SCIENZA E RICERCA

CoVid-19, un fiume di scienza che ha cambiato anche la politica

Nel 2020 sono stati pubblicati oltre 100.000 articoli scientifici su CoVid-19. Una quantità impressionante se si pensa che 100.000 articoli è lo stesso numero che rappresenta tutta la produzione scientifica del programma di finanziamenti europeo, Horizon 2020, durato 6 anni (2014 – 2020).

Secondo i dati del database Dimensions, il 4% di tutta la produzione scientifica dell’anno passato ha riguardato CoVid-19, mentre sarebbe addirittura il 6% secondo i dati di PubMed, un database dedicato principalmente ai lavori di scienze della vita. E a seconda dei metodi di ricerca inseriti su Dimensions, più o meno inclusivi, i paper su CoVid-19 pubblicati nel 2020 potrebbero anche essere più di 200.000 (figura 1).

Più di 30.000 di questi paper sono usciti in preprint (ovvero prima di passare la prova della peer review, la revisione tra pari che garantisce il controllo dei contenuti scientifici), su archivi ad accesso libero come MedRXiv, SSRN o Research Square. Su MedRXiv, il più gettonato, i paper in preprint su CoVid-19 sono stati due terzi del totale (figura 2).

Non solo quantità, ma anche velocità. I tempi di revisione per arrivare alla pubblicazione si sono abbassati drasticamente, della metà almeno si stima. L’effetto collaterale è stato però quello di pubblicare più lentamente i lavori di altri campi non-CoVid (figura 3).

Tutto questo senza considerare il numero di articoli che sono stati sottoposti all’attenzione delle riviste scientifiche. Il solo gruppo di riviste dell’editore Elsevier avrebbe ricevuto 270.000 richieste di pubblicazione (submissions) tra febbraio e maggio 2020.

Nonostante la quantità e la velocità, l’osservatorio sui paper ritirati dalla pubblicazione Retraction Watch non ha ravvisato, ad oggi, percentuali di ritrattazione maggiori rispetto al solito, segno che il processo è stato sì accelerato, ma non a discapito della correttezza.

Questo fiume di scienza su CoVid-19 è sfociato ben oltre il bacino della sola comunità scientifica. Un lavoro pubblicato su Science da un gruppo della Northwestern University di Evanston, Illinois (Usa), ha misurato l’impatto che la scienza ha avuto sulla politica, quantificando il numero di lavori scientifici a tema CoVid che sono stati utilizzati per redigere documenti di agenzie governative, think tank o organizzazioni sovranazionali.

In altri termini si è andati a vedere quanto nell’ultimo anno la politica, in tutto il mondo, abbia tenuto conto dei più recenti risultati scientifici per delineare le strategie di azione.

I risultati del lavoro, in sintesi, dicono che i documenti politici citano in modo significativo gli articoli scientifici pubblicati su riviste con revisione tra pari (peer review), ma non i preprint. Dunque articoli pubblicati su The Lancet o Clinical Infectious Disease sono finiti in calce ai documenti politici, mentre articoli comparsi su MedRXiv molto meno. “Le riviste peer review” scrivono gli autori “continuano a ricoprire un ruolo fondamentale nel fornire evidenze scientifiche ai decisori politici”.

Inoltre i documenti istituzionali che citano la produzione scientifica a loro volta vengono ripresi molte volte all’interno delle sedi politiche, più del doppio rispetto a documenti che non si appoggiano a conoscenze scientifiche.

Vi è anche però eterogeneità nell’uso che le istituzioni politiche hanno fatto della letteratura scientifica. Le organizzazioni intergovernative (Igo), come l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), sono quelle che hanno fatto più largo uso delle conoscenze scientifiche pubblicate. I governi nazionali invece hanno per lo più attinto alla scienza solo per via indiretta, rifacendosi ai documenti prodotti da istituzioni come l’Oms. Le agenzie governative sono quelle che hanno prodotto più documenti politici su CoVid-19, ma sono anche quelle che hanno citato meno letteratura scientifica.

“In molti sostengono che le nazioni lavorino meglio insieme quando sono coordinate da istituzioni internazionali” scrivono gli autori del lavoro, “specialmente in situazioni di crisi come la pandemia da CoVid-19. I nostri risultati suggeriscono un ruolo chiave nella gestione globale della risposta a CoVid-19 dell’Oms e di altre organizzazioni intergovernative, che hanno agito come canali di connessione tra politica e scienza”.

