi genetici abbiamo dimostrato che si può migliorare la performance generale quando si vanno a vedere i genomi di persone mescolate", approfondisce il docente del dipartimento di Biologia dell'università di Padova. 

Il sequenziamento genetico di DNA antico

Ma da dove si parte per ricostruire la storia di migrazioni così lontane nel tempo e le tracce che hanno lasciato nel genoma degli esseri umani moderni? In questo ambito, e in molti altri, le possibilità offerte dal sequenziamento genetico hanno rappresentato una vera e propria rivoluzione.

"Si parte sicuramente dal genoma completo degli individui: la parte storica del nostro campo di ricerca partiva dal cromosoma Y e dal DNA mitocondriale, ma adesso è da una decina di anni se non di più che poniamo questioni su tutto il genoma, quindi tutti gli autosomi. Oggi - approfondisce Pagani - abbiamo la possibilità di sequenziare DNA antico contenuto nei reperti ossei trovati in ambito archeologico, è un passaggio che siamo riusciti a fare da circa dieci anni ma è solo quattro o cinque anni che si è assistito a una vera esplosione di questo campo di ricerca. La disponibilità di genomi antichi, confrontati con i genomi di umani moderni, ci consente di avere una sorta di film, sviluppato in diversi punti temporali, sia di quella che è stata la nostra evoluzione sia dei processi migratori. Riusciamo infatti ad osservare non solo la genetica degli umani moderni dove vivono oggi, ma anche la genetica degli umani antichi morti laddove vivono oggi date popolazioni. In questo modo riusciamo a capire se le persone morte in una certa regione sono in continuità, cioè sono gli antenati di chi attualmente vive lì, oppure se sono in discontinuità e quindi chi oggi abita su quei territori vi è arrivato in seguito a una migrazione più o meno recente".

Alcune domande ancora irrisolte sull'evoluzione umana

Gli interrogativi aperti sulla storia evolutiva degli esseri umani sono ancora moltissimi e il professor Pagani ne menziona due in particolare. "Se manteniamo l’attenzione su un focus ampio e di interesse generale sappiamo, per esempio, che gli antenati di tutte le persone che oggi vivono al di fuori dall’Africa sono usciti dal continente africano tra i 70 e i 60 mila anni fa, ma sappiamo anche che fino a circa 40 mila anni fa non ci sono state grandi differenziazioni tra i moderni europei e i moderni est asiatici. Erano più o meno la stessa popolazione. Abbiamo quindi un lasso di tempo di circa 20 mila anni in cui non abbiamo assolutamente idea di dove le persone vivessero e cosa facessero. Raffinare un terzo della storia evolutiva di tutti gli euroasiatici sarebbe già un ottimo risultato. Un altro aspetto importante è che siamo tutti in attesa di scoprire finalmente se dalle ossa che abbiamo disponibili di Homo erectus, un nostro antenato ancora più profondo che risale a circa 2 milioni di anni fa, possa derivare qualche tipo di DNA che ci consenta di capire da un punto di vista genetico chi era Homo erectus".

Orizzonti di lavoro 

Cercare di rispondere alla prima domanda è proprio una delle principali linee di ricerca a cui Luca Pagani si sta dedicando in questo momento. "Vogliamo cercare di capire cosa abbiamo fatto tra 60 mila e 40 mila anni fa in Eurasia, quindi un aspetto prettamente demografico". L'altro obiettivo è uno sviluppo degli studi sulle persone la cui genetica deriva dalla mescolanza tra popolazioni diverse. "Ci proponiamo di unire alla predizione del rischio genetico non solo la parte genomica ma anche lo stile di vita. Vogliamo cercare di comprimere il più possibile tutte le variabili che afferiscono a questo aspetto, e che sono incluse in tutto quello che noi chiamiamo domestic environment, per vedere se questo può fornire un’ulteriore possibilità per cercare di predire la propensione allo sviluppo di determinate malattie", spiega Luca Pagani. 

I tanti studi compiuti durante la pandemia da Covid-19 hanno inoltre portato a scoprire che alcuni geni ereditati dai Neanderthal possono aumentare il rischio di forme gravi di malattia e hanno acceso l'interesse sulla palogenetica. "Si è visto che quando abbiamo popolato l’Eurasia e abbiamo incontrato i nostri cugini Neanderthal uno degli aplotipi, cioè delle sequenze genetiche, che sono state tramandate alla progenie mescolata sembra in effetti contribuire a una severità maggiore della malattia. Quindi sotto questo profilo una certa eredità arcaica si rivela oggi essere dannosa quando i portatori di questa eredità sono esposti al nuovo coronavirus", afferma Pagani.

Davanti a SARS-CoV-2 molti sforzi dei ricercatori sono indirizzati a cercare di comprendere il ruolo del fattori genetici, sia del virus che dell'ospite, sul decorso dell'infezione. Tra gli studiosi al lavoro in questo ambito c'è anche il professor Enrico Lavezzo, docente del dipartimento di Medicina molecolare dell'università di Padova, a cui l'Accademia dei Lincei ha conferito il premio Antonio Feltrinelli per la virologia, sempre nella sezione giovani. 


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"Mi congratulo con lui e poi anche dai temi toccati in questa intervista direi che sono emersi due aspetti interessanti: da un lato la possibilità, partendo da un interesse demografico e incentrato sulle popolazioni, di arrivare a risultati che hanno anche un risvolto medicale, quindi predire il rischio genetico di popolazioni mescolate e questa è la mia convergenza verso temi più di ambito medico. Dall’altro lato anche partendo dalla virologia e dallo studio dei patogeni e delle conseguenze sull’ospite umano si può tirar fuori un’anima più evoluzionistica come, ad esempio, la presenza di questi aplotipi ereditati dai Neanderthal che sono collegati con la severità della risposta al virus. Evidentemente nella biologia non importa quale sia il punto di partenza, che sia demografico o virologico, poi gli ambiti si toccano e chissà che a breve poi non potremo cominciare a collaborare insieme visto che siamo anche parte dello stesso ateneo", conclude Luca Pagani.

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