SOCIETÀ
Il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici: a che punto siamo?
L'alluvione di maggio 2023 in Emilia-Romagna e Marche: Conselice. Foto: Dipartimento della Protezione Civile/Flickr
A dicembre 2023, il Mase (ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica) ha approvato in via definitiva il Piano Nazionale per l’Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC). L’approvazione è stata accolta con sollievo da associazioni del settore, scienziati e cittadini.
L’iter di gestazione di questo documento, fondamentale per consentire all’Italia di rispettare gli impegni ambientali presi nei consessi internazionali, è stato infatti lungo e tortuoso: la prima bozza del PNACC risale al 2018 (governo Gentiloni regnante), e nessuno dei tre governi successivi ne ha approvato la versione definitiva, accumulando un considerevole ritardo rispetto al piano d’azione tracciato nel 2015 dalla Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (SNAC), di cui il PNACC dovrebbe rappresentare la fase attuativa.
Il Piano è articolato in una parte descrittiva, che analizza lo stato delle conoscenze sul cambiamento del clima in Italia, e una prescrittiva, che indica una roadmap delle azioni da compiere per far sì che il Paese sia in grado di adattarsi alle nuove condizioni climatiche e mitigare gli effetti peggiori del cambiamento in corso. Della prima ha dato estesamente conto Francesco Suman, su questo giornale, in un articolo del gennaio 2024.
In quell’articolo, Suman sintetizzava anche l’apparato attuativo che il PNACC predispone. Il Piano, infatti, si articola in 4 azioni “sistemiche” – su cui torneremo a breve – e ben 361 azioni “d’indirizzo”, raggruppate in diverse categorie: 274 sono definite “soft” (non strutturali), 46 sono “green” (basate su un approccio ecosistemico) e 41 “grey” (azioni infrastrutturali e tecnologiche).
Azioni d’indirizzo: un piano serrato, ma non finanziato
Per facilitare il processo di valutazione (che è consistito nell’assegnazione di un giudizio di valore – basso, medio, medio-alto, alto – ad ognuno degli interventi), le 361 azioni settoriali sono state suddivise in cinque macro-categorie: informazione, processi organizzativi e partecipativi; governance; adeguamento e miglioramento di sistemi e infrastrutture; soluzioni basate sulla natura; riqualificazione del costruito. Inoltre, come abbiamo accennato, si è operata anche una distinzione in due tipologie di azioni: da un lato, interventi soft, cioè azioni “che non richiedono interventi strutturali e materiali diretti ma che sono comunque propedeutiche alla realizzazione di questi ultimi”; dall’altro, interventi green e grey, entrambi caratterizzati da “una componente di materialità e di intervento strutturale”, ma distinti tra loro perché mentre le azioni green sono quelle “nature-based”, le azioni grey consistono in attività di adeguamento delle infrastruttura e degli impianti esistenti alle nuove condizioni climatiche.
La valutazione è avvenuta in base a cinque criteri: efficacia ed efficienza economica nel raggiungere gli obiettivi stabiliti, eventuale verificarsi di “effetti secondari” (positivi o negativi), applicabilità in condizioni di incertezza (nel caso della possibile realizzazione di scenari climatici diversi, ad oggi non predicibile con sicurezza), fattibilità in relazione all’implementazione politica.
Il risultato di questa valutazione condotta da esperti è nel complesso positivo: il 59% delle azioni ha ricevuto un giudizio alto, il 29% medio-alto, il 12% medio, medio-basso o basso. In particolare, un nutrito gruppo di azioni soft (124) è emerso come distribuito su tutti i settori d’intervento considerati, con giudizio alto e realizzabile a breve termine. Inoltre, circa il 76% delle azioni è stata classificata come intersettoriale, cioè capace di produrre effetti su diversi settori simultaneamente.
