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Covid-19 in Africa: andamento della pandemia e vaccinazioni

Il 16 giugno 2020, stando ai dati di Worldometer, i casi di infezione da Sars-CoV-2 a livello mondiale erano 8.138.820 e 439.590 decessi. In Africa, in particolare, i contagi erano 254.508 e le morti 6.804. Gli Stati più colpiti il Sudafrica (con 73.533 casi), l’Egitto (46.289), la Nigeria (16.658), il Ghana (11.964) e l’Algeria (11.031). A distanza di sei mesi i casi sono aumentati, ma si mantengono tuttavia al di sotto delle stime fatte allora. Il 7 maggio l’ufficio regionale per l’Africa dell’Organizzazione mondiale della Sanità, sulla base di modelli di previsione, annunciava che nel primo anno di pandemia da Covid-19 in Africa si sarebbero potuti registrare da 29 a 44 milioni di contagi, se le misure di contenimento avessero fallito (sebbene qualcuno allora sottolineasse che forse era azzardato pensare a proiezioni così catastrofiche). Alcuni membri dell’Africa Centres for Disease Control and Prevention, su Nature Medicine, ai primi di giugno del 2020 sostenevano che l’Africa sarebbe potuta diventare l’epicentro della pandemia. Nei mesi successivi tuttavia – limitandoci a leggere i dati – i casi di infezione da Sars-CoV-2 in Africa pare non abbiano raggiunto i picchi temuti: al 22 novembre 2020, il continente africano, che comprende 1,3 miliardi di persone, aveva registrato 2.070.953 casi di Covid-19 e 49.728 decessi, pari a circa il 3,6% dei casi a livello mondiale; il 28 gennaio 2021, stando ai dati di Worldometer, i casi sono 3.512.764 e le morti 88.156. “Allo stato attuale delle conoscenze – osservava già qualche tempo fa Maurizio Murru, medico di sanità pubblica, su Salute internazionalesi possono solamente fare delle ipotesi sull’andamento della pandemia in Africa e sulle ragioni che la sottendono”. E ciò per quanto si è potuto osservare finora, dato che la pandemia parrebbe inasprirsi anche nel continente africano.

Al tema dedicano un’ampia trattazione su Science Justin M. Maeda e John N. Nkengasong, dell’Africa Centres for Disease Control and Prevention. Secondo gli autori dell’articolo, diversi sono i fattori che potrebbero aver influenzato l’andamento della pandemia nel continente. Tra questi, per esempio, una popolazione molto giovane, differenze climatiche che potrebbero incidere sulla trasmissione, immunità preesistente, fattori genetici, misure di sanità pubblica, una “reazione tempestiva e collettiva” ai primi casi di Covid-19, e un numero limitato di test che ha inciso sul rilevamento dei casi e, dunque, sulla piena comprensione della diffusione dell’infezione in Africa. Proprio per far fronte a questo problema, nell’aprile del 2020 gli Africa Centres for Disease Control and Prevention (Africa CDC), hanno lanciato la Partnership to Accelerate Covid-19 Testing (Pact) e grazie a questa iniziativa, riporta Science, i test sono rapidamente aumentati passando da circa 600.000 mensili ad aprile a circa 3,5 milioni mensili a novembre 2020, e 39 Paesi su 55 (il 71%) hanno riportato più di dieci test processati per ogni caso identificato.

Per tale ragione, secondo Maeda e Nkengasong, le analisi sierologiche risultano fondamentali, dato che possono fornire dati sulle tendenze dell’infezione da Sars-CoV-2. Uno studio coordinato da Sophie Uyoga sulla presenza di anticorpi contro Sars-CoV-2 in 3.098 donatori di sangue in Kenya, riferisce che alla fine di luglio 2020, nel Paese, erano stati segnalati solo 341 decessi e circa 20.000 casi di Covid-19. Ma la reale estensione di Covid-19 nella comunità era sconosciuta e probabilmente era maggiore di quanto indicato dai rapporti. Gli scienziati, nel gruppo preso in esame (sebbene non rappresentativo dell’intera popolazione), hanno rilevato una sieroprevalenza del 4,3%, con un picco negli individui di età compresa tra 35 e 44 anni. Ebbene, fanno notare Maeda e Nkengasong, questo si tradurrebbe in circa 2,2 milioni di infezioni possibili rispetto alle 77.585 segnalate nel Paese al 23 novembre 2020. Allo stesso modo, nell'ottobre 2020, il Mozambico ha segnalato meno di 3.000 casi confermati di Covid-19; tuttavia, indagini sierologiche hanno rilevato che il 5% delle famiglie nella città di Nampula e il 2,5% delle famiglie nella città di Pemba erano state esposte al virus. E questo, secondo gli autori, suggerirebbe che potrebbero esserci più infezioni di quelle registrate.

