SOCIETÀ

Il no della Romania agli studi sull'identità di genere

Nel bel mezzo del mese di giugno, da decenni diventato il Pride Month a livello internazionale, il governo della Romania ha approvato un disegno di legge che prevede il divieto dell'insegnamento, nelle scuole e nelle università, degli studi sull'identità di genere. Questo significa che sarà messa al bando qualunque teoria o opinione che possa mettere in discussione l'idea che il genere possa non coincidere con il sesso biologico, ed evitare il più possibile che, specialmente nei più giovani, si facciano strada idee, desideri e sentimenti in contrasto con questa assunzione teorica. La scelta della Romania, inoltre, si affianca a quella di vietare nelle scuole anche l'educazione sessuale.

“Non è la prima volta che vengono approvati provvedimenti del genere e, purtroppo, non sarà l'ultima”, commenta Annalisa Oboe, prorettrice alle relazioni culturali, sociali e di genere dell'università di Padova. “Ci sono alcuni stati, come l'Ungheria, la Bulgaria e ora la Romania che si stanno muovendo in questo senso.

Il centro-est Europa sta prendendo una deriva non banale, che proviene da ambienti conservatori che sostengono il diritto della “famiglia” come un antico sistema e un punto di riferimento in cui i ruoli tra padre e madre sono rigidamente definiti, anche per quanto riguarda l'educazione dei figli. Le donne nell'est europeo, tra l'altro, si sono più volte ribellate. Basti pensare allo sciopero sessuale del 2016 da parte delle donne polacche, in occasione di un tentativo di abolizione della legge sull'aborto. I diritti conquistatati dalle donne si stanno purtroppo erodendo in tutta Europa, e nel momento in cui vengono negate loro le decisioni che riguardano i propri corpi, di fatto, si torna indietro”.

Sembra allora che le idee stereotipate sulla cosiddetta “famiglia tradizionale” e basate su un cieco riduzionismo biologico per quanto riguarda l'identità di genere siano, per alcuni governi, dei paradigmi culturali a cui non sono disposti a rinunciare.

Come puntualizza la professoressa Oboe, infatti, “questo è un modo di pensare al mondo che appartiene al passato e che non credo sarà più davvero possibile. È una decisione che sottintende la volontà di riportare il sapere ad una tabula rasa per quanto riguarda tutte le questioni che sono state sollevate dal femminismo in poi, dagli studi di genere e dagli studi queer, che vengono sostanzialmente cancellati.
Questo significa ritornare al Medioevo e dare un colpo di spugna a ogni battaglia e a ogni successo che si ha avuto, grazie a questi studi, in termini di acquisizione di diritti, ma anche di libertà di espressione e di pensiero”.

Si tratta, insomma, di una decisione gravissima che appoggia la tendenza, dei gruppi più conservatori, a demonizzare gli studi di genere. Questo succede molto spesso anche perché non viene capito di cosa si occupi, esattamente, questo campo di studi. Capita infatti che la parola gender susciti, per qualche motivo, perplessità, preoccupazioni e il timore che ci sia qualcosa che possa sovvertire l'ordine attuale.

“Si sente parlare spesso, erroneamente di “filosofia del gender”. Ma questa non esiste. Esistono gli studi sul gender, il cui scopo è indagare cosa significa essere uomini, donne, intersex, o trans”, spiega la professoressa Oboe. “Tutte queste teorie vengono demonizzate, si decide di non volerle vedere, avallare, né considerare in nome di una chissà quale cristianità, tradizione o cultura, alle quali queste cose non appartengono”.

Chi è che sarà maggiormente penalizzato dal disegno in questione? Naturalmente gli studenti rumeni. Non trovare supporto e aiuti da parte delle istituzioni rischia di avere gravi conseguenze, in termini di esclusione, disuguaglianza e disagio sociale, specialmente sui più giovani.
Infatti, come conferma la professoressa Oboe, “i giovani non avranno accesso a un'istruzione che sia inclusiva, che promuova la parità e che insegni che tutti hanno gli stessi diritti, indipendentemente dal genere e dall'orientamento sessuale”.

Inoltre, questa decisione limita non solo la crescita personale e culturale degli studenti, ma anche la libertà accademica delle istituzioni e degli insegnanti che saranno costretti ad autocensurarsi per non inserire nelle loro lezioni riferimenti all'identità e alla parità di genere, alle questioni transgender e a nozioni di educazione sessuale.

Impedire l'accesso a certi tipi di conoscenze è una mossa che i governi mettono in atto da sempre per aumentare il controllo sui loro cittadini tramite la promozione di un'ignoranza generale su certe questioni scomode o controverse.
Il governo rumeno, insomma, non solo non sembra voler fare passi avanti per far uscire il paese dai più conservatori d'Europa, ma procede nel senso opposto, restringendo la libertà dei suoi abitanti e limitando le loro possibilità di potersi affacciare a un mondo più inclusivo e privo di pregiudizi.

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