SCIENZA E RICERCA

IPCC: l’impatto dei cambiamenti climatici sulla biodiversità

Il 16 novembre è stata la giornata tematica della Cop27 dedicata alla biodiversità. Nel 2020 è scaduto il Piano Strategico globale per la biodiversità e alla COP15 di Montreal, che inizierà il 6 dicembre prossimo, si cercherà di produrne uno nuovo, che valga per almeno un altro decennio.

La crisi ambientale infatti è una concatenazione di tre crisi insieme: quella climatica, quella dell’inquinamento (di aria, acqua e terra) e quella appunto della biodiversità. Ci si aspetta che il 19 dicembre dalla conferenza delle Nazioni Unite esca un accordo globale sulla biodiversità forte almeno quanto quello siglato a Parigi nel 2015 per il clima.

In realtà la conferenza che si terrà in Canada sarebbe dovuta tenersi nel 2020 a Kunming, in Cina, ma il Covid prima e intese preliminari tra Paesi mai raggiunte poi l’hanno fatta slittare di due anni. Ancora oggi le parti sono distanti da un documento unitario: servono obiettivi chiari e misurabili e al momento le bozze da discutere non li presentano.

Ad oggi gli obiettivi di Aichi, fissati nel 2010 in Giappone, sono stati tutti mancati. Ora l’ambizione è quella di siglare un accordo che protegga il 30% di terre e mari fino al 2030 e per raggiungerlo serviranno ingenti finanziamenti.

Il crollo di biodiversità a cui stiamo assistendo non è causato soltanto dai cambiamenti climatici. Anche laddove la temperatura del pianeta dovesse smettere di crescere, le attività antropiche estrattive e invasive continuerebbero a erodere il patrimonio ecosistemico: deforestazione, agricoltura intensiva, caccia, attività estrattive e inquinamento sono fattori che indipendentemente dai cambiamenti che inducono al clima impattano direttamente sulla biodiversità. La maggior parte di queste attività naturalmente produce anche emissioni di gas climalteranti e dunque il danno alla biodiversità arriva anche attraverso il riscaldamento globale.

Il rapporto AR6 del secondo gruppo di lavoro dell’IPCC pubblicato a febbraio di quest’anno mostra anche quanto i cambiamenti climatici influiscano sul crollo della biodiversità e come questo, di ritorno, impatti anche sulle società umane.

Impatti osservati

Il cambiamento climatico ha già alterato ecosistemi marini, terrestri e fluviali in tutto il mondo. Ha causato perdita di specie, aumento delle malattie, eventi di mortalità di massa in piante e animali, provocando persino le prime vere e proprie estinzioni causate dal clima. Ha rimodellato interi ecosistemi, sono aumentate le aree bruciate dagli incendi e sono diminuiti i servizi ecosistemici fondamentali. I danni e le perdite sono misurabili economicamente per le società umane, c’è stata perdita di vivibilità, sono state alterate pratiche culturali e attività ricreative in tutto il mondo.

Gli eventi climatici estremi, in tutti i continenti, generano condizioni che vanno al di là dei limiti di adattabilità di molte specie. Gli impatti più gravi avvengono su specie ed ecosistemi che hanno tratti che limitano la loro capacità di rigenerarsi tra un evento e l’altro.

Rischi futuri

Per ogni aggiunta di decimo di grado di riscaldamento globale aumenteranno le minacce e i rischi a specie e ecosistemi degli oceani, delle regioni costiere, delle terre emerse, e questo varrà in particolare per gli hotspot di biodiversità. La trasformazione degli ecosistemi terrestri e oceanici/costieri assieme alla perdita di biodiversità, esacerbata dall’inquinamento, la frammentazione degli habitat e i cambiamenti nell’uso del suolo, minacceranno la vivibilità e la sicurezza alimentare nelle società umane.