“Pur considerando la significativa sottostima dei casi di infezione da Sars-CoV-2 – sottolinea Maurizio Murrucolpisce il basso numero di decessi da Covid-19 in Africa. Se i casi di infezione possono facilmente sfuggire alle larghe maglie dei sistemi di controllo, aumenti clamorosi di ricoveri e morti per malattie respiratorie in megalopoli come Kinshasa, Lagos e Luanda difficilmente sfuggirebbero all’attenzione”. Anche se non manca chi, invece, farebbe notare l’assenza di un buon sistema di registrazione dei decessi in Africa, sostenendo che – mentre la pandemia incalza – nella maggioranza dei Paesi africani, gran parte dei decessi non verrebbe registrata formalmente. “Che molti casi sfuggano lo sappiamo – dichiara Murru a Il Bo Live –. Succede ovunque. Ma, fino ad ora, non ci sono studi che riferiscano di ospedali saturi di pazienti che muoiono. Da coloro che sono sul posto, come i medici con l’Africa Cuamm, non è stato finora notato un eccesso di mortalità da Covid-19 nel continente africano”.  

Guarda l'intervista completa a Gavino Maciocco che parla di andamento della pandemia in Africa (dati al 17 gennaio 2021) e delle ripercussioni sull'economia, della variante sudafricana del virus e di vaccini. Montaggio di Elisa Speronello

Di tutti questi aspetti abbiamo discusso con Gavino Maciocco, esperto di politiche sanitarie e salute globale e direttore scientifico della rivista Salute e Sviluppo di Medici con l’Africa – Cuamm. Secondo Maciocco, l’aspetto principale di cui tener conto quando si parla dell’andamento della pandemia in Africa è il dato demografico, dunque la presenza di una popolazione estremamente giovane. È ormai noto che il quadro clinico di Covid-19 si aggrava con l’avanzare dell’età e la comorbidità. “Questa considerazione è confermata dal fatto che il Paese che sta soffrendo di più nel continente è il Sudafrica: qui si riconoscono delle condizioni abbastanza simili a quelle degli Stati Uniti, e dunque una popolazione nera che vive in condizioni di alta densità, che svolge lavori a rischio e che soffre di patologie come l’obesità, molto diffuse, soprattutto nelle donne. L’obesità si trascina dietro altre malattie cardiovascolari, renali e questa è una condizione che facilita la diffusione, tanto è vero che più di un terzo delle morti in Africa sono concentrate in Sudafrica”. Il Sudafrica ha una popolazione numerosa quasi quanto quella italiana e ha riportato picchi di mortalità simili a quelli del nostro Paese. Ora la situazione è complicata dalla nuova variante del virus Sars-CoV-2, che risulta essere più contagiosa. Inoltre, secondo Maciocco, si deve tener conto che, nella zona meridionale dell’Africa, si riscontra la massima concentrazione di casi di infezione da Hiv che genera immunodeficienza e dunque una debole risposta dell’organismo alle altre infezioni. “Nel continente abbiamo avuto due ondate e la seconda, soprattutto, in Sudafrica è molto più letale. Ma quella sudafricana, dal mio punto di vista, va considerata come una situazione del tutto particolare”. In generale, secondo Maciocco, non si assiste nel continente a un eccesso di sottostima di casi e di decessi, e la spiegazione andrebbe cercata proprio nel miglioramento della capacità complessiva di eseguire test per identificare le infezioni da Sars-CoV-2.