Un quadro incoraggiante: le oltre trecento azioni individuate nel PNACC, infatti, indicano una direzione chiara per supportare l’Italia – posta nel pieno di un hotspot per il cambiamento climatico come il Mediterraneo – nel suo percorso di adattamento alle cangianti condizioni ambientali. ma c’è un problema fondamentale: come finanziare queste azioni, che ad oggi esistono solo su carta. Un’intera sezione del PNACC è dedicata all’individuazione di potenziali fonti di finanziamento. Molte di queste sono di origine europea, e dunque solo in parte “nelle dirette disponibilità del sistema Italia”. Ci sono però anche fondi nazionali che potrebbero contribuire alla realizzazione del PNACC: nel documento sono menzionati i PON (Programmi Operativi Nazionali), il Piano Nazionale per la Ricerca 2021-2027, il Fondo Sviluppo e Coesione e le risorse a disposizione della Cassa Depositi e Prestiti. Tutto questo – attuazione delle azioni e destinazione dei fondi – è però vincolato all’implementazione di quattro grandi azioni sistemiche, essenziali perché la macchina del PNACC venga effettivamente messa in moto.
Azioni sistemiche: la messa a terra del PNACC
Il PNACC, infatti, prevede un articolato sistema di governance: secondo quanto si legge nel documento, la prima delle quattro azioni sistemiche consiste nella “definizione di una struttura di governance nazionale per l’adattamento. Nella pratica, questo si traduce nell’istituzione di un Osservatorio Nazionale per l’Adattamento ai Cambiamenti Climatici “composto dai rappresentanti delle Regioni e delle rappresentanze locali, per l’individuazione delle priorità territoriali e settoriali e per il monitoraggio dell’efficacia delle azioni di adattamento”. L’Osservatorio, sempre secondo il Piano, avrà l’onere dell’aggiornamento periodico del PNACC (ogni 6 anni) e, al suo interno, delle azioni di adattamento più adeguate, nonché di “individuare le specifiche fonti di finanziamento per l’attuazione delle azioni individuate dal PNACC”.
È proprio qui, però, che casca l’asino. Il PNACC non può essere realizzato senza che venga istituito il suddetto Osservatorio; al tempo stesso, però, l’istituzione dell’Osservatorio “potrà realizzarsi – si legge a pagina 100 del documento finale – “con il presupposto di un’adeguata copertura economica”, di cui lo stesso l’Osservatorio avrebbe il compito individuare la fonte.
Le altre tre azioni sistemiche discendono dall’attuazione della prima: consistono nel mainstreaming degli obiettivi di adattamento nei progetti di pianificazione “a tutti i livelli di governo del territorio” (azione 2), nella definizione – appunto – delle fonti di finanziamento e dei potenziali ostacoli normativi o procedurali all’adattamento (azione 3) e, infine, nello sviluppo di un programma di ricerca per comprendere meglio gli impatti del cambiamento climatico, i rischi e le vulnerabilità dell’Italia (azione 4).
Sostenibilità su carta
Nella versione definitiva del PNACC, approvata quasi un anno fa, si afferma: “A seguito dell’approvazione del PNACC si procederà con l’istituzione del Comitato e della Segreteria dell’Osservatorio che sarà effettuata con decreto del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, da emanare entro tre mesi dal decreto ministeriale di approvazione del PNACC”. I tre mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (8 febbraio 2024) sono passati, così come altri cinque mesi dopo di essi; eppure, del decreto del MASE che dovrebbe istituire l’organo a cui è stata demandata l’intera attuazione del PNACC non abbiamo trovato alcuna traccia.
Non c’è dunque il rischio che il PNACC rimanga lettera morta, sostenibilità di carta? È con questo dubbio che ci siamo rivolti al MASE, per capire a che punto del processo di attuazione del PNACC la catena di trasmissione si sia spezzata, o se questa immobilità sia soltanto apparente. Purtroppo, dal Dipartimento per l’Energia del MASE, che è l’organo competente per il PNACC, non abbiamo ricevuto alcuna risposta.
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