SCIENZA E RICERCA

Aspettando il Museo della Natura e dell’Uomo. Collezioni naturalistiche, l'impatto sul territorio

Dalle origini a oggi, i musei di storia naturale hanno mutato fisionomia e ruoli. Sorti intorno al XV secolo come stanze delle meraviglie, erano allora collezioni private di aristocratici e ricchi borghesi che conservavano preziose stranezze. Gradualmente furono aperti al pubblico e nel XIX secolo diventarono istituzioni nazionali. Oggi, dopo la definizione che ne è stata data nell’Agosto del 2022 dall’International Council of Museums, il museo è concepito come un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che effettua ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio materiale e immateriale. Aperto al pubblico, accessibile e inclusivo, promuove la diversità e la sostenibilità.

Dopo aver ripercorso la storia e l’evoluzione delle collezioni naturalistiche nei secoli con Elena Canadelli, presidente della Società italiana di storia della scienza, a pochi giorni dall’inaugurazione del Museo della Natura e dell’Uomo che avrà luogo a Padova il 23 giugno, approfondiamo il ruolo dei musei di storia naturale oggi con Paola Rodari, docente di museologia scientifica alla Sissa di Trieste, con esperienza trentennale nella progettazione e realizzazione di mostre e musei della scienza e della tecnologia.  

La ricerca va in scena

“I musei scientifici – esordisce Rodari – conservano il patrimonio materiale e immateriale e lo espongono, cioè lo interpretano e lo raccontano. Sono luoghi in cui non solo si raccolgono oggetti dunque, ma si parla di scienza e conoscenza. I musei sono istituti di ricerca, sebbene questa dimensione non sia sempre così visibile”. Il Museo delle scienze di Trento, per esempio, conta numerosi ricercatori al suo interno, il Natural History Museum di Londra più di 300. 

“Un tempo la parte espositiva del museo era distinta dalle aree dedicate all’indagine scientifica. Oggi invece la ricerca viene messa in scena. Si fanno visitare le collezioni interne, ci sono spazi in cui i ricercatori possono incontrare i visitatori e raccontare il proprio lavoro. A Trento una parte dei laboratori possiede pareti in vetro che consentono a chi entra nel museo di osservare al loro interno. Nel Natural History Museum, uno dei più grandi centri di ricerca sulla biodiversità al mondo, accade lo stesso: dal palazzo delle esposizioni  si possono vedere gli scienziati al lavoro nel Darwin Centre attraverso le finestre”. Il Darwin Centre nasce proprio da una riflessione di questo tipo, con l’obiettivo di creare strumenti e spazi fisici per rendere visibile gli studi in corso. 

Rispetto a un tempo, oggi le collezioni naturalistiche assumono ruoli nuovi: offrono non solo una testimonianza sul passato del pianeta, ma sono anche una finestra sul presente e consentono di guardare al futuro, dato che sono sempre più utilizzate per fare previsioni inerenti la perdita di biodiversità, i cambiamenti climatici, le malattie infettive. I reperti posseduti, risalenti spesso a qualche secolo fa e oltre, permettono di fare ragionamenti sull’evoluzione storica di un territorio e sui cambiamenti in corso ad opera degli uomini. Anche per queste ragioni Kirk R. Johnson, direttore dello Smithsonian National Museum of Natural History di Washington, e colleghi ritengono utile ripensare i musei di storia naturale non come organizzazioni indipendenti, ma come parti di un tutto, che concorrono a formare un’unica grande collezione globale: obiettivo, questo, da raggiungere attraverso la condivisione dei dati e il coordinamento tra istituzioni. 

Apprendere nei musei significa modificare quello che siamo

Altrettanto importante è la funzione educativa dei musei, che fa riferimento a una concezione dell’apprendimento molto più ampia di quanto comunemente si può pensare. “Non si tratta solo di trasferire concetti, nozioni, fatti – osserva Rodari –. I musei fanno propria un’idea dell’apprendimento che copre anche altre dimensioni, come quella delle emozioni, delle attitudini, del saper fare. L’azione educativa non è relativa solo a una disciplina, ma è qualcosa di più profondo. Apprendere vuol dire cambiare un’attitudine, un modo di sentire o di affrontare determinate situazioni. Significa modificare quello che siamo. I musei educano in questo senso: coinvolgono i cittadini per renderli capaci di ragionare, discutere e prendere decisioni sulla natura e sul loro rapporto con la natura. Sono spazi in cui si impara a considerare quali sono le proprie emozioni e reazioni, ma anche a prenderne distanza, e a metterle a confronto con quelle degli altri”.  