Un altro aspetto da considerare, in relazione al contenimento della pandemia in Africa, è legato al programma di vaccinazione. Se infatti decine di milioni di dosi di vaccino sono già state somministrate in 50 Paesi per lo più ad alto reddito, la situazione è differente nel continente africano: la Guinea è l'unica nazione a basso reddito a fornire vaccini e ad oggi questi sono stati somministrati solo a 25 persone. Gavino Maciocco propone alcune considerazioni sul programma Covax, Covid-19 Global Vaccine Access Facility, l’iniziativa guidata da Gavi Alliance, dalla Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (Cepi) e dall'Organizzazione mondiale della Sanità allo scopo di accelerare lo sviluppo e la produzione di vaccini contro Covid-19 e garantire un accesso giusto ed equo a tutti i Paesi del mondo.

È uno dei tre pilastri dell'acceleratore Access to Covid-19 Tools (ACT), lanciato lo scorso aprile dall'Organizzazione mondiale della Sanità, dalla Commissione europea e dalla Francia in risposta alla pandemia. Covax ha finora raccolto più di 2 miliardi di dollari per l’acquisto di due miliardi di dosi di vaccino.

“A questo programma – osserva Maciocco – non aveva aderito l’America di Trump, ma ora si auspica che con il cambio di governo ci sia anche il contributo degli Stati Uniti, che sarebbe indispensabile. Con due miliardi di dollari, però, si è visto che si riuscirebbe a vaccinare a malapena il 20% della popolazione, dunque non è questa la strada dal mio punto di vista. La strada, a mio avviso, è stata indicata, anche per il continente africano, dal Sudafrica e dall’India che sostengono la necessità di applicare la licenza obbligatoria sui vaccini, una clausola che, in caso di problemi di sanità pubblica, consente di derogare al brevetto”. Va detto che l’interesse dell’India, osserva Maciocco, deriva dal fatto di essere il maggior produttore di farmaci generici al mondo e una linea di questo tipo garantirebbe al Paese di produrre vaccini senza brevetto in larghissima quantità.

In un recente articolo apparso su Salute internazionale, Maciocco si sofferma ampiamente sull’argomento, spiegando – in linea con Nicoletta Dentico e Silvio Garattini – che i governi di India e Sudafrica lo scorso ottobre hanno inviato all’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) una proposta congiunta in cui chiedevano una deroga ai brevetti e agli altri diritti di proprietà intellettuale per tutto ciò che concerne farmaci, vaccini, dispositivi diagnostici e di protezione personale per tutta la durata della pandemia, finché non si sia raggiunta l’immunità. Si tratterebbe, continua Maciocco, di sospendere temporaneamente gli obblighi contenuti nella Sezione I, Parte II dell’Accordo TRIPs – Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights, che riguarda copyright, disegni industriali, brevetti, protezione di informazione non condivisa. “In virtù di questa deroga, i centri di ricerca avrebbero possibilità di condividere la conoscenza scientifica e accelerare collaborazioni per lo sviluppo di nuovi prodotti per combattere il virus, ciò che permetterebbe una più agile risposta alla domanda di attrezzature, diagnostici e medicinali, e a costi inferiori, non solo nei Paesi a basso reddito. La deroga è prevista in base dell’articolo IX comma 3 e 4 dell’Accordo di Marrakech che ha costituito l’Omc; la condizione è che esista una giustificazione fondata su circostanze eccezionali”. La proposta è stata sostenuta da molti Stati membri dell’Omc e da organizzazioni internazionali, ma si oppone invece il blocco dei Paesi industrializzati.

Ma la deroga al brevetto per garantire l’accesso ai vaccini potrebbe interessare non solo i Paesi africani. “È una questione così generale – dichiara a Il Bo Live – che potrebbe anche riguardarci da vicino, considerate le difficoltà che si stanno riscontrando nell’approvvigionamento di determinati vaccini. Quella del brevetto, in caso di pandemia, è una questione politica fortissima”. E conclude: “Se rimarranno zone del mondo in cui il virus continuerà a circolare liberamente e non si vaccinerà tutta la popolazione a livello globale, non riusciremo a eradicare la malattia. Se non 'raffreddiamo' la circolazione del virus in tutto il mondo, si rischia di avere delle riaccensioni che provengono dai Paesi in cui la vaccinazione non è stata condotta. Vaccinare la popolazione in Africa o in Sudamerica è una esigenza fondamentale. Ma per fare questo l’unica strada, ripeto, è la licenza obbligatoria, cioè prevedere una produzione in forma generica dei vaccini per la fase esplosiva dell’epidemia, fino a che non si otterrà l’immunità di gregge”.

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