SOCIETÀ

Sfollati rifugiati profughi climatici: papa Francesco si e ci orienta bene

Circa 200 morti, decine di dispersi, oltre 10mila sfollati, questo è il bilancio provvisorio delle inondazioni e delle frane generate dal ciclone tropicale Seroja in Indonesia e Timor Est nei primi giorni di aprile, un altro devastante evento meteorologico estremo. Piogge torrenziali hanno generato inondazioni improvvise e smottamenti. La tempesta sta ora avanzando verso la costa occidentale dell'Australia. Ci saranno purtroppo altri profughi e sarà bene capire bene come considerare tali emigranti.

La distinzione essenziale è una sola, da sempre: chi è costretto a emigrare da cause di forza maggiore e chi sceglie di emigrare con qualche grado di libertà. I primi hanno maturato il diritto d’asilo, il diritto di immigrare altrove; i secondi esercitano una riconosciuta universale libertà di migrare e non c’è alcun diritto a rifiutarli comunque a priori. La divaricazione vale soprattutto alla partenza: i primi sono in fuga, a stento salvano la vita, non hanno programmato nulla; i secondi devono aver acquisito alcune capacità di movimento e valutano almeno un poco quando e come trasferirsi. Fra i primi, da decenni, vi sono gli sfollati climatici. Papa Francesco ne parlò e ne chiese il “riconoscimento” già nel punto 25 dell’enciclica Laudato sì e ora, alla vigilia di Pasqua 2021, il 30 marzo sono appena usciti gli Orientamenti Pastorali sugli Sfollati Climatici, ben fatti.

Nella prefazione agli Orientamenti papa Francesco spiega che si tratta di:

“un documento, pubblicato sotto forma di opuscolo, che contiene fatti, interpretazioni, politiche e proposte rilevanti sul fenomeno degli sfollati climatici… A differenza della pandemia di Covid-19 – abbattutasi su di noi all'improvviso, senza alcun preavviso, e quasi ovunque, con un impatto pressoché simultaneo sulla vita di tutti noi –, la crisi climatica è iniziata con la Rivoluzione Industriale… Coloro che sono costretti ad allontanarsi dalle proprie abitazioni a causa della crisi climatica hanno bisogno di essere accolti, protetti, promossi e integrati. Essi hanno il desiderio di ricominciare, ma bisogna dare loro la possibilità di farlo, e aiutarli perché possano costruire un nuovo futuro per i loro figli. Accogliere, proteggere, promuovere e integrare sono tutti verbi che corrispondono ad azioni adeguate. Togliamo quindi uno per uno quei massi che bloccano il cammino degli sfollati, ciò che li reprime e li emargina, che impedisce loro di lavorare e di andare a scuola, ciò che li rende invisibili e nega loro la dignità.”

Il documento è diviso in dieci brevi capitoli, ognuno di un paio di pagine, con qualche citazione, alcuni paragrafi e un’ottantina di note (che riprendono soprattutto precedenti testi papali, ma richiamano anche saggi scientifici o materiali Onu e Ipcc sulla materia): 1. Riconoscere il nexus tra crisi climatica e spostamento; 2. Promuovere consapevolezza e sensibilizzazione; 3. Fornire alternative allo sfollamento; 4. Preparare le persone allo sfollamento; 5. Promuovere l’inclusione e l’integrazione; 6. Esercitare un’influenza positiva sui processi decisionali; 7. Estendere la cura pastorale; 8. Cooperare alla pianificazione e all’azione strategiche; 9. Promuovere la formazione professionale in ecologia integrale; 10. Favorire la ricerca accademica sul CCD (ovvero sugli sfollati climatici, Climate Displaced People); tutto preceduto dalla spiegazione degli acronimi, da un breve glossario, dall’introduzione generale.

Il primo capitolo offre qualche numero acquisito dalla letteratura internazionale, scientifica e istituzionale: “Si stima che dal 2008 al 2018 siano state sfollate a causa di calamità naturali oltre 253,7 milioni di persone, un numero da tre a dieci volte superiore – a seconda della regione in questione – rispetto al numero di sfollati provocato da conflitti armati in tutto il mondo” (ripreso da Internal Displacement Monitoring Centre, Idmc, Global Report on Internal Displacement (GRID) 2020, Geneva 2020)

Per approfondire:

Proiettare il numero di persone che potrebbero essere sfollate in futuro è impegnativo, dati i molteplici fattori alla base della migrazione e la difficoltà di chiarire i motivi che stanno dietro ai movimenti degli esseri umani.