Un sala museale deve saper parlare

Gli strumenti che nutrono il processo educativo sono molteplici. Il primo è l’esposizione stessa: “Il museo è un luogo in cui si espone. Se non è visitabile, non è un museo. È un luogo reale, tridimensionale in cui la persona vive un’esperienza”. Legge, guarda, ascolta, sperimenta, si emoziona. “Quindi il primo modo attraverso il quale si educa è l’esperienza sensoriale”. Che avviene seguendo il filo rosso degli oggetti esposti, resi visibili e interpretati. 

Nel percorso espositivo le tecnologie digitali possono rendere attivo e partecipe il visitatore, ma ciò non vale in assoluto. “Una sala museale può parlare anche senza l’utilizzo di video, tavoli interattivi, realtà virtuale, dipende da ciò che si intende narrare. Vanno combattute le generalizzazioni”. E le mode. Secondo Rodari ci si deve chiedere innanzitutto se ha senso usare dispositivi di questo tipo in un determinato contesto, in base al tipo di museo, a ciò che si vuole raccontare e al pubblico a cui ci si rivolge. E porta un esempio: “L’esperienza museale è socializzante: una persona visita un museo scientifico con gli amici, con la  famiglia, per raccontarsi, per discutere di ciò che osserva. Quando ci si isola in un casco, o nelle cuffie della visita guidata, si perde una parte fondamentale dell’esperienza museale, tanto che solitamente nei musei della scienza queste possibilità non vengono utilizzate. Il museo d’arte, al contrario, ha una fruizione del tutto individuale e poco sociale”.   

Vanno considerati i pubblici di riferimento, per ognuno dei quali vanno progettati percorsi dedicati. “Il museo sa accogliere i bambini più piccoli, gli adolescenti, gli adulti, e a seconda del target offre attività di vario tipo come laboratori, gruppi di discussione, eventi notturni. I musei di storia naturale in particolare programmano anche visite esterne, perché interpretano il territorio e la sua natura, e lo raccontano”. 

Coesione sociale, inclusione e impatto sul territorio 

Il museo è riconosciuto universalmente come motore di sviluppo culturale, sociale ed economico del territorio. “Alimenta il turismo innanzitutto, ma non solo. Crea coesione sociale, nella misura in cui la comunità si riconosce nelle storie che vengono raccontate. Per ottenere questo risultato è necessario essere inclusivi. Il museo deve essere accessibile alla diversità e rappresentare quella diversità”. Quando parla di accessibilità Rodari si riferisce alle persone con disabilità, ma anche a tutte le comunità che vivono sul territorio. In America, per esempio, ci si è chiesti se i musei di storia naturale fossero rappresentativi delle popolazioni originarie o se  fossero piuttosto il frutto di una visione colonialista. “Se ciò che racconto è la prospettiva delle persone bianche provenienti dall’Europa, non rappresento tutte le comunità del territorio, e ciò vale soprattutto per i popoli che hanno subito invasioni culturali”. Oggi si parla di decolonizzazione dei musei anche in questo senso. Secondo Rodari, saper valorizzare i saperi altri e metterli in mostra significa aprirsi alla diversità. 

Serve dunque porsi delle domande: “Il museo della nostra città rappresenta tutte le comunità? Chi viene al museo? Chi sono le persone che non vengono? Comunità religiose o gruppi sociali potrebbero non riconoscersi, non trovare nel museo un luogo che sia anche loro. E allora bisogna fare uno sforzo per capire chi sono i visitatori, ma anche i non visitatori: il non visitatore va conosciuto, così da poter immaginare attività e creare accoglienza”.

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SPECIALE "MUSEO DELLA NATURA E DELL'UOMO”

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