Senza urgenti e profonde riduzioni delle emissioni, alcune specie e ecosistemi, specialmente nelle aree polari e in quelle già calde, dovranno affrontare nei prossimi decenni temperature al di là di quelle che hanno esperito storicamente: il 20% delle specie in aree tropicali e costiere si troverà in queste condizioni con solo 1,5°C di riscaldamento globale. Già con 1,2°C di riscaldamento gli ecosistemi unici e minacciati si troveranno ad alto rischio a causa di mortalità di massa di alberi, sbiancamento delle barriere coralline, forte declino del ghiaccio marino, mortalità di massa causata da ondate di calore.

Estinzione di specie

Di 976 specie di piante e animali esaminate dall’IPCC, il 47% delle estinzioni di popolazioni locali è stato causato da fattori climatici e associato ad aumenti delle temperature annuali.

Ad esempio, la sottospecie bianca del lemuroide coda ad anello (Hemibelideus lemuroides) del Queensland, in Australia, è scomparso nel 2005 in seguito a un’ondata di calore. Censimenti intensivi hanno individuato solo 2 esemplari nel 2009.

Il roditore Melomys rubicola di Bramble Cays, sempre in Australia, non è più stato avvistato dopo il 2009 ed è stato dichiarato estinto nel 2016: l’aumento del livello del mare e tempeste più frequenti, associate al cambiamento climatico, sono ritenute le cause più probabili della sua estinzione.

A livelli di riscaldamento globale superiori ai 2°C entro il 2100 il rischio di estirpazione, estinzione e collasso ecosistemico può salire rapidamente. Gli impatti del cambiamento climatico su ecosistemi oceanici e costieri saranno esacerbati per intensità, frequenza e durata delle ondate di calore marino, con conseguenti danni a specie ed ecosistemi.

Negli hotspot di biodiversità il rischio di estinzione di specie aumenta in tutti gli scenari di cambiamento climatico studiati, arrivando quasi a 10 volte per le specie endemiche in uno scenario che arriva a 3°C di riscaldamento.

Considerando tutti gli scenari, risultano complessivamente minacciate da estinzione a causa di fattori climatici il 100% delle specie endemiche sulle isole, l’84% di quelle sulle montagne, il 12% di quelle sui continenti, mentre potrebbero esserlo il 54% di quelle oceaniche.

Aumento del livello del mare

Senza azioni di adattamento e mitigazione i rischi per gli ecosistemi costieri e per le persone derivanti dall’innalzamento del livello del mare aumenterebbero molto probabilmente di 10 volte prima del 2100. Se si dovesse superare 1,5°C di riscaldamento globale crescerebbe l’erosione costiera e verrebbero sommerse ampie aree, con conseguente perdita di habitat ed ecosistemi e salinizzazione delle acque di falda. La capacità di adattarsi a questi impatti costieri e di gestire i futuri rischi dipende da azioni che devono essere compiute immediatamente.

Ondate di calore marine

Le ondate di calore marine, comprese quelle registrate in Nord America tra il 2013 e il 2016 e quelle della costa orientale dell’Australia tra 2015 e 2017 e nel 2020, causano repentini cambiamenti nella composizione delle comunità viventi che possono persistere per anni, con associata perdita di biodiversità, collasso di sistemi regionali di pesca e acquacoltura, e ridotta capacità dal parte di quelle specie che servono a formare l’habitat di proteggere le linee costiere.

Le barriere coralline, le foreste di kelp e i letti di fanerogame marine infatti andranno incontro a cambiamenti irreversibili a causa di ondate di calore marino con livelli di riscaldamento globale superiori a 1,5°C a fine secolo, ma sono ad alto rischio già in questo secolo nei periodi che sforeranno 1,5°C.

Anche nello scenario più ottimista (SSP1-2.6), le barriere coralline sono a rischio di diffuso degradamento, di perdita di integrità strutturale e di erosione entro metà secolo.

