SOCIETÀ

L'UE e l'esternalizzazione delle proprie frontiere. Intervista a Antonella Napolitano

Lo scorso 8 giugno i ministri degli interni dell’Unione Europea hanno siglato un nuovo accordo sulla migrazione. La parola d’ordine di quell’incontro è stata “altrove”, come ha sottolineato l’articolo di Andrea Gaiardoni su ilBoLive che raccontava le novità emerse: quote fisse comunitarie, rimpatri anche in paesi di transito, con le connesse difficoltà di considerare paesi come la Libia sicuri per i migranti di ritorno. 

Per capire meglio che cosa significa “altrove” nella gestione della migrazione verso l’Unione Europea ci viene ora in aiuto un rapporto pubblicato da EuroMed Rights, una rete di 68 organizzazioni di paesi che si affacciano sulle sponde del Mediterraneo e si occupa di diritti civili. Artificial intelligence: the new frontier of the EU’s border externalization strategy è stato scritto da Antonella Napolitano, ricercatrice indipendente esperta di politiche migratorie e tecnologie. “L’esternalizzazione è un principio fondamentale della strategia adottata dall’Unione europea per affrontare i flussi migratori, soprattutto quelli provenienti dal continente africano”, spiega Napolitano: “si identifica nei paesi di provenienza o transito dei migranti una sorta di frontiera ulteriore e a questi paesi vengono date le risorse per tentare di limitare il flusso migratorio verso l’Europa”. 

Il rapporto di EuroMed Rights si concentra sui paesi della costa meridionale del Mediterraneo, ma lo stesso tipo di trattamento ha anche la zona dei Balcani, che rappresenta un’altra delle rotte migratorie da sud verso nord. In questo senso, basta ricordare gli accordi presi con la Turchia. Quando si fa riferimento a queste pratiche, emerge dal rapporto e ce lo ribadisce Napolitano, controllo dei confini significa “operazioni di salvataggio in mare, le deportazioni, le espulsioni". 

Quali tecnologie

Ma la novità degli ultimi anni è “la dimensione tecnologica molto più importante, soprattutto a partire negli ultimi sette o otto anni”. La varietà di tecnologie è davvero ampia. Per esempio, “sentiamo parlare delle motovedette italiane che vengono date alla Libia, ma ci sono anche altre attrezzature, come elicotteri, barche e altre strumentazioni”. Tra le ultime novità ci sono le tecnologie basate sull’analisi forense che vengono trasferite attraverso la formazione delle forze locali, magari fornita da CEPOL, l’agenzia dell’Unione europea per “lo sviluppo, implementazione e coordinamento della formazione per i funzionari delle forze dell’ordine”, come si legge sul sito.

Ci sono anche apparati tecnologici, come per esempio, IMSI-catcher, una strumentazione che simula una torre telefonica in grado di ingannare il telefono cellulare che, quindi, si collega a queste finte torri telefoniche dando accesso ai dati che contiene. “Sono tecnologie che sono anche usate nei paesi occidentali, ma con una certa regolamentazione”, precisa Napolitano. Mentre nel trasferimento dall’Europa ai paesi terzi che vengono coinvolti nel controllo migratorio, non c’è alcun controllo, né sull’efficacia di questi dispositivi, né sul corretto utilizzo che ne viene fatto. “Sono tecnologie che sono regolamentate in modo molto più stretto nei paesi europei”, ma che possono essere impiegate in modo lesivo della privacy e dei diritti umani nei paesi di origine o transito dei migranti.

 

Due pesi e due misure

Il doppio standard tra le regolamentazioni sull’uso di alcune tecnologie in Europa e il fatto che la stessa Europa non si preoccupi di come vengono utilizzate nei progetti di collaborazione che essa stessa finanzia emerge con maggiore evidenza quando si parla di intelligenza artificiale. Il Parlamento europeo ha votato l’Artificial Intelligence Act che è una legge che “va a regolamentare i rischi, a differenza del GDPR che invece regolamentava la tutela dei dati personali e della privacy”, puntualizza Napolitano. Ma si nota come le norme introdotte da questa legge, di fatto, non sono valide per le persone ai confini dell’Unione Europea. Questa legge infatti “non si applica nel caso delle esternalizzazione delle frontiere” e costituisce un sistema di tutele dei cittadini europei “finisce praticamente al confine: chi arriva ai confini europei ha meno tutele rispetto a un cittadino europeo”.

L’esternalizzazione è un principio fondamentale della strategia adottata dall’Unione europea per affrontare i flussi migratori, soprattutto quelli provenienti dal continente africano Antonella Napolitano

Il problema è ancora più grave, spiega il rapporto di EuroMed Rights, perché queste tecnologie non sono impiegate solo per controllare i migranti in transito, ma vengono utilizzate anche per controllare la popolazione locale. “Un punto fondamentale è che una volta che questa strumentazione e questa formazione vengono date, poi possono essere utilizzate anche per la gestione interna, per esempio per reprimere il dissenso, per sorvegliare i giornalisti, gli attivisti, i difensori dei diritti umani”. 

 

Poca trasparenza

Questo trasferimento tecnologico e di risorse da nord a sud, dall’Europa ai paesi dell’Africa settentrionale che si incaricano di gestire il flusso migratorio fuori dal territorio dell’Unione, è finanziato in modo poco trasparente. Napolitano racconta delle difficoltà di rintracciare i rivoli di finanziamento e una scarsa chiarezza del mondo in cui questi soldi vengono poi impiegati. I finanziamenti arrivano sotto forma di “progetti che vengono fatti in collaborazione con agenzie, con dipartimenti governativi dei diversi Paesi, quindi partnership miste”, spiega Napolitano, che sottolinea come sia “spesso difficile capire cosa c’è in questi progetti. Ci sono poche informazioni a disposizione sui siti della dell’Unione Europea” e in molti paesi coinvolti non esistono leggi che permettano un accesso agli atti pubblici da parte dei cittadini. 

È un tema delicato e difficile da sviscerare, perché anche quando giornalisti o organizzazioni della società civile provano a indagare su questi soldi c’è bisogno di molto tempo e di molte risorse. Antonella Napolitano lo sa bene, perché per alcuni anni ha lavorato a Privacy International, un’organizzazione internazionale con sede nel Regno Unito che si occupa di difendere il diritto alla privacy nel mondo: “è particolarmente difficile per chi lavora su questi temi ed è sicuramente un grosso tema. Anche perché questi sono soldi dell'Unione europea, soldi dei contribuenti europei e dovrebbero fare gli interessi dell'Europa”. Il fatto che non ci siano trasparenza e responsabilità chiare “è un problema particolarmente serio”.

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