"Da un rapporto della Banca Mondiale del 2018 incentrato sull’Africa subsahariana, l’Asia del sud e l’America Latina, si evince che entro il 2050 da 31 a 143 milioni di persone (circa il 2,8% della popolazione mondiale) potranno vedersi costrette a migrare all'interno dei propri Paesi a causa dei cambiamenti climatici. Secondo lo stesso rapporto, il 50% della popolazione dell'Asia del sud risiederà in aree che si presume passeranno, entro il 2050, da hot spot moderati a gravi per disastri legati al clima" (ripreso appunto da un recente conosciuto rapporto della World Bank, le note sono in fondo all’ultimo paragrafo). 

I capitoli successivi delineano le iniziative culturali e le attività concrete che la Chiesa cattolica può prendere o sollecitare, attraverso la rete articolata di strutture sul territorio di tanti paesi e le Conferenze Episcopali a livello nazionale e regionale, con l’obiettivo difficile della prevenzione del fenomeno e la necessità indifferibile dell’assistenza agli uomini e alle donne eventualmente in fuga da eventi climatici. Uno snodo è il seguente: “La Chiesa Cattolica è chiamata a garantire che le opinioni dei più deboli, come gli sfollati climatici, siano ascoltate e tenute in considerazione. Un dialogo fruttuoso con i governi e i responsabili dei processi decisionali è importante per dare luogo a risultati politici rispettosi in materia di CCD, e tale dialogo dovrebbe essere svolto in conformità con i principi del Magistero della Chiesa”. Seguono esempi precisi su quel che fare, prendendo spunto tanto dagli Accordi di Parigi sul clima (ne abbiamo parlato qui: Appello degli scienziati del mondo sull'emergenza climatica) quanto dal Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration dell’Onu (di cui abbiamo parlato qui: Migranti, tutto quello che non vi hanno detto sul Global Compact).

Come è noto, i Global Compact sono due, l’altro è sui rifugiati. Correttamente gli Orientamenti fanno riferimento al primo proprio perché i rifugiati climatici non hanno status di Refugees, vanno per ora considerati all’interno delle migrazioni da rendere sicure, ordinate e regolari.

 

Come aveva fatto papa Francesco nel paragrafo 25 dell’enciclica di sei anni fa si chiede, comunque, di lavorare al riconoscimento di chi fugge da eventi climatici. Il documento indica esplicitamente che bisogna “perorare la causa del riconoscimento e della protezione di coloro che sono sfollati a causa dei cambiamenti climatici, anche sostenendone i diritti umani e fornendo loro assistenza umanitaria, in conformità con il diritto internazionale.” Non a caso, accanto all’assistenza materiale e finanziaria, largo spazio è dedicato all’organizzazione di una vera e propria formazione professionale in ecologia integrale (anche in tutti i corsi sulla Dottrina Sociale), al potenziamento della ricerca scientifica e all’avvio di campagne di informazione e sensibilizzazione di massa. Per Chiesa cattolica si intende “la direzione ufficiale della Chiesa, i Vescovi e le Conferenze Episcopali, i sacerdoti, le sorelle e i fratelli religiosi, i funzionari e i dirigenti di organizzazioni umanitarie ed enti caritativi di ispirazione cattolica che si occupano di migrazione e ogni membro”. Il testo è stato elaborato dalla Sezione Migranti e Rifugiati inclusa nel Dicastero per la promozione dello sviluppo umano integrale, molto attiva da quasi cinque anni.

Il documento è stato presentato con grande enfasi e in diretta streaming presso la sala stampa del Vaticano lo stesso giorno in cui l’Osservatore Romano titolava in prima pagina sugli sfollati climatici riportandone ampi stralci in italiano. Oltre che dati aggiornati sul fenomeno sono state segnalate le due urgenze del 2021: l’appello al taglio delle emissioni in vista della Cop26 di Glasgow a novembre e l’aiuto materiale alle ulteriori vittime della crisi climatica, anche attraverso azioni di resilienza climatica.