Hotspot di biodiversità

Tutti gli hotspot di biodiversità sono impattati, in gradi differenti, dalle attività umane. Il cambiamento climatico aggrava inoltre altri impatti antropogenici, come la perdita e frammentazione di habitat, la caccia, la pesca, il sovrasfruttamento, l’estrazione di acqua, l’alterazione delle sostanze nutritive, l’inquinamento, l’introduzione di specie invasive, la diffusione di malattie. Tutti questi fattori riducono la resilienza climatica.

Servizi ecosistemici

Anche i servizi ecosistemci legati alla salute umana, alla vivibilità e al benessere sono con buon probabilità interessati dal cambiamento climatico. La deforestazione, il drenaggio e la combustione di torba e foreste tropicali, lo scioglimento del permafrost artico hanno già fatto sì che alcune aree siano passate dall’assorbire anidride carbonica a essere produttori di anidride carbonica. La diffusione di insetti nocivi per le foreste è aumentata in molte regioni. L’espansione di piante legnose nei prati e nelle savane, legata all’aumento di CO2, ha ridotto la terra da pascolo, mentre le erbe invasive in terreni semiaridi ha aumentato il rischio di incendi.

Tra i servizi ecosistemici che sono minacciati da una combinazione di cambiamento climatico e altre pressioni antropogeniche ci sono la stessa mitigazione al cambiamento climatico, la gestione delle alluvioni, la fornitura di cibo e acqua.

Incendi

Sono stati attribuiti al cambiamento climatico, in aree tropicali, temperate e boreali, aumenti di zone interessate da incendi (fino al doppio), mortalità di alberi (fino al 20%) e slittamenti di biomi (fino a 20 km di latitudine e 300 metri di altitudine), con conseguenti danni ad aspetti cruciali dell’integrità ecosistemica.

Gli incendi possono generare fino a un terzo delle emissioni globali di anidride carbonica degli ecosistemi, generando un feedback che aggrava il cambiamento climatico. L’aumento di incendi rispetto a livelli cui gli ecosistemi sono adattati degrada la vegetazione, l’habitat per la biodiversità, i rifornimenti di acqua e altre parti degli ecosistemi che forniscono servizi alle persone. Il rischio di incendi tende ad aumentare con l’aumentare delle temperature.

Opzioni e ostacoli all’adattamento

Per aumentare la resilienza della biodiversità e dei servizi ecosistemici occorre minimizzare lo stress ambientale, ridurre la frammentazione, favorire l’estensione naturale degli habitat, la loro connettività ed eterogeneità, mantenere la diversità tassonomica, filogenetica e funzionale, proteggere i piccoli rifugi dove si creano condizioni microclimatiche che consentano alle specie di sopravvivere.

I benefici e la riduzione delle minacce sono massimizzati quando le soluzioni basate sulla natura (nature-based solutions) sono impiegate responsabilmente. In questo va presa in considerazione non solo l’informazione scientifica ma anche le conoscenze dei popoli indigeni e le conoscenze locali, utili per un adattamento incentrato sugli ecosistemi.

Salute planetaria

Mantenere la salute del pianeta è essenziale per la salute umana e della società ed è una precondizione per uno sviluppo climaticamente resiliente. Una conservazione degli ecosistemi efficace sul 30%-50% delle terre emerse, delle acque dolci e delle aree oceaniche e di quelle aree dotate di un alto tasso di integrità ecosistemica, aiuterà a proteggere la biodiversità, rafforzare gli ecosistemi e ad assicurare servizi ecosistemici essenziali.

Tuttavia, le opzioni di adattamento ad oggi disponibili non potranno prevenire tutti i rischi e i cambiamenti e in ogni caso non possono sostituire le riduzioni delle emissioni di gas serra. Azioni ambiziose e rapide di mitigazione offrono più opzioni di adattamento e migliori vie di preservazione degli ecosistemi e dei loro servizi.

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