Per ottenere questi risultati gli autori hanno incrociato le informazioni contenute in due data base. Il primo, Overton, contiene documenti provenienti da agenzie governative di tutto il mondo, think tank e organizzazioni intergovernative come l’Oms. Sono stati considerati 37.725 documenti provenienti da 114 Paesi (tra cui tutte le maggiori economie, tranne la Cina) e 55 Igo, in un periodo compreso dal 2 gennaio al 26 maggio. Di questi 7730 documenti erano direttamente legati al CoVid.

Il secondo database considerato, Dimensions, è un database di pubblicazioni e citazioni di articoli scientifici, con una sezione dedicata proprio a CoVid-19. Tra gennaio e maggio, la ricerca ha considerato 40.000 articoli scientifici su CoVid-19 (anche se abbiamo visto che la profusione di articoli scientifici del 2020 ha ampiamente superato questa quota).

Gli autori hanno potuto osservare una correlazione diretta tra la crescita dei casi positivi e la produzione di documenti con riferimenti scientifici. Se nelle fasi iniziali l’attenzione era tutta rivolta a contenuti di natura medico-sanitaria, dalla proclamazione della pandemia da parte dell’Oms (11 marzo 2020), si è osservata una sensibile crescita dei contenuti economico-sociali nei documenti analizzati.

Certamente alcuni Paesi come Stati Uniti e Brasile, principalmente per via dei loro leader, hanno mostrato più resistenze di altri nell’affidarsi alla comunità scientifica, ma globalmente, secondo gli autori della ricerca, la politica ha saputo ascoltare la scienza, integrando i risultati pubblicati nelle strategie decisionali, senza distorcerne sostanzialmente l’interpretazione.

Naturalmente il fatto che complessivamente la politica abbia posto attenzione ai risultati validati dalla comunità scientifica non significa che i problemi posti dalla pandemia abbiano trovato automaticamente risposta. Tutto il mondo ha incontrato enormi difficoltà nel gestire la diffusione del virus e Paesi diversi hanno messo in campo strategie diverse.

Inoltre, è capitato che le discussioni nate in seno alla comunità scientifica si siano riflesse in posizioni tutt’altro che univoche da parte delle istituzioni politiche. La stessa Oms si è trovata a dover diffondere raccomandazioni, specialmente nelle fasi iniziali, che non sempre sono risultate efficaci. Nel tempo, l’agenzia della sanità mondiale ha a volte assunto posizioni contraddittorie a riguardo dell’efficacia delle diverse strategie sanitarie. E altre volte ha esitato nel riconoscere la validità di evidenze scientifiche disponibili, come il ruolo degli asintomatici nella trasmissione dell’infezione. D’altronde Sars-CoV-2 era un virus le cui caratteristiche erano sconosciute alla comunità scientifica fino a poco più di un anno fa e molte incertezze permangono ancora oggi.

Eppure, nonostante tutto, gli organi sovranazionali come l’Oms hanno dimostrato dimestichezza nel maneggiare la produzione scientifica ed è principalmente grazie a loro, secondo lo studio di Science, che il mondo della politica ha prestato orecchie alla scienza. Le agenzie governative nazionali invece sono risultate le istituzioni che meno di tutte hanno fatto riferimento alla letteratura scientifica nella redazione dei propri documenti.

Nel 1979, Nathan Caplan sociologo dell’università del Michigan, scriveva a proposito della “Teoria delle due comunità” (Two-communities theory), riferendosi alla separazione che esisteva tra sfera politica e comunità scientifica. Questa distanza in alcuni Paesi come l’Italia ha continuato a farsi sentire anche in tempi recenti, se pensiamo alla gestione di casi come Stamina o Xylella.

L’ultimo anno ha ricordato a tutti quanto la ricerca scientifica, per quanto ordinariamente maltrattata, sia una base d’appoggio irrinunciabile per tutta la società. L’insegnamento che l’esperienza pandemica deve lasciare è che una collaborazione tra scienza e politica nella gestione delle sfide che abbiamo dinnanzi non deve limitarsi a incontri occasionali tra le due parti, tanto meno ridursi a contesti emergenziali. Deve invece instaurarsi un confronto costante, strutturale e strutturato in appositi contesti istituzionali, che favoriscano la diffusione della cultura scientifica a tutti gli strati della società, compresi quelli apicali dove vengono prese le decisioni.

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