Puoi approfondire qui:

L’intera impostazione è scientificamente corretta: per evitare confusione con la Convenzione Onu del 1951 sui Refugees (solo “politici”) si adotta la traduzione inglese del termine generale usato per gli sfollati “interni” ai paesi, Displaced People, aggiungendo l’aggettivo collegato ai cambiamenti climatici antropici globali, insomma sfollati o profughi o rifugiati climatici, ci siamo intesi, coloro che subiscono gli effetti del riscaldamento del pianeta (innalzamento del pare, aumento di frequenza e intensità di eventi meteorologici estremi, stress idrici) senza aver nemmeno contributo a causarli con proprie emissioni, persone a cui manca per ora ogni protezione internazionale.

In poco più di dieci anni sono già stati centinaia di milioni gli Sfollati Climatici, il 2020 non è stato da meno, il 2021 non sarà da meno, pur con il Covid-19. L’istituzione internazionale che contabilizza le persone displaced (appunto l’Idmc, richiamato nel documento) distingue quelli da conflitti (conflict) da quelli da disastri (disaster) e fa riferimento solo a quanti fuggono ma restano nel proprio paese. Da decenni sono più i secondi dei primi, tutti rifugiati profughi sfollati, tutti bisognosi di assistenza immediata e di futuro nuovo. Su cosa sia un “disastro” e quanto si tratti di “naturale” esiste un antico complicato dibattito (a suo tempo riassunto nel volume Ecoprofughi, Nda Press, 2010), in sostanza si fa prevalentemente riferimento a grandi eventi traumatici su territori circoscritti connessi a fatti geomorfologici (circa nel dieci per cento dei casi) o a fatti climatici (circa nel novanta). Resta il fatto che i Refugees censiti dalla Convenzione del 1951 per ragioni “politiche” sono ormai potenzialmente meno degli ecoprofughi e, in particolare, degli sfollati climatici che, pur dopo un rifugio interno, sono spesso costretti a prendere la via dell’emigrazione internazionale. Basta vedere la mappa predisposta dall’Idmc per gli ultimi sei mesi e gli ultimi trenta giorni: i punti di fuga sono meno di 15 per i conflitti politici, quasi 40 per i disastri naturali, tenendo bene in mente che siamo in piena emergenza sanitaria ovunque per la pandemia da Covid-19.

Secondo il Rapporto globale Responding to disasters and displacement in a changing climate, redatto da Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, The International Federation of Red Cross e Red Crescent Societies (IFRC), diffuso il 18 marzo 2021, in soli sei mesi, tra settembre 2020 e lo scorso febbraio, sono stati più di 10 milioni gli sfollati a causa dei disastri climatici: inondazioni che hanno spazzato popolose aree costiere, siccità che hanno privato famiglie e residenti dei mezzi minimi di sussistenza, vari altri fenomeni che hanno innescato migrazioni forzate. Il continente dove si concentrano di più i disastri climatici negli ultimi mesi è l’Asia, è qui che si trova circa il 60% degli sfollati complessivi. Quanto accaduto nei giorni scorsi in Indonesia non è un caso eccezionale.

I cambiamenti climatici hanno dunque superato le guerre come causa di migrazioni forzate. E lo hanno fatto nettamente: nello stesso periodo, sono state sfollate dai conflitti “solo” 2 milioni di persone. E si prevede che oltre un miliardo di persone dovrà affrontare migrazioni forzate entro il 2050 a causa sia di conflitti che di fattori climatici, secondo un rapporto dell’Institute for Economy and Peace pubblicato lo scorso anno. Vedremo i dati complessivi del 2020 nella giornata mondiale dei Refugees, con l’aggiornato dettagliato Report dell’Unhcr, in genere reso pubblico il giorno prima, il 19 giugno 2021. All’inizio della sua prefazione papa Francesco cita Shakespeare: 

“propongo di riprendere la famosa frase pronunciata da Amleto, “essere o non essere”, e di trasformarla in "vedere o non vedere, questo è il problema!”. Tutto, infatti, inizia dal nostro vedere, sì, dal mio e dal tuo”. 

Vedere o non vedere è “il” problema, per tutti!

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